Con l’ordinanza 29 marzo 2023, n. 8913, la Corte di Cassazione torna sulla questione del trattamento contributivo delle somme corrisposte dal datore di lavoro e lavoratore nell’ambito di una transazione stipulata successivamente alla intimazione di un licenziamento con esonero dal preavviso lavorato ed avente ad oggetto la revoca del licenziamento, la rinuncia da parte del lavoratore alla indennità sostitutiva del preavviso a fronte del pagamento di un certo incentivo all’esodo.
In tale decisione, la Suprema Corte ribadisce i principi enunciati da Cass. 13 maggio 2021 n. 12932, secondo cui il diritto dell’INPS alla contribuzione sull’indennità sostitutiva del preavviso sorge per effetto del licenziamento con preavviso ed è irrilevante ai fini dell’obbligo di pagamento di tale contribuzione la transazione intervenuta tra datore di lavoro e dirigente avente ad oggetto la revoca del licenziamento e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.
In particolare, l’estraneità della transazione al rapporto contributivo discende dal principio per cui alla base del calcolo dei contributi previdenziali deve essere posta la retribuzione, dovuta per legge o per contratto individuale o collettivo, e non quella di fatto corrisposta, in quanto l’espressione usata dalla legge n. 153 de 1969, art. 12, per indicare a retribuzione imponibile («tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro») va intesa nel senso di tutto ciò che ha diritto di ricevere.
Il rapporto assicurativo e l’obbligazione contributiva ad esso connesso sorgono infatti con l’instaurarsi del rapporto di lavoro, ma sono del tutto autonomi e distinti, nel senso che l’obbligazione contributiva del datore di lavoro verso l’istituto previdenziale sussiste indipendentemente dal fatto che gli obblighi retributivi, nei confronti del prestatore d’opera, siano stati in tutto o in parte soddisfatti, ovvero che il lavoratore abbia rinunciato ai suoi diritti.
Del resto, costituisce un principio consolidato in giurisprudenza quello secondo cui gli accordi transattivi tra datore e lavoratore sono inopponibili all’Inps, inerendo al rapporto di lavoro e non al distinto rapporto previdenziale, con la conseguenza che l’INPS può sempre azionare il credito contributivo provando anche in via presuntiva quali sono le somme da assoggettare a contribuzione (Cass. 21 dicembre 2021 n. 41021 e Cass. 28 luglio 2009 n. 17495).
Come noto, in materia contributiva non esistono disposizioni normative dedicate alle somme erogate al lavoratore nell’ambito di transazioni relative alle controversie di lavoro.
Occorre quindi far riferimento ai principi generali derivanti dal quadro normativo di riferimento costituito essenzialmente dall’art. 12 della L. 30 aprile 1969 n. 153 così come modificato dall’art. 6 Dlgs. 2 settembre 1997 n. 314 che, com’è noto, ha unificato la base imponibile previdenziale a quella fiscale.
In particolare, l’art. 12 citato stabilisce che “costituiscono redditi di lavoro dipendente ai fini contributivi” quelli di cui all’articolo 49, comma 1,” del TUIR e che “per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale” si applicano le disposizioni contenute nell’articolo 51 TUIR.
L’art. 12 L. 153/69, poi, con una elencazione tassativa, individua alcune erogazioni escluse dalla base imponibile, tra le quali, “le somme corrisposte a titolo di trattamento di fine rapporto”, “le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori, nonché quelle la cui erogazione trae origine dalla predetta cessazione, fatta salva l’imponibilità dell’indennità sostitutiva del preavviso”.
Per quanto qui interessa, occorre osservare che nella sua originaria formulazione, l’art. 12 L 153/69 conteneva una nozione più ristretta di reddito imponibile ai fini contributivi, considerando, in via generale, retribuzione imponibile per il calcolo dei contributi tutto ciò che il lavoratore riceveva (in denaro o in natura) “in dipendenza del rapporto di lavoro” anche se la giurisprudenza aveva poi in effetti finito per dilatare tale nozione fino a ricomprendervi tutte le utilità economicamente valutabili che trovavano la propria causa nel rapporto di lavoro, a prescindere quindi dall’esistenza di una corrispettività con il rapporto di lavoro (Cass. 19 giugno 2008 n. 16678).
Tuttavia, anche per tale giurisprudenza – o, perlomeno, per una parte di essa – non potevano considerarsi imponibili ai fini contributivi quelle utilità economiche che traevano origine da un titolo autonomo (diverso e distinto dal rapporto di lavoro) che ne giustificava l’erogazione e che si ponevano in un “nesso di mera occasione con il rapporto di lavoro”.
Significative in tal senso devono ritenersi quelle sentenze della Suprema Corte che, pronunciandosi sull’annosa questione del trattamento contributivo delle somme derivanti da titolo transattivo, avevano affermato che le erogazioni del datore di lavoro previste nell’ambito di transazioni novative e finalizzate “non a eliminare la
res dubia oggetto della lite, ma ad evitare il rischio della lite stessa”, senza riconoscimento nemmeno parziale del diritto del lavoratore, dovevano considerarsi non “in dipendenza” del rapporto di lavoro ma, appunto, in “nesso di mera occasione” con tale rapporto e, in quanto tali, non assoggettabili a contribuzione (Cass. 28 luglio 2009 n. 17495).
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La decisione in commento offre anche l’occasione per alcune riflessioni in materia di trattamento contributivo delle transazioni di lavoro.
L’art. 12 L 153/69 attualmente vigente, richiamando gli artt. 49 e 51 DPR 22 dicembre 1986 n. 917 – Testo Unico delle Imposte sui Redditi – (TUIR) e stabilendo che si considerano redditi imponibili ai fini previdenziali quelli che “derivano dal rapporto di lavoro subordinato” e che tali redditi sono costituiti “da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”, ha indubbiamente ampliato la nozione della base imponibile ai fini contributivi.
Oggi, infatti, sia ai fini fiscali sia ai fini contributivi il reddito da lavoro dipendente non è più quello che costituisce retribuzione per la prestazione del lavoratore, ma qualsiasi utilità economica legata al rapporto di lavoro da una mera dipendenza occasionale (Cass. 9 luglio 1999 n. 7188, Cass. 15 luglio 2009 n. 16489 e Trib. Parma 20 settembre 2011).
Tale ampliamento della base imponibile ai fini previdenziali in linea di principio attrae – cosi come accade per l’assoggettamento da IRPEF – nell’obbligazione contributiva qualsiasi erogazione per la quale il rapporto di lavoro costituisce soltanto una mera occasione.
Non è dunque consentito escludere a priori dall’obbligo contributivo le somme corrisposte al lavoratore nell’ambito di transazioni di lavoro (ancorché novative) ma è invece necessario verificare caso per caso la natura dei diritti che formano oggetto della transazione, con conseguente assoggettamento a contribuzione delle somme corrisposte in via transattiva (ancorché novativa) nel caso di rivendicazioni relative a diritti riconducibili nella sopramenzionata nozione di retribuzione (Cass. 28 luglio 2009 n. 17495, Trib. Parma 20 settembre 2011 e Messaggio INPS 9 marzo 2006 n. 7585).
Così, dunque, ad esempio, non potranno in linea di principio essere assoggettate a contribuzione le somme corrisposte al lavoratore nell’ambito di transazioni aventi ad oggetto domande di risarcimento dei danni (emergenti) alla salute, esistenziali ed all’immagine professionale o di pagamento di indennità risarcitorie per licenziamento illegittimo o ingiustificato.
Sotto il primo profilo, infatti, non v’è dubbio che, cosi come accade in materia fiscale (art. 6, secondo comma, TUIR.), il risarcimento di danni emergenti non può considerarsi reddito imponibile ai fini contributivi.
Per quanto concerne le somme corrisposte nell’ambito di transazioni che prevedono la rinunzia a rivendicazioni per indennità risarcitorie per licenziamento illegittimo o ingiustificato, tali somme non possono ritenersi imponibili ai fini contributivi sol che si consideri che, l’art. 12, quarto comma, lett. b), L. 153/69 esclude dalla base imponibile ai fini contributivi non solo “le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori” ma anche “quelle la cui erogazione trae origine dalla predetta cessazione” (“fatta salva l’imponibilità dell’indennità sostitutiva del preavviso”), cosi come accade ad esempio per le indennità previste dall’art. 8 L. 604/66, dall’art. 18, terzo, quinto, sesto e settimo comma, L. 300/70, nonché dagli artt. 3, primo comma, 4 e 9 Dlgs 23/2015 e per l’indennità supplementare prevista da molti CCNL di settore per il caso di licenziamento ingiustificato del dirigente.
Peraltro, anche l’INPS ha avuto occasione di chiarire che l’art. 12, quarto comma, lett. b), L. 153/69 è applicabile a tutte quelle erogazioni prive di uno specifico titolo retributivo corrisposte in sede di cessazione del rapporto che sono comunque dirette ad agevolare la risoluzione del rapporto e che il legislatore ha voluto esentare da contribuzione per eliminare gli effetti “distorsivi” che avrebbero sulla base imponibile e pensionabile (Circolare INPS 24 dicembre 1997 n. 263).
A tale proposito, occorre sottolineare che, ai fini dell’esclusione dalla base imponibile è indifferente che la cessazione del rapporto riguardi un singolo dipendente ovvero si configuri come un esodo di massa, così come non assume rilievo il soggetto che prende l’iniziativa dello scioglimento del rapporto (Cass. 18 maggio 1999 n. 4811).
Inoltre, tale esenzione contributiva si applica non solo nel caso di accordi intervenuti prima della cessazione del rapporto di lavoro ma anche nel caso di somme erogate al lavoratore (a titolo di “incentivo all’esodo” o “in dipendenza della cessazione del rapporto”) nell’ambito di transazioni stipulate successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro ed a fronte dell’accettazione (o della rinunzia coltivare l’impugnazione) di un licenziamento già intimato.
In tal senso, si è pronunciata anche la Corte di Cassazione la quale ha chiarito che la norma non richiede che l’accordo tra le parti per l’erogazione dell’incentivazione sia anteriore alla risoluzione del rapporto, giacché, secondo la dizione letterale, la fattispecie viene integrata allorché la somma venga erogata “in occasione della cessazione del rapporto di lavoro” (Cass. 18 maggio 1999 n. 4811 e Cass. 13 dicembre 2004 n. 23230).
Del resto, anche nella prassi accade quotidianamente che vengano erogati a lavoratori licenziati nell’ambito di procedure di licenziamento collettivo somme volte ad incentivare l’accettazione di licenziamenti già intimati (per consentire agli interessati di beneficiare dei sussidi contro la disoccupazione involontaria) senza che nessuno (l’INPS per primo) contesti l’applicazione dell’esenzione contributiva per il fatto che si tratta erogazioni effettuate dopo l’intimazione del licenziamento.
Naturalmente, anche in tal caso, le somme corrisposte a titolo di “incentivo all’esodo” o “in dipendenza della cessazione del rapporto di lavoro” per beneficiare della esenzione contributiva devono essere erogate esclusivamente a fronte della transazione della controversia derivante dalla impugnazione del licenziamento e costituire la controprestazione del datore di lavoro rispetto a tale rinunzia del lavoratore.
Qualora invece le somme in questione venissero corrisposte per transigere una controversia più ampia relativa anche a rivendicazioni aventi contenuto tipicamente retributivo (ad esempio, il pagamento di differenze retributive), tale contenuto e la natura retributiva di tali titoli oggetto della transazione finirebbero per attrarre a contribuzione anche la somma formalmente corrisposta a titolo di incentivo all’esodo (Cass. 23 giugno 2016 n. 13057 e, nello stesso senso, Cass. 9 maggio 2002 n. 6663).
Da ultimo e per quanto concerne le erogazioni effettuate nell’ambito di transazioni relative a rapporti di collaborazione coordinata e continuativa o di lavoro autonomo, si ritiene che tali erogazioni debbano essere assoggettate a contribuzione (nei limiti dei massimali) se la transazione riguarda diritti che hanno contenuto e natura retributiva. Ciò anche qualora si tratti di transazioni relative alla risoluzione di quei rapporti in mancanza di una norma che (cosi come accade per l’incentivo all’esodo con l’art. 12, quarto comma, lett. b), L. 153/69) preveda espressamente l’esenzione dall’obbligo contributivo
Renato Scorcelli, avvocato in Milano
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Cass., ordinanza 29 marzo 2023, n. 8913
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Transazione con revoca del licenziamento e rinunzia alla indennità sostitutiva del preavviso: la Cassazione ribadisce l’obbligo di pagamento dei contributi sembra essere il primo su
Rivista Labor - Pacini Giuridica.