Il diritto alla libera manifestazione del proprio pensiero, tutelato in via generale dall’art. 21 Cost., è riconosciuto al lavoratore anche dall’art. 1 della l. 20 maggio 1970, n. 300 e, pur dovendosi contemperare con l’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c., non può essere compresso al punto tale da scadere in una sorta di dovere di omertà che non trova spazio alcuno nell’ordinamento.
Il caso di specie
Alcuni dirigenti di un istituto pubblico erano destinatari di sanzioni disciplinari conservative (rimprovero scritto e multa) in quanto veniva loro addebitato di aver nuociuto all’immagine della P.A. di appartenenza e del Presidente dell’istituto presso cui erano impiegati per avere essi inviato una nota al Ministro di riferimento nella quale venivano espresse critiche e dissenso rispetto all’operato del superiore.
Il Tribunale del Lavoro di Roma, con la sentenza n. 9312 del 10 novembre 2022, qui annotata, investito del ricorso dei dirigenti, dichiarava la nullità delle sanzioni disciplinari ritenendo che i comportamenti oggetto di censura rientrassero invece nell’ambito del legittimo esercizio dei diritti di dissenso e critica riconosciuti a tutti i lavoratori.
La pronuncia del Tribunale di Roma
Il Giudice del Lavoro si è innanzitutto soffermato ad inquadrare la fattispecie del “
diritto di critica” quale ipotesi scriminante della condotta, in ipotesi censurabile, del lavoratore.
Come noto, tale diritto trova fondamento nella libertà di manifestazione del pensiero protetta dall’art. 21 Cost. e dall’art. 1 l. 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. “Statuto dei Lavoratori”), libertà che deve comunque contemperarsi con i doveri di fedeltà, correttezza e buona fede (artt. 2105, 1175 e 1375 c.c.) che tutelano i diritti della personalità all’onore e alla reputazione del datore di lavoro.
Il bilanciamento tra gli opposti interessi, ricorda il Tribunale, comporta che la divulgazione all’esterno di fatti o accuse da parte del lavoratore nei confronti dell’imprenditore debba avvenire nel rispetto dei limiti di
continenza formale (legata alla rilevanza costituzionale dei beni che si intendono tutelare attraverso la critica) e di
continenza sostanziale (connessa alla veridicità dei fatti denunciati e alla correttezza del linguaggio utilizzato).
In estrema sintesi, occorre quindi che il lavoratore non faccia un uso strumentale, distorto, calunnioso delle facoltà connesse al diritto di criticare fatti accaduti all’interno dell’azienda e si astenga dall’intraprendere iniziative volte a dare pubblicità di quanto portato a conoscenza delle autorità competenti (attraverso denunce penali o amministrative).
Nel caso concreto il Giudice capitolino accertava che la critica rivolta dai dirigenti coinvolti alla Presidenza dell’istituto ed indirizzata al Ministro competente era consistita nella denuncia di fatti specifici, con argomentazioni fondate su rilievi obiettivi e documentati, peraltro già di dominio pubblico, e non era stata diffusa dai denuncianti a soggetti estranei all’organizzazione gerarchica né erano stati utilizzati toni ed espressioni sconvenienti.
Come conseguenza dell’accertato legittimo esercizio del diritto di critica, pertanto, il Tribunale dichiarava la nullità dei provvedimenti disciplinari comminati dall’istituto, con condanna di quest’ultimo anche alla rifusione delle spese legali.
Diritto di critica e diritto al dissenso
Nel corpo della motivazione il Giudice del lavoro fa anche riferimento al “
diritto al dissenso”, quale fattispecie di esonero da responsabilità del lavoratore, definendolo come una manifestazione di volontà divergente da quella altrui che può svolgersi anche attraverso la formulazione di critiche destinate a spiegare le ragioni della mancanza di consenso.
Diritto di critica e diritto al dissenso, pertanto, sarebbero fattispecie non coincidenti seppur accomunate dalla necessità del rispetto dei limiti di continenza formale e sostanziale.
In concreto tale distinzione tra le due figure appare peraltro poco rilevante dal momento che nelle pronunce giurisprudenziali i diritti di critica e dissenso vengono di fatto accostati ed accompagnati l’uno all’altro (si veda, ad esempio, sempre in ipotesi di lavoratore-dirigente, Cassazione 31 maggio 2022, n. 17689).
Ora, se il dissentire costituisce una diversità di parere e di vedute, vi è da chiedersi se esso, laddove espresso dal lavoratore in maniera consona, costituisca un disvalore (passibile di censura disciplinare) o non sia piuttosto espressione di un suo interesse positivo alle sorti dell’azienda, nel cui ambito egli pur sempre svolge ed esplica la sua personalità secondo quanto previsto e tutelato dall’art. 2 Cost.
La norma di cui all’art. 2105 c.c. ha la funzione essenziale di tutelare la posizione economica dell’impresa nel mercato, e la giurisprudenza va interpretando l’elemento fiduciario oggetto di tale disposizione in maniera evolutiva, abbracciando una varietà sempre maggiore di ipotesi aventi tutte come minimo comune denominatore la sempre più marcata corresponsabilità ricondotta in capo al lavoratore rispetto alle sorti dell’impresa all’interno della quale egli opera.
Se quindi in capo al prestatore di lavoro è ricondotta la (cor)responsabilità nella salvaguardia degli interessi aziendali, una critica costruttiva espressa dallo stesso rispetto ad una determinata situazione imprenditoriale in atto dovrebbe essere vista come atteggiamento di cooperazione del lavoratore al fine di migliorare l’organizzazione dell’attività.
In una prospettiva di sviluppo del sistema delle relazioni lavorative, pertanto, il “dissenso costruttivo” del dipendente, ben lungi dal costituire una violazione del dovere di
fedeltà all’imprenditore, andrebbe piuttosto qualificato quale espressione più nobile di
fedeltà all’organizzazione d’impresa, come tale quindi meritevole di essere preso in considerazione in quanto sintomo della «collaborazione nell’impresa» alla quale il prestatore di lavoro è chiamato dall’art. 2094 c.c.
Agostino Bighelli, avvocato in Verona
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Trib. Roma, 10 novembre 2022, n. 9312
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Il diritto di critica del lavoratore, ovvero riconoscere il dissenso come forma più nobile di fedeltà all’organizzazione datoriale sembra essere il primo su
Rivista Labor - Pacini Giuridica.