Le notificazioni telematiche, ultimi aggiornamenti giurisprudenziali
La materia delle notificazioni telematiche è stata interessata da pronunce contrastanti della Corte di Cassazione, soprattutto negli ultimi mesi.
La vicenda che appare maggiormente significativa (e si spera chiarificatrice) concerne la sentenza n. 24160 del 2019 con la quale è stato affermato che “per una valida notifica tramite PEC si deve estrarre l’indirizzo del destinatario solo dal pubblico registro ReGIndE e non dal pubblico registro INI-PEC”.
Nel caso scrutinato dalla Suprema Corte ci si è trovati di fronte ad una notificazione di un ricorso per regolamento di competenza effettuata ad un indirizzo PEC intestato al Tribunale di Firenze ipotizzando (in maniera indubbiamente errata) che il magistrato contro il quale si agiva potesse essere domiciliato presso tale indirizzo. In tale contesto si è giunti ad esprimere favor pressoché assoluto per il ReGindE come pubblico elenco utilizzabile per la notificazione telematica, giungendo addirittura a dichiarare la non utilizzabilità del registro INI-PEC.
La suddetta soluzione giuridica fornita dalla Suprema Corte è però apparsa da subito errata in quanto si è giunti ad affermare un principio di diritto, la prevalenza del suddetto pubblico registro sull’altrettanto pubblico registro INI-PEC, che non trova alcun fondamento nella normativa vigente e che è infondato anche a livello tecnico in quanto le basi di dati utilizzate per popolare entrambi sono le stesse, ovvero gli indirizzi di posta elettronica certificata comunicati dagli Ordini professionali.
Inoltre l’assunto si poneva e si pone in radicale contrato con la previsione dell’art. 16-ter d.l. 179 del 2012, che identifica entrambi i registri in questione come validi ai fini della notificazione a mezzo PEC
Fortunatamente però, l’ampio dibattito dottrinale sviluppatosi a seguito della pronuncia è stato colto dalla Corte di Cassazione, che ha attivato, d’ufficio, un procedimento per correzione di errore materiale, giungendo finalmente a statuire che l’affermazione generica della inattendibilità del registro INI-PEC, quale obiter dictum apparentemente appoggiato al precedente, isolato, n. 3709 del 2019, non è suscettibile di mettere in discussione il principio enunciato dalle S.U. n. 23620/2018 (ma, nello stesso senso, già Cass. n. 30139/2017), per cui “in materia di notificazioni al difensore, in seguito all’introduzione del “domicilio digitale”, previsto dall’art. 16 sexies del d.l. n. 179 del 2012, è valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui all’art. 6 bis del d. lgs. n. 82 del 2005, atteso che il difensore è obbligato, ai sensi di quest’ultima disposizione, a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è obbligato ad inserirlo sia nei registri INI PEC sia nel ReGindE, di cui al d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia (ordinanza di correzione di errore materiale n. 29749/2019).
Tale intervento è stato più che opportuno; probabilmente sono stati ampliati un po’ troppo i confini di applicazione del procedimento di correzione ma si è giunti all’emissione di un’ordinanza che ben esplica le ragioni dell’errore in cui si era caduti in occasione della redazione della sentenza e che si spera possa costituire da utile riferimento per future pronunce.
Si è così chiarito che l’intenzione era solo quella di evidenziare che era stato utilizzato un indirizzo telematico non riferibile ad un magistrato, non potendosi configurare una sua domiciliazione presso un ufficio giudiziario. In sostanza, afferma chiaramente la Suprema Corte, al di là delle espressioni utilizzate, l’intenzione era quella di affermare che l’indirizzo estratto dall’INI-PEC (peraltro, non diversamente da quello reperito sul ReGindE) non poteva essere utilizzato quale luogo virtuale di domiciliazione elettiva del magistrato in servizio presso un determinato ufficio giudiziario.
Per meglio ribadire il concetto la Corte di Cassazione ha anche chiarito che l’obiter dictum relativo alla generica affermazione di inattendibilità del cosiddetto “elenco INIPEC”, seppur all’apparenza appoggiato al precedente isolato di Cass. 3709/2019, non è in grado di mettere in discussione il principio affermato a chiare lettere dalle Sezioni Unite della stessa Suprema Corte secondo cui è pienamente valida la notificazione effettuata presso un domicilio reperito sul pubblico elenco di cui all’art. 6 bis del Codice dell’Amministrazione Digitale, ovvero e per l’appunto l’INI-PEC.
In modo da non lasciare adito a dubbi residui, con l’ordinanza in questione, si è affermato doversi ritenere espunta dal testo della sentenza n. 24160/19, la seguente affermazione:
“questo a prescindere dal fatto che il ricorso è stato notificato a mezzo PEC al Minniti…..a un indirizzo di posta elettronica certificata…estratto dall’indice nazionale INI PEC elenco che, oltre a non essere riferibile alla posizione del Minniti, è stato dichiarato non attendibile da Cass. n. 3709 del giorno 8 febbraio 2019”. E si è conseguentemente affermato che il periodo in questione deve leggersi nel modo seguente: “questo a prescindere dal fatto che il ricorso è stato notificato a mezzo PEC al Minniti…..a un indirizzo di posta elettronica certificata….estratto dall’indice nazionale degli indirizzi INIPEC, senza che essi siano riferibili alla posizione del Minniti, tenuto conto che la notifica a un magistrato non si comprende come possa essere validamente effettuata presso l’indirizzo di posta elettronica certificata della Cancelleria dell’immigrazione o presso l’ufficio del protocollo del Tribunale di appartenenza sul presupposto di una inesistente elezione di domicilio da parte del magistrato ai sensi dell’art. 141 c.p.c.”.
Come noto, la Suprema Corte ha il pieno potere, per consolidato orientamento giurisprudenziale, di correggere le proprie sentenze, ove inficiate da errore materiale. Si è recentemente ribadito che “in tema di ricorso per cassazione, in caso di mero errore materiale nella motivazione della sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione, ne va disposta la correzione, che dà vita ad un procedura avente natura amministrativa, non integrando essa un’impugnazione in senso tecnico, neppure nel caso in cui fosse introdotta ad istanza di parte, con la conseguenza che non si dà luogo a provvedimenti sulle spese” (Cass. SS. UU. 11510/19).
Nel caso di specie, la particolarità è senza dubbio rappresentata dal fatto che l’iniziativa è stata intrapresa d’ufficio e al fine di intervenire su di una parte di motivazione che costituiva chiaramente un obiter dictum. In tal modo la Corte di Cassazione ha dimostrato di aver preso atto dell’allarme che aveva destato la pronuncia poi corretta, unitamente alla precedente n. 3709/2019; allarme peraltro assolutamente giustificato dal momento che si era giunti ad affermare principi in radicale contrasto con il disposto normativo di cui all’art. 16 ter dl. 179 del 2012 e che avevano destato gravi timori nel mondo dell’avvocatura. L’iniziativa assunta dalla Corte di Cassazione va dunque salutata con estremo favore e con l’auspicio che abbia potuto sopire ogni possibile discussione circa l’attendibilità del registro INI-PEC ai fini della notificazione a mezzo posta elettronica certificata.
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