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Cass. civ., Sez. III, 30 marzo 2018, n. 7891 (ordinanza) – Pres. Vivaldi – Rel. D’Arrigo

Esecuzione forzata – Opposizione all’esecuzione – Opposizione agli atti esecutivi – Clausola arbitrale – Questione di competenza (c.p.c. artt. 615, 617, 806)

[1] La clausola con la quale le parti rimettono alla decisione degli arbitri qualsiasi controversia nascente da un determinato rapporto giuridico può essere interpretata, con giudizio riservato al giudice di merito, come comprensiva anche della materia delle opposizioni all’esecuzione forzata, salvo che in essa non si controverta di diritti indisponibili. Viceversa, non possono in alcun caso essere decise dagli arbitri le opposizioni agli atti esecutivi, avendo queste ad oggetto la verifica dell’osservanza di regole processuali d’ordine pubblico e quindi di diritti di cui le parti non possono mai liberamente disporre.

CASO

[1] Una s.r.l. proponeva opposizione avverso una cartella di pagamento con cui l’agente della riscossione aveva richiesto il pagamento di una somma a titolo di rimborso per pretese inadempienze di un finanziamento.

Contestualmente la s.r.l. promuoveva anche una procedura arbitrale con cui veniva dichiarato illegittimo il provvedimento di revoca del contributo.

Nel frattempo il Tribunale dichiarava il proprio difetto di giurisdizione per effetto della clausola arbitrale; tale decisione veniva confermata in appello. Avverso la sentenza di appello la s.r.l. promuoveva, quindi, ricorso in cassazione.

La s.r.l. deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 806, 615, 27, 112 e 479 c.p.c. sostenendo che il Tribunale non avrebbe potuto rilevare la carenza di giurisdizione del giudice ordinario in materia di opposizione all’esecuzione, dovendosi considerare tale anche l’opposizione alla cartella di pagamento.

SOLUZIONE

[1] La Corte accoglie il ricorso cassando con rinvio alla Corte d’appello, affinché verifichi la natura dell’opposizione proposta dalla s.r.l. e, qualora essa venga qualificata come opposizione all’esecuzione, se la stessa può ritenersi compresa nell’ambito di operatività della clausola arbitrale.

La Corte rileva innanzitutto che il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare la propria incompetenza e non il difetto di giurisdizione, per cui la decisione è erronea. Stabilire se una controversia spetti alla cognizione degli arbitri piuttosto che al giudice ordinario è, infatti, una questione di competenza (cfr. Cass., sez. un., 25 ottobre 2013, n. 24153).

Successivamente opera una distinzione tra le opposizioni esecutive: mentre le opposizioni agli atti esecutivi hanno ad oggetto diritti indisponibili e, quindi, non possono essere devolute ad arbitri, l’opposizione all’esecuzione, avendo ad oggetto il diritto sostanziale del creditore, ovvero un diritto patrimoniale, quindi, disponibile, può essere decisa da arbitri. Ragionando diversamente, infatti, accadrebbe che, in presenza di una clausola arbitrale, la domanda di accertamento negativo del credito azionato rientrerebbe nella competenza degli arbitri, se proposta preventivamente in via d’azione ed in quella dell’autorità giudiziaria ordinaria, se proposta dopo l’inizio dell’azione esecutiva, pur essendovi identità di causa petendi e di petitum sostanziale.

QUESTIONI

[1] La Corte si interroga sull’estensione degli effetti della clausola arbitrale, in particolare se le parti possono devolvere ad arbitri qualsiasi controversia e, quindi, anche quelle di opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi.

Occorre distinguere le due ipotesi: va evidenziata la diversità ontologica tra opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. ed opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. La prima verte sull’an della pretesa/azione esecutiva, la seconda concerne il relativo quomodo. L’opposizione all’esecuzione si configura (almeno tendenzialmente) come un giudizio di accertamento negativo del diritto sostanziale fatto valere esecutivamente dal creditore procedente (sulla natura del giudizio di cui all’art. 615, v. Romano, L’azione di accertamento negativo, Napoli, 2006, 136); l’opposizione agli atti esecutivi si propone, invece, per l’accertamento della conformità o meno di un atto esecutivo alle norme della procedura ovvero ai requisiti stabiliti dalla legge.

Con l’opposizione agli atti esecutivi, in particolare, si denuncia la violazione delle norme che regolano l’esecuzione forzata, che sono di ordine pubblico e, dunque, inderogabili, per cui non rientrano nella disponibilità delle parti. Né configura una forma pur surrettizia di disponibilità, la circostanza della non deducibilità dei vizi di forma o procedurali una volta che sia spirato il termine di venti giorni: si tratta ovviamente di un termine di decadenza e non di un’ipotesi di convalida per acquiescenza. Ciò trova conferma nella circostanza che detti vizi sono rilevabili d’ufficio anche dopo la scadenza di tale termine. Ne discende che quando l’art. 806, comma 1, c.p.c., stabilisce che non possono essere devolute ad arbitri tutte le controversie che hanno per oggetto diritti indisponibili, esso include tra le dette situazioni “quei processi di cognizione che non hanno ad oggetto una controversia sostanziale o l’eliminazione di un provvedimento che ha pronunziato su diritti sostanziali (es., giudizi di falso civile, di verificazione di scritture private, le opposizioni agli atti esecutivi), ove l’arbitrato non è consentito in ragione dell’oggetto della procedura” (cfr. S. La China, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, Giuffrè, 2011).

Diversamente, con l’opposizione all’esecuzione il diritto fatto valere in executivis è di regola un diritto patrimoniale e, come tale, disponibile, quindi, rinunziabile in tutto o in parte, salvo che non sia diversamente stabilito dalla legge, per cui l’opposizione all’esecuzione può essere devoluta ad arbitri.

La Corte si sofferma brevemente anche sulla questione relativa ai rapporti tra arbitri e giudice ordinario: se sia una questione di giurisdizione oppure di competenza. A tal fine richiama la decisione delle Sezioni Unite, le quali hanno chiarito che l’attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla legge 5 gennaio 1994, n. 5 e dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione (Cass., Sez. Un., 25 ottobre 2013, n. 24153, in Corr. giur., 2014, 84, con nota di G. Verde, Arbitrato e giurisdizione: le Sezioni Unite tornano all’antico).

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