Riflessioni sui rapporti di pregiudizialità e coordinamento tra la procedura prefallimentare e la procedura per l’omologazione di un accordo di ristrutturazione ex art. 182bis L.F.
Cass. Civ., sez. I, 22 maggio 2019, n. 13850 – Pres. Didone – Rel. Vella
Parole chiave: fallimento, dichiarazione di fallimento, accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182bis L.F., omessa risoluzione dell’accordo omologato, creditore estraneo, procedibilità.
Massima: “Nulla osta alla procedibilità di una domanda di fallimento presentata dopo l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F. da un creditore estraneo all’accordo rimasto insoddisfatto, anche qualora l’accordo sia in corso di esecuzione e non formalmente risolto”
Disposizioni applicate: R.D. 16 marzo 1942, n. 267: art. 6, art. 15, art. 182bis e art. 184; D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14
CASO
La società a responsabilità limitata Alfa presentava avanti il Tribunale di Avellino ricorso per l’omologazione di un accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis L.F., omologazione che veniva concessa nel novembre del 2013. La medesima società Alfa, in pendenza dell’esecuzione dell’accordo omologato, si rendeva inadempiente rispetto al pagamento di un creditore c.d. “estraneo” all’accordo stesso. Tale creditore, titolare di un credito scaduto prima dell’omologa, agiva esecutivamente avverso la società Alfa notificando decreto ingiuntivo e precetto nel 2015; risultando infruttuosa l’azione, il creditore formulava istanza di fallimento nei confronti della società Alfa, ottenendo sentenza di dichiarazione di fallimento nel novembre 2015. Il reclamo proposto dalla società Alfa, avverso la sentenza di fallimento, veniva rigettato dalla Corte di Appello di Napoli, nei confronti della cui pronuncia ricorreva in Cassazione la stessa società Alfa, ribadendo le censure di improcedibilità della domanda di fallimento in ragione, inter alia, dell’intervenuta omologazione dell’accordo di ristrutturazione.
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione, confermando la pronuncia della Corte di appello di Napoli, ha affermato che nulla osta alla procedibilità di una domanda di fallimento presentata successivamente all’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F., e nel corso di esecuzione dello stesso, da parte di un creditore rimasto estraneo all’accordo.
QUESTIONI
La pronuncia oggetto di commento è particolarmente interessante non solo per la questione principale che affronta, inerente la procedibilità della domanda di fallimento formulata dopo l’omologazione di un accordo ex art. 182-bis LF, ma anche perché, per dare risposta alla stessa, in assenza di una norma specifica che disciplini le conseguenze dell’inadempimento di un accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis L.F., ripercorre i propri precedenti relativi alla casistica dei rapporti tra la procedura prefallimentare e quella, in particolare, del concordato preventivo, declinate nelle loro diverse fasi di evoluzione processuale, traendo dagli stessi – attraverso un’interpretazione evolutiva, orientata al diritto eurounitario dell’insolvenza dell’istituto dell’accordo di ristrutturazione – i principi da applicare al caso che ci interessa.
Si sintetizza quindi di seguito la casistica richiamata dalla Corte nel proprio argomentare, per poi giungere al ragionamento conclusivo.
Il primo caso richiamato dagli Ermellini riguarda una fattispecie “inversa” rispetto a quella in oggetto di studio, ossia quella in cui la domanda per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione ex art. 182bis L. F. sia stata presentata dopo l’istanza di fallimento e quindi durante il corso del procedimento prefallimentare. In tale occasione era stato affermato che la presentazione di un ricorso per l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L. F. “non implica la sospensione della procedura prefallimentare non potendo a ciò condurre l’interpretazione estensiva della Legge Fallimentare, articolo 182-bis comma sesto, laddove vieta l’inizio la prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari in presenza dell’istanza di sospensione proposta dal debitore: da un lato infatti il procedimento prefallimentare non ha natura esecutiva o cautelare ma natura cognitiva piena e dall’altro la menzionata interpretazione Non sarebbe coerente con il sistema che non consente la sospensione ex articolo 295 c.p.c. della procedura prefallimentare a seguito della presentazione di domanda di concordato preventivo. Né la disciplina di cui all’articolo 182-bis legge fallimentare può dirsi, per ciò solo, indeterminata sicché è manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata in relazione agli articoli 27 e 111 Cost.” (Cass. 24969/2013).
Vengono poi richiamati i consolidati precedenti relativi ai casi in cui, in pendenza della procedura per l’omologazione della proposta di concordato preventivo, venga formulata istanza di fallimento. In tali casi, secondo i Giudici di legittimità, la dichiarazione di fallimento consegue all’esito negativo della procedura di concordato “non potendo ammettersi l’autonomo corso del procedimento di dichiarazione di fallimento che si concluda indipendentemente dal verificarsi di uno degli eventi previsti dagli articoli 162, 173, 179 e 180 L.F.” e cioè i casi di inammissibilità della domanda di concordato, revoca dell’ammissione, mancata approvazione, diniego dell’omologazione. (Cass. 30539/2018, Cass. 1169/2017, Cass. 9050/2016; Cass. Sez Unite, 9935/2015 e 1521/2013).
La Corte si richiama poi ai propri precedenti relativi ai rapporti tra domanda di fallimento e concordato preventivo già omologato ed in fase di esecuzione. In tali pronunce si afferma che l’istanza di fallimento è procedibile solo dopo la risoluzione del concordato preventivo. Tale affermazione si fonda da un canto sull’osservazione che “la domanda di concordato rappresenta concettualmente un minus rispetto al concordato omologato” dall’altro in ragione del vincolo obbligatorio creato dalla legge fallimentare all’articolo 184 comma 1, dell’effetto esdebitatorio dell’omologazione, della specialità della disposizione di cui all’articolo 186 L.F. rispetto all’articolo 6 L.F., ed in ultimo dell’interesse dei creditori ad ottenere la declaratoria di fallimento nella misura originaria dei crediti piuttosto che nella misura falcidiata che finirebbe sostanzialmente per comportare solo un incremento dei costi per l’apertura di un ulteriore procedura concorsuale ( cfr. Cass. 2695/2016).
La Corte ha inoltre affermato che, nel caso di un’impresa ammessa al concordato preventivo già omologato ed in caso di inadempimento dei debiti concorsuali, il creditore insoddisfatto può formulare istanza di fallimento ai sensi della legge fallimentare “a prescindere dall’intervenuta risoluzione di detto concordato, essendo ormai venuto meno, – dopo la riforma della legge fallimentare, articolo 186, introdotta dal decreto legislativo numero 169 del 2007 – ogni automatismo tra risoluzione del concordato e dichiarazione di fallimento e dovendo l’istante proporre la domanda di risoluzione anche contestualmente a quella di fallimento solo quando faccia valere il suo credito ordinario e non nella misura facilitata” (vedi Cass. 1773/2017 e Cass. 29 63/2017). E’ stato poi inoltre affermato che “qualora il fallimento sia stato dichiarato quando è ancora possibile instare per la risoluzione ex articolo 186 della procedura concordataria, i creditori non sono tenuti a sopportare effetti esdebitatori e definitivi del concordato omologato a norma dell’articolo 184 legge fallimentare posto che l’attuazione del piano è resa impossibile per l’intervento di un evento come il fallimento e sovrapponendosi al concordato medesimo, inevitabilmente lo rendere irrealizzabile” (in questo senso Cass. 26002/2018).
Il richiamo agli orientamenti sopra esposti è particolarmente pertinente alla luce della affermata natura concorsuale dell’accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis L.F., che consente l’applicazione, in via analogica, agli accordi di ristrutturazione dei principi generali comuni alle procedure concorsuali (cfr. Cass. 9087/2018, 12956/2018 cit.).
La Suprema Corte, infatti, anche richiamandosi al diritto eurounitario, ha sostenuto che gli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis L.F., a differenza dei piani attestati ex art. 67 L.F., appartengono al novero delle “procedure concorsuali” (cfr. Cass. 1182/2018, Cass. 1895/2018, Cass. 9087/2018, Cass. 12956/2018, Cass. 16161/2018, Cass. 16347/2018), e come tali risultano istituti affini al concordato preventivo (cfr. Cass. 16950/2016, Cass. 2311/2014).
La natura concorsuale degli accordi di ristrutturazione pare confermata anche dal nuovo testo del Codice della Crisi e dell’Insolvenza di prossima applicazione (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 di seguito anche “CCI”), nel quale, concordato e accordi di ristrutturazione vengono disciplinati nel medesimo titolo IV tra gli “Strumenti di regolazione della crisi”, condividono il “procedimento unitario per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza” (art. 40 CCI) e sono accomunati da rilevante affinità di presupposti soggettivi ed oggettivi nonché delle condizioni di accesso.
Sulla scorta di tali premesse, la Corte conclude affermando che nulla osta alla procedibilità di una domanda di fallimento presentata dopo l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F. da un creditore estraneo all’accordo medesimo, anche nel caso in cui tale accordo di ristrutturazione sia in corso di esecuzione e non ancora formalmente risolto.
Qualora contrariamente, prosegue la Corte nel suo argomentare, si ritenesse improcedibile l’azione, si priverebbe il creditore non aderente di una fondamentale forma di tutela del proprio credito tanto più inammissibile in quanto l’istituto dell’accordo di ristrutturazione ex articolo 182-bis L.F. si sostanza sul presupposto della idoneità dell’accordo stesso ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei, i quali, perciò, si pongono rispetto all’accordo in posizione analoga ai creditori non vincolati dagli effetti obbligatori del concordato omologato ex articolo 184 L.F.
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