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Con il provvedimento annotato (sentenza n. 28297 del 28 settembre 2022), la Cassazione ha affrontato la questione afferente alla possibilità di far valere, in sede di legittimità, la sopravvenuta stabilizzazione del rapporto di lavoro.

Nella vicenda di specie, il tribunale di primo grado, dichiarati illegittimi (per mancanza di prova del contratto di fornitura a termine) i contratti di somministrazione a termine e poi di lavoro a tempo determinato intercorsi fra il Ministero dell’Interno e una lavoratrice, condannava detta amministrazione a pagare alla lavoratrice medesima a titolo risarcitorio dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Il Ministero proponeva gravame, ma la corte territoriale rigettava l’impugnazione, confermando la sentenza di primo grado.

Il Ministero, pertanto, ricorreva dinanzi alla Suprema Corte articolando vari motivi, peraltro allegando solo successivamente in memoria la sopravvenuta (rispetto alla notifica del ricorso per cassazione) stabilizzazione del rapporto di lavoro della controricorrente.

La Cassazione, dopo aver dato conto dell’infondatezza dei motivi di ricorso enucleati dal Ministero rispetto alla sentenza della corte d’appello, si è soffermata diffusamente sulla difesa – come detto, esercitata dall’amministrazione ricorrente solo in memoria – attinente all’asserita sopravvenuta stabilizzazione della controricorrente.

Il ragionamento in parte qua della Suprema Corte abbraccia due ordini di riflessioni: una prima riflessione attiene all’inquadramento della difesa in questione; una seconda riflessione concerne il regime processuale della stessa, con precipuo riguardo al giudizio di legittimità.

Dal primo punto di vista, la Cassazione osserva che la difesa de qua integra un’eccezione di merito e non una mera difesa; ciò in quanto essa non consiste nella mera contestazione dei fatti ex adverso posti a fondamento della pretesa (o dell’applicabilità delle norme sempre ex adverso invocate), ma si sostanzia nella deduzione di un fatto a rilievo impeditivo, modificativo o estintivo del diritto fatto valere dalla controparte.

In questo ordine di idee, l’eccezione di sopravvenuta stabilizzazione della lavoratrice avrebbe l’effetto di impedire, modificare o estinguere il diritto al risarcimento per equivalente economico del c.d. danno comunitario da abuso nelle assunzioni precarie.

Prosegue la Cassazione osservando che quella in esame è un’eccezione in senso lato e non in senso stretto, queste ultime essendo solo quelle che la legge espressamente riserva all’interessato oppure quelle in cui il fatto in cui si sostanzia l’eccezione corrisponde all’esercizio d’un diritto potestativo, esercizio che per svolgere la propria efficacia modificativa, impeditiva o estintiva di un rapporto giuridico suppone il tramite di una manifestazione di volontà della parte (cfr., tra le altre, Cass., sez. un., 27 luglio 2005, n. 15661, in FI, 2005, 1, 2659, con nota di Oriani).

Dal secondo punto di vista, la S.C., intanto, rileva che l’eccezione di che trattasi si rivela inammissibile già soltanto perché nel giudizio di legittimità la memoria ex art. 378 o ex art. 380-bis.1 c.p.c. ha solo la funzione di illustrare e chiarire le ragioni svolte in ricorso o in controricorso e di confutare le tesi avversarie, non di dedurre nuove eccezioni o sollevare nuove questioni di dibattito, posto che, altrimenti, verrebbe violato il diritto di difesa dell’altra parte di avvalersi di un congruo termine per esercitare la facoltà di replica.

Ad avviso della Corte, tale impedimento colpisce anche le questioni rilevabili d’ufficio che richiedano però ulteriori accertamenti di fatto (cfr. anche Cass., 25 ottobre 2017, n. 25319), come l’eccezione in esame; e a nulla varrebbe, in senso contrario, far leva sulla circostanza che l’eccezione si basa su un fatto sopravvenuto: infatti, nel giudizio di legittimità non possono essere allegati fatti sopravvenuti (e, a fortiori, neppure già verificatisi in pendenza dei gradi merito). Questo aspetto, del resto, è rimarcato anche dall’insegnamento dottrinale tradizionale: con riferimento alle questioni di merito, nel giudizio di Cassazione – che è un giudizio di pura legittimità – non è mai possibile l’allegazione di ulteriori fatti, i quali possono essere allegati, al massimo, fino alla precisazione delle conclusioni nel processo da cui è scaturita la sentenza impugnata per cassazione; stesso discorso vale per i fatti sopravvenuti (rispetto a tale precisazione delle conclusioni), che casomai possono essere dedotti nel giudizio di rinvio, qualora la Cassazione accolga il ricorso e rinvii ad altro giudice per la fase rescissoria (cfr. F.P. Luiso, Diritto processuale civile, II, Giuffrè, 2015, 459 ss., il quale evidenzia le differenze, in parte qua, tra fatti sopravvenuti e ius superveniens).

In subiecta materia, il punto – come giustamente osserva la Cassazione nel provvedimento annotato – è che occorre distinguere tra vera e propria allegazione del fatto e mera rilevazione dell’efficacia giuridica (di tipo impeditivo, estintivo o modificativo) di un fatto già pacificamente risultante dagli atti di causa, ancorché sopravvenuto rispetto all’instaurazione del processo.

Questa riflessione viene sviluppata dal Supremo Collegio per criticare un precedente invocato a propria difesa dal Ministero ricorrente (Cass., 24 novembre 2020, n. 26757, in Studium juris, 2021, 787), il quale avrebbe ricavato, da remoti precedenti della Corte (Cass., 26 marzo 1980, n. 2010; Cass., 14 maggio 1981, n. 3173; Cass., 17 aprile 1982, n. 2341), una sorta di analogia – sul piano della deducibilità nel giudizio di cassazione – tra factum superveniens e ius superveniens.

Secondo la Cassazione, i precedenti de quibus, in realtà, avevano ammesso, non già l’allegazione per la prima volta in sede di legittimità di fatti, bensì – giustappunto – soltanto la loro mera rivelazione.

Ad ogni modo – prosegue la Suprema Corte nel provvedimento annotato –, la sentenza richiamata dal Ministero si basa su presupposti che non ricorrono nella vicenda di specie.

Infatti, nella sentenza n. 26757/2020 la Corte esamina il fatto sopravvenuto nella veste di giudice del merito ex art. 384, comma 2, c.p.c.; ma la decisione nel merito ai sensi della norma testé menzionata presuppone, per espresso tenore letterale della norma e logica di sistema, l’avvenuta previa cassazione (totale o parziale) della sentenza impugnata, mentre nel caso di specie essa non risulta viziata sotto nessuno dei profili di censura fatti valere nel ricorso del Ministero dell’Interno.

In altri termini, una volta che la controversia sia stata portata innanzi al giudice di legittimità, ex art. 384, comma 2, c.p.c. esiste un’ineludibile priorità logico-temporale tra la previa statuizione rescindente e l’eventuale giudizio rescissorio in cui ipoteticamente valutare un dato fatto nuovo; e supporre che si possa prima ampliare il thema decidendum e probandum ammettendo nuove allegazioni di fatto (per quanto relative ad eventi sopravvenuti) e, solo dopo e per effetto di ciò, cassare in tutto o in parte la sentenza impugnata significherebbe invertire tale sequenza logico-temporale, in manifesta violazione dell’art. 384, comma 2, c.p.c.

Del resto, a differenza che nel caso di specie, nella vicenda poi decisa da Cass. n. 26757/2020 non si era posta, in sede di legittimità, la necessità dell’accertamento del fatto sopravvenuto, il quale è stato ritenuto pacifico (e la Corte ha espressamente richiamato l’esigenza di assicurare la ragionevole durata del processo, confrontandosi con l’alternativa del giudizio di rinvio)

D’altro canto, prima di maturare un giudizio di certezza sul fatto, occorrerebbe dar sfogo al contraddittorio, consentendo all’altra parte di replicare sul fatto sopravvenuto con attività assertiva e probatoria, ossia con un’attività ammissibile nel giudizio di rinvio solo se sia resa necessaria a seguito di sentenza rescindente; trattasi di attività non consentita nel giudizio di legittimità, che per sua natura e struttura non contempla udienze di trattazione o di assunzione di prove, e ove è precluso alla Corte Suprema di decidere la causa nel merito ove siano necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Francesco Campione, avvocato in Lucca

Visualizza il documento: Cass., 28 settembre 2022, n. 28297

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