Con la sentenza n. 3077 del 24 marzo 2023, il Tribunale di Roma si è pronunciato sul ricorso presentato da un medico psichiatra che aveva lamentato di aver subito, dal proprio datore di lavoro, condotte vessatorie che gli avevano causato un grave danno psico – fisico, nonché un danno all’immagine e alla professionalità. Il ricorrente aveva pertanto adito il Tribunale per ottenere la condanna dell’ente convenuto al risarcimento dei danni.
1. Il fatto
Il ricorrente ha esposto che dopo essere rientrato da un periodo di permesso non retribuito per formazione, non aveva più avuto la disponibilità di una stanza per il ricevimento dei pazienti se non per tre mezze giornate alla settimana. Tale circostanza lo aveva costretto, nelle altre giornate, a dover ricercare una stanza che, tuttavia, non sempre era disponibile, tanto che in alcune occasioni aveva dovuto rimandare la visita dei pazienti. Questa situazione, in aggiunta a rapporti sempre più tesi con la direzione, aveva provocato un forte stress nel ricorrente che era culminato in un primo episodio sincopale al quale ne era seguito un secondo, dopo che questi aveva rassegnato le proprie dimissioni.
2. La questione sottoposta all’esame del Giudice: la differenza tra mobbing e straining
La questione sulla quale il Giudice è chiamato a pronunciarsi riguarda la riconducibilità delle condotte datoriali ad un’ipotesi di
mobbing. Come è noto, in virtù di un consolidato orientamento giurisprudenziale, per
mobbing si intende comunemente una condotta del datore di lavoro (o del superiore gerarchico) tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Affinché possa configurarsi un’ipotesi di
mobbing è quindi necessario che, oltre ai comportamenti a carattere vessatorio posti in essere in modo mirato e prolungato, si verifichi anche l’evento lesivo della salute o dell’integrità psico – fisica del dipendente e che tra tale evento e la condotta vessatoria sussista un nesso di causalità (MAFFEI D., Il
mobbing è malattia professionale indennizzabile dall’INAIL, nota a Trib. di Roma n. 3077/2023, Il Quotidiano Giuridico).
Il Tribunale ha escluso che, nel caso sottoposto al suo esame, si potesse ravvisare tale fattispecie, non riscontrandosi né l’elemento oggettivo (la reiterazione di comportamenti pregiudizievoli) né quello soggettivo (l’intento persecutorio). Ciononostante, la condotta datoriale viene comunque ritenuta astrattamente idonea ad indurre un pregiudizio per la personalità e la salute latamente intesi, essendosi verificato un inadempimento da parte del datore di lavoro dell’obbligo di consentire l’esecuzione della prestazione e di garantire al proprio dipendente gli strumenti necessari all’esplicazione dell’attività lavorativa.
A tal proposito, occorre infatti distinguere dal
mobbing il cosiddetto
straining che è configurabile quando siano posti in essere comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ordinanza del 7 febbraio 2023, n. 3692, Foro Italiano Online). Sul punto, la giurisprudenza di legittimità aveva avuto modo di ribadire che “
al di là di denominazioni destinate ad avere più che altro valenza sociologica, è illegittimo che il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori, lungo la falsariga della responsabilità colposa del datore di lavoro che indebitamente tolleri l’esistenza di una condizione di lavoro lesiva della salute, cioè nociva, ancora secondo il paradigma di cui all’art. 2087 c.c.” (Cass. 3692/2023 summenzionata). Ed è all’art. 2087, norma di chiusura del sistema di prevenzione, che il Tribunale di Roma ha ricondotto la responsabilità del datore di lavoro.
3. La liquidazione del danno
Il Giudice adito ha respinto l’eccezione formulata dall’ente convenuto relativa alla limitazione della responsabilità datoriale al solo danno differenziale che, in via generale, comprende tutti i profili di danno non patrimoniale non coperti dall’INAIL. Non ravvisandosi, nel caso di specie, una malattia professionale indennizzabile dall’INAIL per le ragioni anzidette, il Giudice ha ritenuto di procedere alla liquidazione del danno secondo i principi elaborati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 26975/2008.
Il danno biologico alla salute, nelle componenti dinamico – relazione e della sofferenza soggettiva interiore, viene liquidato sulla base delle tabelle del Tribunale di Milano e quindi tenendo conto dell’età del ricorrente all’epoca dei fatti e della percentuale di danno psichico. Al danno biologico si aggiungono anche le altre voci di danno non patrimoniale nelle componenti del danno esistenziale e del danno professionale. Il danno alla professionalità di natura non patrimoniale viene determinato dal Tribunale in via equitativa, ma merita sottolineare le circostanze concrete tenute in considerazione dal Giudice per la quantificazione della lesione alla professionalità. Tra queste, la serietà dell’inadempimento datoriale e la sua durata (protrattosi nel caso di specie per oltre un anno), il fatto che a causa di tale inadempimento il ricorrente si sia trovato costretto a dover vagare nei corridoi alla ricerca di una stanza, con conseguente frustrazione della propria immagine e del rapporto fiduciario con i pazienti, nonché della circostanza che tale situazione sia, di fatto, cessata solo per effetto delle dimissioni rassegnate dal ricorrente.
Gloria Mugnai, praticante avvocato in Firenze
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Trib. Roma, 24 marzo 2023, n. 3077
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La violazione dell’art. 2087 cod. civ. e il risarcimento del danno cagionato al dipendente sembra essere il primo su
Rivista Labor - Pacini Giuridica.