Confermata la legittimità costituzionale dell’art. 55 L.392/78 dal giudice delle leggi
“dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 55 L.392/78, sollevate con riferimento agli artt. 2, 3, secondo comma e 111 Costituzione, dal Tribunale ordinario di Modena con le ordinanze in epigrafe”
Il tema di indagine e la norma impugnata art.55 L.392/78 dalle ordinanze n. 53e 54/2019 del Tribunale di Modena.
Ci si consenta introdurre il commento, richiamando quanto ricorrentemente si ascolta nella nota trasmissione giornalistica d’inchiesta REPORT, relativamente alle vicende c.d. a “lieto fine” nella rubrica: “com’è andata a finire !”
Lo scrivente si era immediatamente occupato di commentare criticamente[1], le ordinanze di rimessione del Tribunale di Modena, difendendo la legittimità costituzionale della norma impugnata, concludendo: “Tuttavia, a parere di chi commenta, la nuova questione di illegittimità costituzionale dell’art. 55, offerta all’attenzione della Consulta, siccome argutamente e copiosamente motivata, non potrà superarne il vaglio, in quanto i doveri di solidarietà sociale e rispetto del giusto processo richiamati, sono tutti già rispettati dal concreto atteggiarsi del procedimento di convalida e dalle specifiche garanzie offerte dagli articoli 5 e 55, così come oggi interpretati ed applicati.
Pertanto, con la soddisfazione del giurista, si accoglie con plauso la sentenza della Corte Costituzionale che rigetta l’ordinanza di illegittimità della norma e richiama, almeno in parte, i medesimi argomenti a difesa della legittimità della norma impugnata, allargando gli orizzonti ed imponendo in modo chiaro ed esplicito una attenta rilettura della “sanatoria della morosità” (art. 55 L.392/78).
Giova ricordare che la rilettura dogmatica avanzata dal giudice remittente si basava sull’argomento critico di attualizzare la norma impugnata attraverso una “riflessione giuridica, ormai giunta compimento, in ordine alla clausola di buona fede in senso obiettivo quale fonti di obblighi in considerazione dell’interesse della controparte, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio, in ogni fase, anche quella patologica, del rapporto obbligatorio”.
Il Tribunale di Modena si interrogava infatti sulla necessità di applicare rigidamente la risoluzione del contratto di locazione, nelle ipotesi in cui all’interno del procedimento di convalida, successivamente allo spirare del “termine di grazia” ed in sede di udienza di verifica, residuassero il pagamento delle spese processuali o altre minime prestazioni, quali: “canoni scaduti, oneri accessori o interessi, avuto riguardo alle reciproche posizioni delle parti, determini un sacrificio sproporzionato dell’interesse abitativo del conduttore”.
In altri termini, il giudice remittente, rilevava una sproporzione degli interessi coinvolti, non potendo accettare che di fronte ad una morosità residua e limitata, la norma impugnata, impedisse di considerare l’ipotesi di una sanatoria postuma e prevedesse rigidamente la risoluzione del contratto, limitando, in questo senso, la possibilità del giudice dell’intimazione nel governare il procedimento di convalida, ponendosi l’articolo impugnato in violazione dell’articolo 2 e 3 della Costituzione per i doveri di “buona fede e solidarietà”, oramai immanenti nel sistema dei rapporti obbligatori e dell’articolo 111 Cost, inteso quale norma di presidio rispetto a forme eccedenti o devianti dalla tutela dell’interesse sostanziale.
Le opinioni della Corte Costituzionale.
Il focus sul quale si incentra il ragionamento della Corte Costituzionale riguarda l’impossibilità del giudice di discostarsi dal rigido dato normativo, comma 5^ articolo 55 L.392/78, nella parte in cui impone di pronunciare la risoluzione del contratto di locazione, attraverso l’emissione dell’ordinanza di convalida di sfratto, allorquando la sanatoria della morosità non sia integrale.
In altri termini, il giudice delle leggi rimarca la circostanza che in sede di udienza di verifica della convalida, non è più ammissibile una valutazione dell’importanza della somma residua da pagare da parte del Tribunale, che dovrà solo verificare se in applicazione dell’articolo 5 L.392/78, la morosità comprensiva di canoni, interessi e spese legali risulti integralmente saldata o meno.
Il ragionamento della Corte è più ampio, in quanto offre al lettore l’esegesi del percorso normativo dell’inadempimento delle obbligazioni e gli approdi giurisprudenziali consolidati.
Gli articoli 1453 e 1455 c.c. consentono la pronuncia di risoluzione del contratto, allorquando “l’inadempimento non abbia scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra” (prestazione); in caso di inadempienze reciproche delle parti – frequenti in ambito locatizio, ove alla pretesa del pagamento del canone viene sovente eccepito l’inadempienza agli obblighi del locatore – il giudice dovrà procedere ad un bilanciamento, esaminando il comportamento complessivo delle parti, prima di pronunciare la risoluzione del contratto[2].
Per quanto ci occupa, il giudice delle leggi cala tali principi all’interno dello speciale procedimento di convalida ex art. 658 c.p.c. e chiarisce, come l’azione di intimazione sia ammissibile a fronte del: ” mancato pagamento del canone alle scadenze. E’ la morosità di almeno un canone che vale a distinguere tra inadempimento idoneo, o no, per la convalida dell’intimazione”
Proseguendo nel ragionamento la Corte rileva che trovano applicazione anche nel giudizio di convalida, le regole generali in materia di obbligazioni, segnatamente gli articoli 1181 c.c., norma che consente al creditore di rifiutare un adempimento parziale ed il 1182 c.c., adempimento presso il domicilio del creditore
Peraltro, la disciplina della L.392/78 relativamente all’importanza dell’inadempimento ed agli effetti della pronuncia di risoluzione, mostra distinzioni tra i contratti ad uso abitativo e quelli ad uso diverso; infatti mentre solo per i primi, l’art.5 della medesima legge, impone al giudice della convalida una valutazione predeterminata sull’importanza dell’inadempimento[3], a tal proposito l’articolo è considerato “norma speciale a carattere derogatorio”, negli usi diversi tale criterio valutativo, ai fini della pronuncia di risoluzione, è rimesso ai criteri generali articoli 1453 e 1455 c.c.
La Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite[4] ha chiarito come lo speciale giudizio di convalida dello sfratto per morosità costituisce al tempo stesso un’azione costituiva di risoluzione del contratto e di condanna al rilascio dell’immobile locato.
D’altra parte, sempre il legislatore del ’78, aveva introdotto una disciplina processuale speciale di favore del conduttore, proprio attraverso l’applicazione dell’art.55 L.392/78, consentendo la possibilità a quest’ultimo di evitare la pronuncia di risoluzione, mediante l’integrale pagamento della morosità[5]; risulta noto che tale possibilità è concessa solo per i contratti ad uso abitativo, in esito a Cassazione civile SSUU 28.4.1999 n.272.
Di tanto, la giurisprudenza di merito e di legittimità hanno fatto applicazione, considerando che nei contratti ad uso diverso, anche l’integrale pagamento di quanto intimato con l’azione di sfratto per morosità alla prima udienza, non sottare la “rilevanza dell’inadempimento” ai fini della pronuncia di risoluzione, che potrà seguire solo attraverso il mutamento di rito ex art. 667 cpc e l’esperimento della mediaconciliazione.
In altri termini, nei contratti ad uso diverso, il pagamento tardivo vale per “purgare la morosità”, evitando l’ordinanza di convalida dello sfratto in sede sommaria, ma non cancella l’inadempimento rilevante, all’esito del giudizio di merito, ai fini della domanda di risoluzione del contratto[6].
3.Il rigetto delle ordinanze di rimessione, in quanto non sono violate le norme costituzionali: art. 2-3-111 Cost.
La Corte censura il ragionamento del giudice remittente, in quanto ritiene che l’art. 55 L.392/78 non violi l’articolo 3 Cost., avendo più volte sottolineato il giudice delle leggi, come la possibilità del locatore di agire mediante il procedimento di convalida è alternativa rispetto al giudizio ordinario di cognizione (azione di risoluzione e rilascio immobile) e, pertanto, come in esito all’opposizione del conduttore, siano a quest’ultimo assicurate le medesime garanzie processuali.
Cosicchè sotto il profilo dell’irragionevolezza del trattamento processuale non vi è alcuna violazione, determinata dal differente trattamento, tra le situazioni nelle quali il conduttore, a fronte della concessione del termine di grazia, sia rimasto totalmente inadempiente e quelle in cui abbia sanato “quasi integralmente” la morosità, come nel caso delle ordinanze di rimessione alla Corte.
Del pari, la Corte non ravvede nessuna violazione dell’articolo 24 Cost, atteso che anzi, attraverso l’istituto della sanatoria della morosità, il conduttore ha una garanzia in più, offerta dalla possibilità che con il pagamento integrale di quanto intimato, nel termine di grazia, possa “salvare” il contratto;[7] né sussiste discriminazione ai sensi dell’articolo 3 Cost; la circostanza che tale facoltà sia concessa sola alle locazioni abitative, in quanto l’interesse abitativo merita una tutela eccezionale e più intenso, atteso il diritto fondamentale che essa coinvolge[8].
Ciò considerato, proprio perché il perimetro legislativo risulta predeterminato ed atteso che l’articolo 55 L.392/78 contiene già “una disciplina speciale in bonam partem per il conduttore”, sarebbe irragionevole estendere il campo di applicazione della norma, oltre i confini determinati dalla legge e secondo l’interpretazione estensiva offerta dal giudice remittente a casi diversi da quelli già contemplati nella norma medesima.
In tal guisa, avendo il legislatore previsto che la sanatoria deve comprendere: canoni, interessi e spese processuali, con ciò sacrificando l’interesse del locatore ad ottenere la convalida in prima udienza e determinando quel favor per il conduttore, consistente nel termine di grazia per sanare la morosità, la scelta sul bilanciamento complessivo delle posizioni delle parti, risulta essere fatta a monte e quindi non può subire allargamenti da “audaci” interpretazioni giurisprudenziali, le quali si, nella materia processuale, risulterebbero arbitrarie ed irragionevoli.[9]
Anche la censura sul “giusto processo”, viene censurata dalla Corte, in quanto si rimarca la circostanza che è consentito al legislatore differenziare i modi di tutela giurisdizionale onde adeguarli al conseguimento di determinate finalità, tra le quali assume rilevanza quella di definire il giudizio, evitando abusi del diritto di difesa da parte del conduttore moroso che protragga eccessivamente il godimento del bene locato.[10]
Da ultimo, la Corte rileva la non pertinenza del richiamo alla violazione del canone di solidarietà (art. 2 Cost.), atteso che a fronte di un inadempimento grave, l’altra parte abbia legittimamente esercitato il proprio diritto di difesa ad agire per la risoluzione del contratto, allorquando la legge (art.1453, terzo comma cc) preclude l’adempimento tardivo.
Ci si consenta, compiacerci con la lineare e cristallina decisione del giudice delle leggi e sottolineare che: “è andata a finire come doveva finire”.
[1] Luppino S., Euroconference legal, 8 gennaio 2020: “L’illegittimità dell’articolo 55 L.392/78”.
[2] Cass. civ. 30.5.2017 n.13627; ordinanza 22.5.2019 n.13827.
[3] Art. 5 L.392/78: “…il mancato pagamento decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto degli oneri accessori quando l’importo non pagato superi quello di due mensilità del canone”
[4] SSUU 20.3.1985 n.2034
[5] Cass. civ. 29.7.2013 n.18224
[6] Cass. civ. 23.4.2008 n.10587
[7] Corte Cost, ordinanza 315 del 1986
[8] Corte Cost., ordinanza n.410 del 2001
[9] Ex plurimis: sentenza n.45 del 2019 Corte Cost.
[10] Corte Cost. 185 del 1980
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