Negli ultimi anni, le riflessioni sul potere direttivo si arricchiscono di un rinnovato interesse da parte della giurisprudenza. Questo interesse, probabilmente, trova la sua origine nell’urgenza, più che mai sentita, di tracciare i confini della subordinazione, distinguendola, da un lato, dal potere organizzativo,
ex art. 2 del D.lgs. n. 81/15, e, dall’altro, dal coordinamento, come definito dal “nuovo” art. 409 cod. proc. civ.
Il primo segnale era stato lanciato, appena prima dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 81/15, dalla Corte costituzionale (Corte cost. 7 maggio 2015, n. 76, in
GCost, 2015, 3, 680); poi, il testimone è stato raccolto anche dalla Cassazione, fino alla recente ordinanza n. 38182 del 30 dicembre 22, qui in commento, che si inserisce puntualmente in un dialogo tra Corti in cui si torna a valorizzare il potere direttivo, disciplinare e di controllo sulle modalità di svolgimento della prestazione come «
criterio discretivo» tra lavoro subordinato ed autonomo.
Anche secondo la pronuncia annotata, infatti, la soggezione ai suddetti poteri resta l’elemento «
essenziale» ed «
indefettibile» per dimostrare la natura subordinata del rapporto; il che si traduce, processualmente, nell’onere per il lavoratore ricorrente di allegare e provare tali circostanze, che costituiscono
causa petendi della domanda di accertamento della subordinazione.
Riecheggia qui, dunque, la tradizionale impostazione di quella dottrina che aveva indagato la nozione e i contenuti del potere direttivo, giungendo alla conclusione che quest’ultimo non rientra fra le obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro, ma assolve il compito di individuazione della fattispecie, essendo causa stessa del contratto o, come afferma la Cassazione, una «
modalità di essere del rapporto».
Resta, però, aperto un grande tema, che la Cassazione, a dire il vero, non ha ancora affrontato
funditus. Si tratta cioè di capire in cosa si sostanzi esattamente questo potere direttivo sulle modalità di svolgimento della prestazione, anche al fine di poter individuare quali fatti costitutivi debbano essere dedotti in giudizio dal lavoratore, per poter poi tentare di ottenere una pronuncia di accertamento della subordinazione.
Sul punto, occorre innanzitutto ricordare che il potere direttivo tipico della subordinazione si manifesta in diverse dimensioni, cui fanno capo altrettante posizioni giuridiche attive e passive, rispettivamente del datore di lavoro e del lavoratore.
La forma più tradizionale di questo potere, che potremmo indicare con l’espressione potere direttivo
tout court, è l’assoggettamento del lavoratore agli ordini che attengono alle concrete modalità di svolgimento della prestazione. L’eterodirezione qui, dunque, si sostanzia nell’indicazione di “come” il prestatore deve attendere a determinati compiti, e cioè nelle “istruzioni” impartite dal datore che hanno ad oggetto la tecnica di esecuzione del lavoro assegnato.
Questa precisazione, tuttavia, non è ancora sufficiente a delimitare i confini della subordinazione, poiché, come insegna la Suprema Corte «
istruzioni e direttive sono caratteristiche riscontrabili anche nelle collaborazioni in forma autonoma, dovendo in questi casi l’attività lavorativa coordinarsi con gli obiettivi aziendali» (Cass. 25 settembre 2007, n. 19723, in
GL, 2010, 7, 39; Cass. 22 dicembre 2009, n. 26986, in
NGL, 2010, 1, 3; Corte d’Appello di Milano, 29 settembre 1999, in
GLav, 2000, n. 14, 47; Cass. 7 ottobre 2004, n. 20002, in
FI, 2005, I, 2429; Cass. 5 aprile 2005, n. 7025, in
GLav, 2005, 27, 42; Cass. 27 gennaio 2005, n. 1682, in
GLav, 2005, 16, 31; Cass. 28 luglio 1999, n. 8187, in
RIDL, 2000, II, 280; Cass. 5 aprile 2002, n. 4889, in
FI, 2002, I, 274).
È noto, infatti, che istruzioni e direttive sono presenti anche nel contratto di lavoro autonomo, specie se coordinato, come quello dell’agente di commercio (artt. 1711, comma 2, 1717, comma 3, 1739, comma 1, 1746, comma 1, cod. civ.); questo principio è stato affermato anche dalle Sezioni Unite secondo cui il prestatore d’opera coordinato e continuativo è soggetto ad un coordinamento che fa capo ad altri, in un rapporto che può presentare connotati simili a quelli del rapporto di lavoro subordinato (Cass. S.U. 20 gennaio 2017, n. 1545, in
GI, 2017, p. 1160).
Parimenti, istruzioni e direttive si rinvengono anche nel contratto di appalto (art. 1661, comma 1, art. 1662, comma 2 e 3), ove «
La circostanza che il personale dell’appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell’appaltatore non è da sola sufficiente per configurare quell’esercizio di potere direttivo ed organizzativo che caratterizza il rapporto di lavoro subordinato» (Cass. 13 marzo 2019, n. 7170, inedita); lo stesso vale per gli associati in partecipazione, il cui rapporto di lavoro può essere qualificato come subordinato solo ove emerga un effettivo vincolo di subordinazione «
più ampio del generico potere dell’associante di impartire direttive ed istruzioni al cointeressato» (Cass. 22 novembre 2011, n. 24619, in
RGL, 2012, II, 3, 526 ss.; Cass. 7 febbraio 2022, n. 3762, inedita; Cass. 13 dicembre 2010, n. 25150, in
MGL Rep., 2010, 10).
In qualsiasi rapporto di durata, infatti, è impossibile predeterminare tutte le variabili esigenze che l’esecuzione della prestazione può porre nel suo svolgimento temporale. È quindi naturale che, per assolvere la funzione cui il contratto è destinato, gli elementi che non possono essere individuati nel contratto stesso vengano specificati nella fase dell’esecuzione; e ciò non può avvenire se non mediante l’esercizio di un potere di istruzione o di coordinamento da parte del creditore della prestazione, che è il titolare dell’interesse che la prestazione medesima è diretta a soddisfare.
Ciò premesso, è evidente allora che il potere direttivo tipico del rapporto di lavoro subordinato può essere integrato solo attraverso circostanze di fatto idonee a dimostrare un potere del datore di lavoro di emanare non semplici direttive generali, ma ordini specifici, reiterati ed intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa, impartiti a seconda delle mutevoli esigenze dell’organizzazione imprenditoriale.
Va dato atto, però, che l’evoluzione del mercato del lavoro sta gradualmente facendo perdere rilevanza definitoria a questo profilo del potere direttivo, dovendosi ormai “fare i conti” con lavori subordinati in cui non è agevole cogliere ordini e direttive tecniche sull’esecuzione della prestazione, e, dall’altro, collaborazioni autonome che presentano non poche caratteristiche in comune con il rapporto di lavoro subordinato.
Allo stesso modo, sembra ormai avere poca attitudine qualificatoria l’altra dimensione del potere direttivo, e cioè il vincolo di disponibilità funzionale del lavoratore, che si sostanzia nell’obbligo assunto dal lavoratore di rimanere a disposizione del datore di lavoro per una certa quantità di tempo affinché questi possa specificare i contenuti della prestazione. Anche qui, infatti, l’evoluzione del mercato del lavoro pone l’interprete innanzi a nuove figure di lavoratori che, pur subordinati, si caratterizzano per l’assenza di vincoli temporali e spaziali.
Non a caso, la difficoltà di pervenire con sufficiente grado di certezza alla qualificazione (o riqualificazione), induce sovente la giurisprudenza, e anche la sentenza in commento, a ricorrere ad indici sussidiari che permettano di risalire in via presuntiva all’eterodirezione della prestazione, ponendosi l’ulteriore problema di individuare, in concreto, quali siano gli elementi indizianti gravi, precisi e concordanti ai sensi dell’art. 2729 cod. civ.
Una strada per risolvere questi problemi potrebbe essere quella di valorizzare l’altra dimensione in cui è scomponibile il potere direttivo, e cioè il potere di conformazione o di scelta, che si sostanzia nella specificazione dei compiti lavorativi che, di volta in volta, il datore richiede al lavoratore e che costui deve eseguire. Non si tratta, cioè dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive sul “come” svolgere le mansioni, ma sul “cosa fare quando”, cioè su quali attività svolgere in un determinato momento, magari preferendo una determinata sequenza invece di un’altra.
È su questo terreno che si colgono le maggiori differenze con il lavoro autonomo e che si può intravedere il vero epicentro della subordinazione. Il collaboratore parasubordinato, infatti, può concordare direttive e istruzioni su come svolgere il lavoro, ma non può essere assoggettato al potere che il committente potrebbe esercitare ogni momento sul “cosa fare”. Questa distinzione trova conferma anche nella definizione normativa di coordinamento, introdotta dall’art. 15, d. lgs. n. 81/2017, che ha integrato l’art. 409, n. 3 cod. proc. civ., prevedendo che il collaboratore «
organizza autonomamente l’attività lavorativa»; una definizione, questa, che sarebbe palesemente incompatibile con un potere di conformazione del committente volto ad imporre, in qualsiasi momento, ciò che deve fare o non fare il collaboratore.
Così individuati i contenuti del potere direttivo tipico del rapporto di lavoro subordinato, diventa più semplice risalire anche quelli del potere di controllo e del potere disciplinare, che sono i caratteristici corollari dell’eterodirezione della prestazione, e che pure sono stati ritenuti rilevanti dalla pronuncia in commento. È evidente, infatti, che non tutti i controlli potranno automaticamente integrare i requisiti per l’accertamento della natura subordinata del rapporto, poiché non tutti i controlli sono volti alla verifica delle modalità tecniche di esecuzione della prestazione (potere direttivo
tout cort), ovvero dell’osservanza di un determinato orario imposto da altri (vincolo di disponibilità funzionale), ovvero ancora dell’esecuzione dell’attività nella sequenza prescelta dall’azienda (potere di conformazione). Lo stesso vale anche per l’esercizio del potere disciplinare, arrivandosi altrimenti al paradosso di elevare ogni semplice biasimo del committente ad una manifestazione del potere previsto dall’art. 2106 cod. civ. Si tratta, peraltro, di un distinguo ben noto alla Cassazione, la quale già in passato affermava che «
è irrilevante l’effettuazione di controlli da parte del preponente ove non siano pregnanti ed assidui traducendosi in un’attività di direzione costante e cogente, inserendosi altrimenti in quell’attività di coordinamento che caratterizza qualsiasi organizzazione gerarchica, e non già quale potere direttivo e disciplinare».
Roberto Maurelli, dottore di ricerca e avvocato in Roma
Visualizza il documento:
Cass., ordinanza 30 dicembre 2022, n. 38182
Scarica il
commento in PDF
L'articolo
Potere direttivo: corsi e ricorsi storici sembra essere il primo su
Rivista Labor - Pacini Giuridica.