Il socio non è creditore della società quando ha fatto un c.d. versamento in conto capitale
Cassazione civile, Sez. I, Ordinanza, 17 novembre 2022, n. 33957
Parole chiave: Società di capitali – Società a responsabilità limitata – Capitale sociale – Capitale (aumento e riduzione) – Conferimenti
Massima: “Il versamento di danaro fatto a società di capitali dal suo socio in conto capitale è assimilabile ai conferimenti e al capitale di rischio della società ed entra a far parte del suo patrimonio, sì che esso non determina la nascita di un credito del socio verso la società, essendo la sua restituzione al conferente meramente eventuale, in quanto dipendente dalla condizione in cui verrà a trovarsi il patrimonio sociale al momento della liquidazione della società e alla possibilità che in tale patrimonio residuino valori sufficienti al rimborso dopo l’integrale soddisfacimento dei creditori sociali. Il contratto che ha per oggetto la cessione, a titolo oneroso, di tale inesistente credito verso la società, dal suo socio stipulato con un terzo, non è però nullo per mancanza del relativo oggetto, bensì determina l’attribuzione al cessionario della garanzia prevista dall’art. 1266, primo comma, cod. civ., recante disposizione di diritto speciale, derogatoria della disciplina legale della nullità del contratto per inesistenza del relativo oggetto. Con la conseguenza che la cessione è valida, sì che il cessionario è tenuto al pagamento del prezzo che non diviene indebito ed è, al contempo, attributario della garanzia di cui al citato articolo del codice civile.”
Disposizioni applicate: art. 1266 c.c., 1325 c.c., 1418 c.c. e 2350 c.c.
CASO
Nella fattispecie in esame, una S.p.A., allora socia di una società a responsabilità limitata, in quanto proprietaria di quota di partecipazione al relativo capitale pari alla metà dell’intero, aveva ceduto ad un soggetto (allora amministratore unico della s.r.l.) un credito verso la medesima s.r.l. a titolo di “finanziamento soci”, prestando al riguardo espressa garanzia circa l’esistenza del credito stesso.
Il pagamento del prezzo di cessione da parte del cessionario era stato garantito a fronte dell’emissione di una fideiussione.
Il cessionario ed il fideiussore avevano convenuto la S.r.l. in giudizio al fine di chiedere l’accertamento di inesistenza (ovvero la “incedibilità”) del credito oggetto della cessione a titolo oneroso; di conseguenza, l’accertamento della nullità ovvero l’inefficacia ovvero la risoluzione di tale contratto di cessione di credito ed in ogni caso, l’accertamento di insussistenza di debiti verso la s.r.l., rispettivamente, derivanti dalla cessione e dalla fideiussione.
Il Tribunale di prime cure aveva rigettato le domande attoree, mentre la Corte d’Appello aveva riformato la sentenza di primo grado, accertando la nullità del contratto di cessione di credito, per inesistenza del relativo oggetto.
Avverso tale decisione della Corte d’Appello avevano poi proposto ricorso in cassazione sia la S.p.A. che la S.r.l..
La Corte di Cassazione, rifacendosi ad un costante orientamento giurisprudenziale di legittimità sul punto, ha evidenziato come già da tempo fosse intervenuta sul tema della qualificazione da dare ai versamenti di danaro a vario titolo eseguiti alle società di capitali dai relativi soci, con particolare riferimento ai più frequenti: i finanziamenti in senso stretto; i versamenti di danaro a fondo perduto (detti anche “in conto capitale”); i versamenti di danaro finalizzati ad un futuro aumento di capitale.
Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha avuto più volte l’occasione di precisare che, in fatto di qualificazione della dazione di danaro dal socio alla società quale finanziamento o quale versamento in conto capitale o in contro futuro aumento di capitale, laddove manchi una chiara manifestazione di volontà della società e del socio al momento della dazione di danaro dal secondo alla prima, occorre ricavare la relativa chiave di lettura nella terminologia adottata in sede di bilancio, soggetto all’approvazione dei soci, diventando così determinanti le qualificazioni che i versamenti hanno ricevuto nel bilancio determinanti per stabilire se si tratta di finanziamento o di conferimento.
Nel caso di finanziamenti in senso proprio, si tratta di contratti di mutuo ex art. 1813 c.c. il danaro ricevuto dalla società viene iscritto nel relativo bilancio al passivo dello stato patrimoniale fra i debiti verso i soci. Ne consegue che tale danaro deve essere restituito dalla società al socio, il quale, laddove il socio ceda la propria quota di partecipazione a terzi, conserva (salvo patto contrario nel contratto di cessione della quota) il diritto alla restituzione del danaro a titolo di mutuo da parte della società.
Al contrario, i cosiddetti versamenti in conto capitale non comportano il diritto del socio al rimborso e sono infatti iscritti nel passivo dello stato patrimoniale tra le riserve, in modo da poter utilizzati a discrezione dell’assemblea per l’eliminazione delle perdite o per aumentare il capitale in via gratuita, imputandole a ciascun socio in proporzione alla partecipazione al capitale sociale, senza che abbia rilevanza chi sia stato l’autore del versamento.
Ciò significa che, nel caso di versamento di danaro in conto capitale, quanto dato dal socio resta acquisito a titolo definitivo al patrimonio della società, assimilandosi al capitale di rischio, orbene, come evidenziato dagli ermellini, l’assimilazione al capitale di rischio dei versamenti di danaro in conto capitale “ne rende impredicabile la cessione separata dalla stessa vendita della quota” (senza quindi che sussista in capo al socio il diritto alla restituzione del conferimento di cui all’art. 2350 c.c.).
Sulla scorta di quanto precede, la Corte di Cassazione ha quindi cassato la sentenza della Corte d’Appello, considerando che, in attuazione delle deliberazioni assembleari citate in sentenza, il versamento era stato qualificato in termini di versamento in conto capitale del danaro, non determinando la nascita di un diritto di credito del socio verso la società, essendo la sua restituzione meramente eventuale, in quanto dipendente dalla condizione del patrimonio sociale al momento della liquidazione della società e dal fatto che, una volta integralmente soddisfatti i creditori sociali, residuino somme a sufficienza per procedere al rimborso.
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