Comunicare il pro bono

Ma come è giusto comunicare, pubblicizzare, rendere nota la propria attività pro bono? Ed è giusto e opportuno farlo? O il rischio è quello di apparire ostentatori?
Pro bono deriva dal termine di matrice latina pro bono publico “per il bene di tutti”, l’espressione è utilizzata per descrivere un fardello professionale di cui ci si fa carico volontariamente e senza la retribuzione di alcuna somma, appunto, come un servizio pubblico.
A differenza del volontariato, il pro bono, particolarmente comune nella professione legale, rappresenta la concessione gratuita di servizi o di specifiche competenze professionali al servizio di coloro che non sono in grado di affrontarne il costo.
A questo proposito, in Italia, è stata istituita, nel 2017, su iniziativa di avvocati, studi legali e associazioni forensi, l’associazione, Pro Bono Italia, con l’obiettivo di promuovere una cultura pro bono nel Bel Paese, della Funzione Sociale dell’Avvocatura, e come tale, strumento fondamentale per la tutela dei diritti umani e il miglioramento dell’ordinamento giuridico. L’associazione, attorno alla quale gravitano più di 750 persone, con 100 no profit nella rete, ha avuto 220 richieste di pro bono dalla sua fondazione.
Ma come è giusto comunicare, pubblicizzare, rendere nota la propria attività pro bono? Ed è giusto e opportuno farlo? O il rischio è quello di apparire ostentatori?
Avvocato pro bono: perché comunicarlo?
Riportare sul sito internet, sulle pagine social di studio o rendere noto tramite un comunicato stampa un progetto seguito pro bono da parte di uno studio legale è giusto, e va comunicato. In primo luogo perché, come anticipato prima, in molti casi, la causa che si prende l’impegno di assistere pro bono diventa parte del progetto di studio e fa da cornice anche ad una serie di altre attività che in qualche modo assumono, tramite questa, pieno significato; ma non solo, in secondo luogo, a mio avviso è opportuno comunicare l’attività pro bono anche per sensibilizzare i professionisti che invece non hanno ancora trovato il modo per dedicarsi a questo aspetto della professione, che in fin dei conti, la nobilita.
Ma attenzione, come in ogni cosa, è necessario perseguire un corretto metro linguistico, selezionare accuratamente i canali più appropriati, consultarsi con il proprio cliente circa la volontà di pubblicizzare l’attività e allinearsi ad esso pianificando un’attività di comunicazione comune e che abbia le stesse caratteristiche.
Professionisti e pro bono: attenzione a non esagerare
Gli eccessi si sa, procurano sempre delle brutte indigestioni. E così è anche per quanto riguarda la comunicazione. In particolare quando si tratta di annunciare un progetto pro bono, l’essere troppo invasivi, utilizzare canali estremamente pubblicitari, autoincensarsi, bombardare i social e le caselle di posta elettronica con messaggi che sottolineino il “quanto siamo stati bravi” procura esattamente l’effetto opposto. E può insinuare nel pensiero del lettore, perfino, che l’opera pro bono, non sia proprio stata una scelta dettata dal buon animo umano, ma che, invece, sia più un’operazione di marketing studiata accuratamente a tavolino.
Per questo è opportuno che anche la comunicazione sia curata nei dettagli e segua di pari passo quella dell’assistito.
Ci vuole continuità
Altro dato da tenere in seria considerazione è quello di abbracciare il pro bono come un’attività da portare continuativamente avanti. Mi spiego meglio: il pro bono non deve essere un episodio sporadico, quindi l’assistenza capitata casualmente ad una onlus, per esempio, ma tutto può assumere un maggior valore, se il pro bono diventa, all’interno degli studi professionali, uno dei progetti che si portano avanti nel corso della professione, e quindi della vita di uno studio, costruendo con le varie assistenze tanti tasselli che possano, in qualche modo, anche se solo in piccolissima parte, rendere questo mondo un posto migliore!
| a cura di Amalia Di Carlo
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