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in-caso-di-malattia-professionale-o-infortunio-sul-lavoro-con-esito-mortale-che-abbia-determinato-il-decesso-non-immediato-del-lavoratore-al-danno-biologico-terminale-puo-aggiungersi-una-componente
Con ordinanza n. 36481 del 15 dicembre 2022, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito al risarcimento dei danni non patrimoniali spettanti agli eredi di un lavoratore deceduto, non immediatamente, a seguito di malattia professionale. Nel caso di specie, gli eredi del lavoratore, morto nel 2006 a seguito di mesotelioma pleurico diagnosticatogli nel 2005 e riconosciuto dall’Inail quale malattia professionale, ricorrevano avverso la sentenza della Corte d’appello territorialmente competente, contestando i criteri di liquidazione del danno adottati dal Collegio, il quale, nello specifico, aveva ricondotto a nozione unitaria il pregiudizio subìto dal dante causa, qualificandolo come danno biologico terminale ricomprendente sia il danno da lucida agonia o morale catastrofale, sia il danno biologico ordinario. Nel decidere in merito al ricorso degli eredi, la Corte di Cassazione ha, innanzitutto, ribadito che, in caso di malattia professionale o infortunio sul lavoro con esito mortale, che abbia determinato il decesso non immediato della vittima, al danno biologico terminale, consistente in un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell’evento lesivo fino a quella del decesso), può aggiungersi una componente di sofferenza psichica, il c.d. danno catastrofale (cfr., ex multis, Cass., 19 giugno 2020, n. 12041). Si tratta, dunque, di danni che vanno tenuti distinti e liquidati con criteri diversi: invero, la liquidazione del danno biologico terminale può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea, mentre per il danno catastrofale occorre effettuare una liquidazione sulla base di un criterio equitativo puro. In particolare, rileva la Suprema Corte, la liquidazione del danno biologico da invalidità temporanea totale può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea in relazione alla menomazione dell’integrità fisica patita dal danneggiato sino al decesso. Inoltre, la liquidazione del danno biologico terminale deve essere adeguata alle circostanze del caso concreto, ossia al fatto che, se pur temporaneo, tale danno è massimo nella sua intensità ed entità, tanto che la lesione alla salute non è suscettibile di recupero ed esita, anzi, nella morte. Invece, il danno catastrofale – che integra un danno non patrimoniale di natura del tutto peculiare consistente nella sofferenza patita dalla vittima che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita – comporta la necessità di una liquidazione che si affidi a un criterio equitativo denominato “puro” − ancorché sempre puntualmente correlato alle circostanze del caso – che sappia tener conto della sofferenza interiore psichica di massimo livello, correlata alla consapevolezza dell’approssimarsi della fine della vita, la quale deve essere misurata secondo criteri di proporzionalità e di equità adeguati alla sua particolare rilevanza ed entità, nonché all’enormità del pregiudizio sofferto a livello psichico in quella determinata circostanza (cfr., ex multis, Cass., 31 ottobre 2014, n. 23183). Peraltro, ai fini della sussistenza del danno catastrofale, la durata di tale consapevolezza non rileva ai fini della sua oggettiva configurabilità, ma esclusivamente per la sua quantificazione secondo i suindicati criteri di proporzionalità e di equità (cfr., ex multis, Cass., 20 giugno 2019, n. 16592). Nello specifico, per quanto concerne la quantificazione del predetto danno, al fine di ottenere uniformità di trattamento a livello nazionale nella liquidazione del danno catastrofale, si reputa necessario fare riferimento al criterio di liquidazione adottato dal Tribunale di Milano, considerata l’ampia diffusione dell’utilizzo di tale criterio sul territorio nazionale, oltre al riconoscimento attribuito al medesimo dalla giurisprudenza di legittimità, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono (cfr., ex multis, Cass., 20 aprile 2017, n. 9950). Alla luce di quanto sopra, dunque, il Collegio ritiene che la sentenza della Corte d’appello sia in contrasto con i principi di diritto su enunciati, atteso che, innanzitutto, la stessa non ha preso in considerazione la duplice componente fenomenologica del danno patito dal lavoratore, avuto riguardo sia agli effetti che la lesione del diritto della salute ha comportato nella dimensione dinamico-relazionale del soggetto danneggiato, sia alle conseguenze subite dallo stesso nella sua sfera interiore, sub specie di sofferenza, di paura, di angoscia, di disperazione, anche in considerazione del prevedibile esito letale. Inoltre, la sentenza impugnata non ha tenuto conto del criterio di liquidazione individuato dalla giurisprudenza di legittimità nelle tabelle che stimano l’inabilità temporanea assoluta con opportuni “fattori di personalizzazione”, quale parametro di conformità della valutazione equitativa del danno alle disposizioni degli artt. 1226 e 2056 c.c. Pertanto, la Suprema Corte ha cassato la detta sentenza, con rinvio al giudice affinché si proceda ad effettuare una nuova liquidazione del danno non patrimoniale iure hereditatis, applicando i principi sopra riportati. Federica Negri, avvocato in Milano Visualizza il documento: Cass., ordinanza 15 dicembre 2022, n. 36841 Scarica il commento in PDF L'articolo In caso di malattia professionale o infortunio sul lavoro con esito mortale, che abbia determinato il decesso non immediato del lavoratore, al danno biologico terminale può aggiungersi una componente di sofferenza psichica, il c.d. danno catastrofale, da liquidarsi secondo un differente criterio sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.

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