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Corte di Cassazione sent. 18 aprile 2019, n. 97 – Pres. Lattanzi – Rel. Antonini

[1] Negoziazione assistita – Mediazione obbligatoria – Giudizio di legittimità costituzionale – Ordinanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione

(Cost. art. 3; C.p.c. artt. 648, 649; D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 art. 5)

[1] “Nella mediazione il compito – fondamentale al fine del suo esito positivo – di assistenza alle parti nella individuazione degli interessi in conflitto e nella ricerca di un punto d’incontro è svolto da un terzo indipendente e imparziale, nella negoziazione l’analogo ruolo è svolto dai loro stessi difensori: è conseguentemente palese come, pur versandosi in entrambi i casi in ipotesi di condizioni di procedibilità con finalità deflattive, gli istituti processuali in esame siano caratterizzati da una evidente disomogeneità […] la presenza di un terzo del tutto indipendente rispetto alle parti giustifica, infatti, le maggiori possibilità della mediazione, rispetto alla negoziazione assistita, di conseguire la finalità cui è preordinata e, pertanto, la scelta legislativa di rendere obbligatoria solo la prima, e non la seconda, anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo In tale ultimo giudizio, in altri termini, il legislatore ha ritenuto inutile imporre la negoziazione assistita, giacché essa è condotta direttamente dalle parti e dai loro avvocati, senza l’intervento di un terzo neutrale.”

CASO

[1] Il Tribunale ordinario di Verona, con due distinte ordinanze del 2018, sollevava – in riferimento agli artt. 3 e 77, secondo comma, della Costituzione – identiche questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 1, lettera b), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 che inserisce il comma 1-bis all’art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, dell’art. 84, comma 1, lettera i), dello stesso d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del citato d.lgs. n. 28 del 2010, nonché del comma 2 del medesimo art. 84.

Nella sola ordinanza iscritta al n. 98 r.o. 2018, subordinatamente alla questione avente ad oggetto l’art. 84, comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013 il Tribunale rimettente dubitava, inoltre, della legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, in riferimento all’art. 3 Cost.

L’art. 5, comma 4, lett. a), del d.lgs. n. 28 del 2010, in particolare, esclude l’obbligatorietà della mediazione nei procedimenti per ingiunzione limitatamente alla fase monitoria prevedendola, invece, ai sensi degli artt. 648 e 649 c.p.c. nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, e dopo la pronuncia del giudice, sulle istanze di concessione e di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto stesso.

La violazione del principio di uguaglianza, secondo il giudice a quo, emergerebbe dal raffronto con la disciplina legislativa della negoziazione assistita da uno o più avvocati applicabile, ai sensi dell’art. 2 del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, alle controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti, nonché, fuori da questo caso e da quelli previsti dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, alle domande aventi a oggetto il pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non eccedenti 50.000,00 euro.

Secondo il Tribunale, infatti, la negoziazione assistita, come la mediazione, costituisce una condizione di procedibilità della domanda giudiziale e pur tuttavia, nei procedimenti per ingiunzione, la procedura di negoziazione assistita, secondo quanto disposto dall’art. 3, comma 3, lett. a), del d.l. n. 132 del 2014, a differenza della mediazione, non deve essere esperita né nella fase monitoria né nel successivo ed eventuale giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo.

La diversità tra le due discipline, a detta del rimettente, integrerebbe una violazione dell’art. 3 Cost. determinando una disparità di trattamento manifestamente irragionevole e, in quanto tale, incidente anche nell’ambito della disciplina degli istituti processuali.

SOLUZIONI

[1] La Corte Costituzionale in considerazione della parziale identità delle norme denunciate e delle censure formulate ha riunito i giudizi e, con la sentenza in commento, ha dichiarato:

1) inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 2, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione;

2) non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013, come convertito, che inserisce il comma 1-bis all’art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), e dell’art. 84, comma 1, lettera i), dello stesso d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del citato d.lgs. n. 28 del 2010, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 77, secondo comma, Cost.;

3) non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost. con l’ordinanza iscritta al n. 98 del registro ordinanze 2018.

QUESTIONI

[1] Con la sentenza n. 97 del 18 aprile 2019 la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata, in riferimento all’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lett. a), del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, nella parte in cui prevede l’esperimento della mediazione all’esito delle pronunce di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c. nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo a fronte dell’esclusione della necessità di tentare la negoziazione assistita nei medesimi giudizi di opposizione.

La Consulta, in primo luogo, ha evidenziato le differenze che intercorrono tra la negoziazione assistita e la mediazione. Sebbene, infatti, entrambi gli istituti processuali siano diretti a favorire la composizione della lite in via stragiudiziale e siano riconducibili alle misure di ADR (Alternative Dispute Resolution), costituendo condizioni di procedibilità della domanda giudiziale il cui difetto ha conseguenze analoghe, nella mediazione è ravvisabile un fondamentale elemento specializzante che assume rilievo al fine di escludere che si sia al cospetto di situazioni sostanzialmente identiche disciplinate in modo ingiustificatamente diverso ovvero che la scelta legislativa di trattare diversamente le due fattispecie, con riguardo al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, possa ritenersi manifestamente irragionevole e arbitraria.

Secondo la Consulta, infatti, il procedimento di mediazione è connotato dal ruolo centrale svolto da un soggetto, il mediatore, terzo e imparziale, laddove la stessa neutralità non è, invece, ravvisabile nella figura dell’avvocato che assiste le parti nella procedura di negoziazione assistita.

Il mediatore, infatti, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 28 del 2010, da un lato, non può «assumere diritti od obblighi connessi […] con gli affari trattati […]» né percepire compensi direttamente dalle parti (comma 1); dall’altro, è obbligato a sottoscrivere, per ciascuna controversia affidatagli, un’apposita «dichiarazione di imparzialità» e a informare l’organismo di mediazione e le parti delle eventuali ragioni che possano minare la sua neutralità (comma 2, lettere a e b).

Tale neutralità, oltre ad essere sancita anche dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 28 del 2010, è peraltro precisata dalla disciplina posta dall’art. 14-bis del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180 (Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28) che regola le cause di incompatibilità e le ipotesi di conflitti di interesse in capo al mediatore.

Mentre, quindi, nella mediazione il compito – fondamentale al fine del suo esito positivo – di assistenza alle parti nell’individuazione degli interessi in conflitto e nella ricerca di un punto d’incontro è svolto da un terzo indipendente e imparziale nella negoziazione, invece, analogo ruolo è svolto dai loro stessi difensori.

Per tali ragioni, secondo la Consulta, è palese come, pur versandosi in entrambi i casi in ipotesi di condizioni di procedibilità con finalità deflattive, gli istituti processuali in esame siano caratterizzati da una evidente disomogeneità.

Tale disomogeneità trova, inoltre, un chiaro riscontro nella giurisprudenza costituzionale. La  Corte, infatti, esaminando la mediazione tributaria disciplinata dall’art. 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 ha rimarcato che la mancanza, in essa, «di un soggetto terzo che, come avviene per la mediazione delle controversie civili e commerciali disciplinata dal d.lgs. n. 28 del 2010 […], svolga la mediazione», se da un lato «comporta l’impossibilità di ricondurre la mediazione tributaria al modello di quella civilistica», dall’altro «induce a dubitare della stessa riconducibilità dell’istituto all’ambito mediatorio propriamente inteso» (Corte Cost. sent. n. 98 del 2014).

L’eterogeneità delle due fattispecie poste a confronto ne preclude, dunque, una comparabilità idonea a integrare l’asserita violazione dell’art. 3 Cost. e induce, invece, la Consulta ad escludere che sia stato irragionevolmente riservato un trattamento differenziato alla mediazione e, quindi, che la scelta legislativa denunciata dal rimettente abbia valicato il confine dell’arbitrarietà.

A maggior riprova i giudici costituzionali affermano che tale tratto differenziale trova un ulteriore conferma nella ratio che sostiene il diverso e legittimo regime giuridico: la presenza di un terzo del tutto indipendente rispetto alle parti giustifica, infatti, le maggiori possibilità della mediazione, rispetto alla negoziazione assistita, di conseguire la finalità cui è preordinata e, pertanto, la scelta legislativa di rendere obbligatoria nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo solo la prima e non la seconda.

Alla luce delle predette argomentazioni la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione escludendo che il differente trattamento normativo sia manifestamente irragionevole e arbitrario.

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