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La crisi sanitaria che interessa il nostro paese sta spingendo aziende e professionisti sempre di più verso il digitale; soprattutto in momenti come questi si apprezza la possibilità di lavorare a distanza, gestendo anche procedimenti di una certa delicatezza.

In tale contesto è opportuno considerare come molto spesso vengono (e verranno sempre di più) scambiati per via telematica documenti digitali che per la loro validità richiedono una firma elettronica, che frequentemente è una firma digitale.

Appare dunque fondamentale che di tale strumento venga fatto un utilizzo consapevole al fine di evitare invalidità sostanziali, negoziali o comunque difficoltà nella gestione di documenti che non rispecchino la normativa speciale vigente.

A tal proposito, in attesa che vengano emanate dall’Agenzia per l’Italia Digitale le nuove linee guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici (da tempo circolate in bozza ma non ancora divenute diritto vivente), la normativa di riferimento è costituita dal Codice dell’amministrazione digitale (d. lgs. 82/2005), dal dpcm 22 febbraio 2013 (regole tecniche sulle firme elettroniche), dal dpcm 3 dicembre 2013 (regole tecniche sulla conservazione dei documenti digitali) e dal dpcm 13 novembre ’14 (regole tecniche sulla formazione dei documenti informatici).

In particolare, occorre tenere presente le seguenti norme:

  • art. 24, comma 4-bis, CAD nella parte in cui dispone che “l’apposizione a un documento informatico di una firma digitale o di un altro tipo di firma elettronica qualificata basata su un certificato elettronico revocato, scaduto o sospeso equivale a mancata sottoscrizione”;
  • art. 62 dpcm 22 febbraio 2013, ai sensi del quale “le firme elettroniche qualificate e digitali, ancorché sia scaduto, revocato o sospeso il relativo certificato qualificato del sottoscrittore, sono valide se alle stesse è associabile un riferimento temporale opponibile ai terzi che collochi la generazione di dette firme rispettivamente in un momento precedente alla scadenza, revoca o sospensione del suddetto certificato”;
  • art. 41 dpcm 22 febbraio 2013, che individua come validi riferimenti temporali opponibili ai terzi quelli ottenibili dal servizio di protocollo informatico, dall’utilizzo della posta elettronica certificata, dalla marcatura temporale e dalla conservazione dei documenti informatici a norma del dpcm 3 dicembre 2013.

In estrema sintesi si possono enucleare alcune caratteristiche peculiari (o in qualche caso, degli aspetti negativi) dei suddetti servizi:

  • protocollo informatico: è ovviamente un ottimo strumento anche di gestione (talvolta imprescindibile), che è utilizzato però generalmente solo dalle pubbliche amministrazioni e dagli enti pubblici; garantisce la data certa e la validità nel tempo della firma digitale, non la leggibilità del documento;
  • posta elettronica certificata: è uno strumento già utilizzato da tutti i professionisti, anche dagli avvocati; garantisce la data certa e la validità nel tempo della firma digitale, non la leggibilità del documento. Inoltre, essendo uno strumento di recapito elettronico non si presta ad assolvere alle funzioni di un sistema gestionale;
  • marcatura temporale: garantisce la data certa e la validità nel tempo della firma digitale, non la leggibilità del documento. È inoltre un servizio a pagamento, talvolta non semplicissimo da utilizzare (anche perché, allo stato, porta alla produzione di documenti con estensione non gestita da nessuno dei processi telematici attivati sul territorio nazionale) e comunque demanda al sottoscrittore l’organizzazione gestionale dei documenti;
  • conservazione a norma del dpcm 3 dicembre 2013: garantisce la data certa, la validità nel tempo della firma digitale e la leggibilità del documento. Tale procedimento inoltre fornisce all’utente una coerente organizzazione gestionale dei documenti perché si tratta di un sistema che porta alla creazione di un vero e proprio archivio digitale, all’interno del quale possono confluire non solo documenti firmati digitalmente ma anche fatture elettroniche, PEC e ogni altro documento digitale al quale si voglia assicurare validità e stabilità nel tempo. Inoltre, l’archivio digitale garantisce la possibilità di esibizione dei documenti in ogni sede, anche giudiziale, in modo che sia sempre possibile documentare integrità e validità. Si tratta di servizio a pagamento e che viene svolto in outsourcing ma nel caso specifico si tratta di fornitori più che qualificati, che devono essere preventivamente accreditati presso l’Agenzia per l’Italia Digitale, che devono garantire la custodia dei documenti all’interno dell’Unione Europea e che devono rispettare il regolamento europeo sulla privacy.

Appare dunque evidente come l’adozione un archivio digitale sia ormai una esigenza fondamentale, anche laddove si tratti di gestire firme elettroniche. Naturalmente un simile archivio non è solo questo, cioè non è solo un metodo (oneroso) per tutelare le firme digitali, ma è molto di più. Si tratta in realtà dell’appendice fondamentale per il lavoro di ogni professionista che gestisca documenti digitali; solo conferendo questi all’interno di un archivio tenuto a norma di legge, infatti, si può avere la certezza della leggibilità, integrità e autenticità nel tempo del patrimonio documentale prodotto nel corso dell’attività professionale.

Basti ad esempio pensare agli atti e verbali prodotti durante una procedura di mediazione o negoziazione assistita svolta a distanza; si tratta di una mole di documenti digitali, molto spesso anche firmati digitalmente, che necessitano di archiviazione e che ovviamente non possono essere stampati.

Il completamento della corretta gestione degli stessi non potrà dunque che essere quello del versamento in un archivio tenuto a norma di legge; solo così potrà essere ad esempio gestita in ogni tempo la corretta esibizione di atti che potrebbero essere fondamentali anche in ipotesi di contenzioso.

23/03/2020
| a cura dell’Avvocato Giuseppe Vitrani
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