Divieto dei patti successori: negozio dissimulante una donazione e transazione
Cassazione, ordinanza 15 giugno 2018, n. 15919, sez. VI – 2 civile
Successioni “mortis causa” – Disposizioni generali – Delazione dell’eredita’ (chiamata all’eredita’) – Patti successori e donazioni “mortis causa” (divieto) – Transazione conclusa dal coerede – Rinunzia a fare valere la simulazione di atti compiuti dal futuro “de cuius” – Nullità – Fondamento.
[1] È nulla, per contrasto con il divieto di cui agli articoli 458 e 557 cod. civ., la transazione conclusa da uno dei futuri eredi, allorquando sia ancora in vita il “de cuius”, con la quale egli rinunci ai diritti vantati, anche quale legittimario, sulla futura successione, ivi incluso il diritto a fare accertare la natura simulata degli atti di alienazione posti in essere dall’ereditando perché idonei a dissimulare una donazione.
Disposizioni applicate
Codice Civile, articoli 458, 557, 1414, 1417 e 1418
CASO
[1] Tizia conveniva in giudizio il proprio fratello Caio al fine di accertare la natura simulata, in quanto dissimulante una donazione immobiliare, dell’atto di cessione di quota intercorso tra il convenuto e la madre (Sempronia), con la conseguente lesione della propria quota di riserva, in relazione alla successione materna. Per l’effetto previa riduzione della donazione, fino all’ammontare della quota di legittima pari ad 1/3, chiedeva altresì poi procedersi allo scioglimento della comunione.
Il Tribunale rigettava la domanda attorea e, nel successivo giudizio di gravame, la Corte d’Appello confermava la decisione impugnata.
In particolare, osservava che a seguito del decesso di Mevio, avvenuto nell’ottobre del 1975, i germani Tizia e Caio e la madre Sempronia erano divenuti ognuno titolare di una quota di 1/3 dell’asse ereditario e che successivamente Sempronia con l’impugnato atto aveva alienato la propria quota successoria al figlio Caio. Osservava poi, come, l’anno successivo al detto atto, era stato intrapreso un giudizio di scioglimento della comunione, ma che nel corso del medesimo, le parti concludevano, in data 30 gennaio 2008, una transazione per l’effetto della quale l’attrice otteneva una somma di denaro ed il riconoscimento della proprietà esclusiva di alcuni immobili. Ad avviso dei giudici di appello l’affermazione nella transazione circa la proprietà comune dei beni tra i due fratelli, nella consapevolezza della già intervenuta cessione di quote da parte della madre, unitamente alla dichiarazione contenuta nell’atto, con la quale si manifestava l’intento di rinunciare ad ogni diritto o azione per qualsiasi titolo o causa anche indirettamente collegata con i rapporti dedotti in giudizio, consentivano di affermare che vi era stata anche una rinunzia all’azione di riduzione relativamente alla successione di Sempronia.
[2] Avverso la sentenza di appello, Tizia proponeva ricorso in Cassazione rilevando, in primis, la violazione e falsa applicazione degli articoli 458 e 557 c.c. ed evidenziando che i giudici di merito, nel ravvisare una volontà di rinunciare anche ai diritti vantati dalla ricorrente quale legittimaria rispetto alla successione materna, non hanno colto il dato fondamentale, costituito dal fatto che la transazione è stata conclusa prima del decesso della genitrice. Ne consegue che la (eventuale) rinuncia a diritti di natura successoria sarebbe avvenuta in epoca anteriore all’apertura della successione, così che l’accordo, anche a volerne ravvisare la natura abdicativa, è stato raggiunto in evidente violazione delle previsioni di cui agli articoli 458 e 557 c.c..
SOLUZIONE
La Suprema Corte ha ritenuto il motivo fondato e, formulando il principio di diritto espresso nella massima sopra riportata, ha cassato la Sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello. Le motivazioni di tale decisione non possono che essere condivise.
[3] La Cassazione ha, innanzitutto, correttamente osservato che la lite che le parti avevano inteso definire con l’accordo transattivo era quella derivante dall’apertura della successione paterna, la quale era stata influenzata, quanto all’individuazione delle quote vantate dagli originari condividenti, dalla cessione effettuata dalla madre in favore del figlio Caio. Se, pertanto, nel caso di specie si vuole individuare con certezza una (valida) rinuncia all’azione di riduzione, è relativamente a tale prima eredità che ciò poteva eventualmente avvenire. La difesa di Caio, tuttavia, ha sostenuto – ed i giudici di primo e secondo grado hanno ritenuto – che il contenuto della transazione dovesse essere inteso come una sorta di “acquiescenza tombale” al negozio simulato: Tizia, sottoscrivendo l’accordo transattivo avrebbe in sostanza dichiarato di non aver nulla da eccepire in merito ad ogni risvolto di esso, fosse relativo tanto alla successione paterna, quanto a quella materna.
In realtà, all’epoca di stipulazione del detto accordo, non vi era alcuna possibilità giuridica per Tizia di tutelare, relativamente alla successione della madre, una propria eventuale posizione di legittimaria lesa nella propria quota di riserva. E questo già solo poiché sarebbe impossibile determinare, prima della morte di un determinato soggetto, l’esistenza di una lesione delle quote che la legge riconosce spettanti a determinati soggetti: è solo all’apertura della successione che può aversi contezza dell’ammontare del patrimonio relitto dal defunto e, quindi, valutare se una liberalità (magari compiuta anni pima) possa aver recato pregiudizio alle ragioni di alcuno.
Sulla base di tale ragionamento, la Cassazione arriva ad affermare che la ricorrente non aveva alcuna legittimazione a denunziare la pretesa natura liberale dell’atto di cessione di quote, il quale, in relazione al contenzioso all’epoca in atto, rivestiva indubbiamente natura vincolante. E, portando avanti tale posizione, precisa altresì che in relazione ad atti posti in essere dalla madre, la ricorrente ha acquistato il diritto ed il concreto interesse all’accertamento della loro natura simulata solo per effetto della morte della genitrice, ed in evidente funzione strumentale all’esercizio dell’azione di riduzione, la cui insorgenza del pari si colloca dopo la morte della genitrice, essendo del tutto carente di legittimazione a far valere la simulazione degli atti dispositivi, fin quando la madre sia rimasta in vita, il che esclude anche che potesse disporre allora di un diritto che ancora non le competeva.
Se, come detto, le argomentazioni della Suprema Corte sono da condividere, preme evidenziare come, a giudizio dello scrivente, tali ultime asserzioni debbano essere circoscritte all’ambito in cui la pronuncia è stata emessa: ben può essere, infatti, che un soggetto possa avere interesse (e dunque legittimazione) a far emergere la natura liberale di un atto anche prima dell’apertura della successione, ogniqualvolta l’azione miri non alla riduzione della disposizione, bensì, ad esempio, ad ottenere una pronuncia di nullità dell’atto dissimulato per mancanza di forma od altra causa di invalidità. Tizia, ad esempio, poteva aver interesse a che non si instaurasse un rapporto di comunione col di lei fratello in quote diverse da quelle derivanti dalla successione paterna. Sarà pertanto da valutarsi caso per caso l’esistenza o meno di legittimazione attiva in capo all’attore.
Fatta questa precisazione, occorre ribadire come, qualora si dovesse ritenere che, come inteso dai giudici di primo e secondo grado nel caso de qua, la rinuncia ad ogni azione presente o futura contenuta in un negozio transattivo quale quello di specie si estenda anche alle pretese vantate in relazione ad una successione non ancora apertasi, l’accordo non potrebbe che incorrere nella nullità di cui al combinato disposto degli articoli 458 e 557 cod. civ.. L’ultima di tali norme, infatti, al secondo comma dispone che non è possibile rinunziare al diritto di agire in riduzione né con dichiarazione espressa, né prestando assenso alla donazione, finché è in vita il donante. E la giurisprudenza è unanime nel sanzionare con la nullità ogni tipo di accordo in tal senso (da ultimo, si veda Cass. Civ. n. 24450/2009 che ha ravvisato un patto successorio, e non una transazione, nella scrittura privata con la quale una sorella aveva consentito al trasferimento in favore dei fratelli della proprietà di immobili appartenenti al padre, a fronte dell’impegno, assunto dai medesimi, di versarle una somma di denaro, da considerare, in relazione allo specifico contesto, come una tacitazione dei suoi diritti di erede legittimario).
Ed è in quest’ottica che deve essere esaminata la inconferenza dell’ulteriore tentativo di difesa di Caio nel giudizio in oggetto: si è provato a sostenere che Tizia, con la stipula della transazione avesse non già rinunciato all’azione di riduzione, bensì solo all’accertamento della simulazione. La Suprema Corte ha respinto tale argomentazione richiamando la citata carenza di legittimazione a far valere la simulazione; ma si ritiene che, ancor prima, anche una eventuale rinuncia a far valere la simulazione impingerebbe nel divieto di cui all’articolo 557, secondo comma, cod. civ. sostanziandosi, in definitiva, in un (indiretto) assenso alla donazione dissimulata.
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