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cessazione-dellappalto-e-decadenza-del-lavoratore-dallazione-di-riconoscimento-del-rapporto-alle-dipendenze-del-committente-quale-spazio-per-la-certezza-del-diritto
La Suprema Corte, con l’ordinanza 21 novembre 2022, n. 34181, qui commentata, conferma il principio giurisprudenziale già affermato in materia di decorso dei termini di decadenza per la richiesta, da parte del dipendente di una società appaltatrice, della costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del committente, fondata sul presupposto della non genuinità dell’appalto intercorso. Nel caso di specie, come nella quasi totalità delle situazioni consimili, due ex dipendenti di un appaltatore avevano cessato lo svolgimento della propria attività lavorativa presso il committente, stante la cessazione del contratto di appalto tra le due società; nel momento in cui hanno richiesto l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro alle dipendenze del committente, allegando la non genuinità del rapporto di appalto intercorso (art. 29 d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276), è stata loro eccepita l’avvenuta decadenza da tale diritto ai sensi dell’art. 32, comma 4, lett. d), l. 4 novembre 2010, n. 183, per mancato rispetto dei termini di impugnazione di cui al novellato art. 6, commi 1 e 2, l. 15 luglio 1966, n. 604. I lavoratori, infatti, avevano depositato il ricorso giudiziale contenente la richiesta di riconoscimento del rapporto di lavoro alle dipendenze del committente dopo decorso il termine di 270 giorni (al tempo previsto dall’art. 6, comma 2, l. 604/1966, oggi ridotto a 180 giorni) dalla richiesta stragiudiziale formulata ai sensi dell’art. 6, comma 1, l. 604/1966. La Suprema Corte, ripercorrendo i passaggi dei propri precedenti di riferimento (Cass., 28 ottobre 2021, n. 30490; Cass., 17 dicembre 2021, n. 40652, in particolare con commento di Capurro, Appalto non genuino e azione di somministrazione irregolare: la decadenza prevista da una chiarissima norma “oscura”, in Labor, 18 febbraio 2022) afferma, in sostanza, che a meno che non possa identificarsi un atto scritto del committente (effettivo datore di lavoro, nella prospettazione di parte) che ponga termine al rapporto (ovviamente di fatto) esistente tra il committente stesso e il dipendente dell’appaltatore, l’azione per il riconoscimento dell’imputazione del rapporto di lavoro al committente non soggiace ad alcuno dei limiti di decadenza previsti dall’art. 6, commi 1 e 2, l. 604/1966, ma soltanto all’ordinario termine di prescrizione. La Cassazione afferma infatti che, innanzitutto, il concetto di impugnazione prevede un atto scritto recettizio (tipicamente il licenziamento, ma anche il trasferimento, la cessione del contratto o il recesso dal rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, tutte fattispecie tipizzate dall’art. 32 l. 183/2010), in assenza del quale non è possibile fissare il dies a quo di decorrenza del termine di decadenza: in sostanza, la cessazione in mero punto di fatto del rapporto tra committente e dipendente dell’appaltatore sarebbe equiparabile al licenziamento orale, per la cui impugnazione, come noto, non vige alcun termine di decadenza (in quanto si tratta di un atto la cui radicale inefficacia, ossia inidoneità a spiegare effetti estintivi del rapporto di lavoro, è equiparata ad una nullità, cfr. Tatarelli, Il licenziamento individuale e collettivo, Cedam, 2012, 266 ss.). Inoltre, prosegue la Corte, le norme di legge possono prevedere specificamente situazioni in cui, pur in assenza di un atto scritto recettizio, una situazione di mero fatto determini e fissi il dies a quo per il decorso del termine di decadenza, ma ciò soltanto in quanto espressamente regolamentato, come accade per la cessazione del contratto a tempo determinato (art. 28, comma 1, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81) e per la cessazione dell’attività svolta dal lavoratore somministrato presso l’utilizzatore (art. 39, comma 1, d.lgs. 81/2015). Tanto premesso, la Suprema Corte ritiene che un’interpretazione costituzionalmente orientata della materia, alla luce dell’art. 24 Cost., non possa introdurre in via analogica o estensiva ipotesi di decorrenza dei termini di decadenza diverse da quelle specificamente previste dalla legge, posto che, nel bilanciamento degli interessi contrapposti, soltanto il legislatore può valutare e decidere quando l’interesse alla certezza dei rapporti giuridici prevale sulla garanzia del diritto di azione in giudizio. La Corte, pertanto, respinge anche tutti gli argomenti relativi alla possibile applicazione analogica o estensiva delle norme previste per l’istituto della somministrazione di lavoro, invero molto vicino a quello dell’appalto per la comune esistenza di un rapporto trilaterale, quali il già menzionato art. 39, comma 1, d.lgs. 81/2015 e anche l’art. 29, comma 3-bis, d.lgs. 81/2015, negando espressamente che il licenziamento intimato dall’appaltatore possa fungere da dies a quo per la decorrenza del termine di decadenza dal diritto di presentare la richiesta di riconoscimento del rapporto alle dipendenze del committente. Su questo tema, precedenti sentenze di merito si erano pronunciate in modo contrario ma, invero, altrettanto puntuale e articolato: App. Brescia, 3 aprile 2019, n. 47, in un caso concreto sovrapponibile a quello di specie aveva infatti valorizzato l’obiettivo di garanzia della certezza del diritto e della stabilità dei rapporti tra le parti chiaramente perseguito dall’art. 32 l. 183/2010, affermando l’impossibilità di ritenere la fattispecie dell’appalto del tutto esente dalla portata di tale principio e non viceversa assimilabile alle norme previste in tema di somministrazione di lavoro, a fronte della medesima richiesta formulata dal lavoratore di costituzione del rapporto con il soggetto utilizzatore della prestazione e non formale datore di lavoro. Secondo la Corte di Appello, pertanto, l’effettiva cessazione dell’attività prestata dal lavoratore presso il committente alle dipendenze di un appaltatore costituisce senza dubbio un fatto rilevante ai fini del decorso del termine di decadenza, anche perché perfettamente conoscibile e chiaramente percepibile, senza incertezze, da parte del lavoratore stesso. Analogo principio, in una situazione di contitolarità del rapporto di lavoro, era stato affermato da App. Milano, 30 aprile 2019, n. 900. Il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte nella sentenza in commento appare, invero, tralasciare completamente la ratio legis di certezza del diritto e stabilizzazione dei rapporti giuridici chiaramente contenuta nell’art. 32 l. 183/2010, anche alla luce della considerazione per cui la cessazione dell’appalto è un evento (di mero fatto) certamente valorizzato dal legislatore per la generazione di effetti giuridici sui tempi per far valere diritti, come chiaramente emerge dal termine biennale previsto dall’art. 29, comma 2, d.lgs. 276/2003 per la responsabilità solidale del committente per i crediti dei dipendenti dell’appaltatore (F. Capurro, cit.). Del resto, vi è da chiedersi quale atto formale e scritto potrebbe realizzare il committente al fine di porsi al riparo dall’indeterminatezza dei tempi con cui i dipendenti dell’appaltatore potrebbero esercitare azioni di riconoscimento del rapporto nei suoi confronti: a tal riguardo, permangono molti dubbi, posto che qualunque atto formale del committente che comunichi alcunché al dipendente dell’appaltatore potrebbe facilmente, in un successivo giudizio, essere strumentalizzato come prova di un potere datoriale, dispositivo e gestorio, esercitato dallo pseudo-committente (in realtà vero datore di lavoro) nei confronti dei dipendenti dello pseudo-appaltatore (illecitamente e fittiziamente interposto) (Zambelli, Appalto illecito, decadenza solo se il committente recede, in Norme&Tributi Lavoro, 22 novembre 2022). Sabrina Grivet Fetà, avvocato specialista in Reggio Emilia e dottore di ricerca nell’Università di Modena e Reggio Emilia Visualizza il documento: Cass., ordinanza 21 novembre 2022, n. 34181 Scarica il commento in PDF L'articolo Cessazione dell’appalto e decadenza del lavoratore dall’azione di riconoscimento del rapporto alle dipendenze del committente: quale spazio per la certezza del diritto? sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.

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