Sostenibilità: ma quanto ci costa?
Il tema è interessantissimo e le opinioni di economisti e studiosi non mancano: tra gli spunti che ho avuto il piacere di leggere voglio riprendere qui alcuni passaggi dell’articolo “Can we afford sustainable business” pubblicato dal MIT Sloan Management Review*.
Sul fatto che sia ampiamente percepita l’urgenza di contribuire a risolvere -o quanto meno a non peggiorare- le questioni climatiche e non che l’umanità sta affrontando non ci sono dubbi. Sulla scorta di questa consapevolezza le imprese -e anche qualche studio professionale finalmente- hanno risposto rilasciando una serie di dichiarazioni sul loro impegno verso la sostenibilità e in generale verso la riduzione delle ineguaglianze ma, sebbene le idee su come riuscirci non manchino affatto, quando poi si tratta di metterle in pratica il meccanismo si inceppa e la macchina operativa si ferma.
La maggior parte delle volte perché non si riesce ad eliminare la presunzione che qualsiasi iniziativa verso la sostenibilità conduca ad un aumento dei costi, tasse più alte, disavanzi di bilancio maggiori e, in ultima analisi, prezzi più alti.
La domanda “come facciamo a pagare tutto questo?” è un killer spietato anche delle migliori intenzioni.
Il grande assente nel dibattito che coinvolge le alte sfere alla ricerca di soluzioni che -in virtù della scala di applicazione- possano effettivamente avere un impatto è proprio il meccanismo del prezzo.
Gli autori dell’articolo suggeriscono che si facciano troppi pochi sforzi per trovare delle risposte creative e pensare meccanismi innovativi che spingano verso un accesso a prodotti e servizi più ampio ed equo, consumi più consapevoli ed efficaci e, non ultima, una più efficiente gestione dei rifiuti.
Le imprese, infatti, si trovano di fronte a quello che viene definito taboo trade-off:
- da una parte ci sono quelle realtà che cercano di scaricare i costi incrementali di un comportamento sostenibile a livello sociale e ambientale sui consumatori ma questi ultimi, non essendo disponibili ad accollarseli, o si orientano verso soluzioni più economiche o abbandonano il mercato
- dall’altra ci sono quelle che si accollano i costi sacrificando i propri margini, riducendo la qualità dove possibile o “strizzando” i fornitori fino a far tornare i conti.
Davanti a queste due alternative la soluzione che pragmaticamente viene adottata è “non fare niente”.
Eppure i leader avrebbero molto più spazio di quello che credono se solo smettessero di pensare che l’unica domanda da farsi sia “come facciamo a pagare tutto questo?” e che l’unica risposta possibile sia “includi nei prezzi le esternalità”.
Ogni decisione che attiene il prezzo dovrebbe prendere in esame tre aspetti:
- Per che cosa pagano i clienti?
- Chi paga?
- Quando e dove avviene la transazione?
Con il tempo le imprese tendono a dare per scontate le risposte a queste tre domande, erroneamente convinte che siano immutabili.
Cominciamo dalla prima.
Comprendere che cosa i clienti siano effettivamente disponibili a pagare definisce le modalità attraverso cui le organizzazioni generano i loro ricavi fornendo i “risultati” che i consumatori davvero desiderano e non semplicemente vendendo loro meri servizi e prodotti.
La logica “produco e vendo” può però determinare delle distorsioni -a livello finanziario o proprio fisico- che mettono a dura prova l’accesso all’offerta da parte dei clienti che, alla ricerca di una soluzione, finiscono con il comprare la prima cosa che gliela fornisca.
In questo modo però il consumatore non solo spesso non è soddisfatto ma nemmeno incentivato a adottare dei comportamenti responsabili. Se poi con l’acquisto si perfeziona un trasferimento di proprietà nasce anche il problema di come disporre lo smaltimento del bene in modo corretto una volta esausto.
Gli esempi di accordi economici alternativi che possono indirizzare questo genere di “frizioni” non mancano: basti pensare a sottoscrizioni, membership, pagamenti a consumo, accordi di compartecipazione alle entrate, contratti basati sulla performance, tanto per citarne alcuni- che possono soddisfare le esigenze dei clienti senza necessariamente trasferire la proprietà del bene e contestualmente anche incentivare consumi responsabili.
In seconda battuta è utile capire chi deve pagare, perché per quanto possa sembrare ingiusto non è detto che tutti i clienti debbano corrispondere lo stesso prezzo o addirittura pagare per quello che comprano.
I prezzi potrebbero, infatti, essere modulati a seconda della capacità o della volontà dei clienti di pagare o, quando sono terze parti a farlo, in funzione del valore percepito dall’utilizzatore finale.
In alcuni casi si può arrivare a pensare che non ci debba necessariamente essere uno scambio di denaro e che il cliente paghi il fornitore per soddisfare i suoi bisogni con una moneta diversa.
Per esempio, un produttore potrebbe fornire gratuitamente un servizio o un bene -magari da utilizzare in sostituzione di qualcos’altro e quindi modificando le abitudini del consumatore in modo virtuoso- che garantisca al cliente di soddisfare i suoi bisogni e gli permetta di pagare cedendo il valore che questa nuova abitudine di consumo ha generato.
Ancora. I prezzi potrebbero variare all’approssimarsi della scadenza del bene in modo da indurre i consumatori ad agire in modo responsabile a tutto vantaggio dell’ambiente e della società in generale.
Ultima considerazione: quando e come riscuotere il pagamento.
Formule come “micropagamenti” per consentire un accesso “granulare” all’offerta, possibilità di differire il pagamento in modo da alleggerire il peso finanziario del cliente o, ancora meglio, da allineare il momento in cui a fronte del costo otterrà il beneficio. Non mancano esempi creativi di pagamenti diventati un’opportunità per ingaggiare il cliente e magari farlo anche “divertire”.
E gli studi professionali che c’entrano in tutto questo? Chissà, potrebbe essere una bella occasione per fare le stesse riflessioni che le imprese sono sollecitate a fare. E ripensare in modo creativo, magari dopo aver interagito con i clienti, il proprio sistema di offerta, prezzi, modalità di pagamento.
E senza volersi spingere così avanti (peccato però…) resta per loro la grande opportunità di accompagnare i clienti e assisterli nell’individuazione delle formule più idonee a mantenersi competitivi e sempre più sostenibili.
https://sloanreview.mit.edu/article/can-we-afford-sustainable-business/
| a cura di Giulia Picchi – senior partner marketude
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