É vietato esercitare due volte il potere disciplinare per lo stesso fatto sotto il profilo di una sua diversa valutazione o configurazione giuridica e, così facendo, il fatto non più sanzionabile equivale ad essere un fatto non più antigiuridico.
Questo è quanto, in estrema sintesi, ha delibato la Corte di Cassazione con ordinanza n. 1584 del 19 gennaio 2023.
La sopra menzionata pronuncia offre lo spunto per riflettere tanto sull’istituto giuridico del divieto di
bis in idem letto esclusivamente nei confini del corretto esercizio del potere sanzionatorio riconosciuto in capo al datore di lavoro, quanto sulla subordinata ma non per questo meno interessante e connessa questione attinente alla tipologia di tutela applicabile.
La fattispecie in esame affronta richiamando l’applicazione dell’art. 27 lett. d) del R. D. n. 148/1931, il licenziamento per scarso rendimento di un dipendente di una società di trasporti che, nel corso della propria carriera lavorativa, aveva collezionato ben 110 sanzioni disciplinari. Impugnato il licenziamento il Tribunale di primo grado emetteva, in fase di opposizione, pronuncia di annullamento del licenziamento sulla base del divieto del ne bis in idem in materia disciplinare, avendo rilevato come il provvedimento espulsivo avesse trovato la propria matrice fattuale nella medesima contestazione da cui era già scaturita la comminazione di una sanzione conservativa pari alla sospensione dal servizio e dalla retribuzione (sul punto si veda Attilio IEVOLELLA “
Niente licenziamento se lo scarso rendimento del lavoratore è già stato sanzionato” in
Diritto&Giustizia, fasc. 14, 2023, pag. 4; ed anche Marianna RUSSO “
È illegittimo il licenziamento per scarso rendimento fondato su condotte del lavoratore oggetto di precedenti disciplinari“, in
Il Giuslavorista.it, fasc 9 marzo 2023).
Avendo ritenuto già pregressa la consumazione del potere disciplinare, il Giudice di prime cure accoglieva il ricorso promosso in fase di opposizione dal lavoratore. La suddetta pronuncia veniva consolidata anche in fase di reclamo dal momento che la Corte territoriale respingeva le doglianze lamentate dalla società ritenendo come “
all’atto della formale contestazione del cosiddetto comportamento complessivo, la società datrice di lavoro aveva già consumato il proprio potere disciplinare anche in relazione all’episodio ultimo in ordine di tempo” (cfr. Corte di Appello Bologna n. 639/2019).
Ora, se è vero che il principio che prevede il divieto di punire due volte lo stesso fatto è consolidato nel nostro ordinamento (cfr
ex pluris Cass. n. 15288/2020; Cass. n. 20429/2016; Cass. n. 22388/2014), non è di pari semplicistica lettura l’assunto secondo cui il notevole numero di sanzioni conservative sia idoneo a giustificare -alla luce di una valutazione complessiva comportamenti o omissioni perpetrate dall’agente- l’esonero definitivo dalla prestazione ossia, in altri termini, la sanzione espulsiva del dipendente; ciò anche alla luce del fatto che il su richiamato art. 27, comma 1 lett. d) r.d. 148/31 non inserisce, tra le sanzioni disciplinari, l’esonero per insufficienza di espletamento delle mansioni.
Chiamati espressamente a prendere posizione su tale quesito gli Ermellini, ricordando come debba ritenersi ormai pacifica la necessità di connotare l’esonero definitivo dal servizio per scarso rendimento delle mansioni sul piano oggettivo in “
un rendimento della prestazione inferiore alla media esigibile” e, sul piano soggettivo, ogni qualvolta lo stesso sia imputabile “
per colpa del lavoratore“, chiosano asserendo come il suddetto scarso rendimento non possa essere dimostrato da plurimi precedenti disciplinari già sanzionati in passato e che una condotta contraria integrerebbe “
un’indiretta sostanziale duplicazione degli effetti di condotte già esaurite” (sul medesimo punto cfr. ex multis Cass. n. 7522/2017; Cass. n. 2855/2017).
Dalla lettura dell’ordinanza emerge, infatti, come la società datrice di lavoro non abbia mai dedotto in capo al dipendente un rendimento inferiore alla media (aspetto rilevante sul piano oggettivo), ma che l’esonero di cui al caso di specie traesse “
origine da un comportamento colpevole del lavoratore” (e dunque annoverabile sul piano soggettivo). Ecco, dunque, come sia stata la stessa società datrice di lavoro a far si che quella posta in essere dal dipendente divenisse una condotta del tutto aderente sia al tenore dell’art. 27, lett. d) del su citato regio decreto quando richiama espressamente una condotta “
imputabile a colpa dell’agente“, sia al successivo comma 3 del testé ricordato articolo secondo cui è concesso al soggetto agente di essere “
sentito personalmente qualora questi ne faccia richiesta“, risultando tale garanzia analoga a quella prevista ex art. 7 Statuto Lavoratori e operante in tema di contestazioni disciplinari (sul punto si veda Giulio Borrelli
“Illegittimo il licenziamento per scarso rendimento per condotte disciplinari già sanzionate“, in
Altalex.com)
Resta inteso che, ogni qualvolta la contestazione non sia stata già punita, è senza dubbio consentito al datore di lavoro effettuare una valutazione complessiva circa i comportamenti attivi e omissivi tenuti dal proprio dipendente.
Infine, davvero di grande interesse risulta essere il passaggio logico-giuridico espresso dalla Corte di legittimità che, delibando su quale tutela si dovesse applicare alla fattispecie in esame, ha ritenuto come la violazione del principio del ne bis in idem, stante l’esaurimento dell’esercizio punitivo già adottato, si debba tradurre nell’insussistenza del fatto contestato e non in una semplice violazione procedurale (con le sin troppo intuibili conseguenze stante l’obbligo di reintegrazione del dipendente nel primo caso). Ecco dunque che, interrogata anche in merito all’applicazione di quale tutela si dovesse traslare alla fattispecie in esame, la Suprema Corte ha precisato come “
il fatto non più sanzionabile […] equivale a fatto non più antigiuridico […] e come tale riconducibile alla previsione della L. 300/1970, art. 18, comma 4, come novellato dalla L. 92/2012“. In altri termini, una volta che il datore di lavoro eserciti il proprio potere coercitivo, non solo si sarà in presenza di una consumazione del suddetto potere, ma al contempo, essendo la contestazione tramutata in un addebito disciplinare, il medesimo fatto non diviene più sanzionabile e, per l’effetto, perde il suo carattere di illegittimità (cfr. Cass. n. 27657/2018), rilevando esclusivamente quale “
fatto storico privo di disvalore“, utile marginalmente solo ai fini di un’ipotetica condotta recidiva (cfr. ex multis Cass. n. 12321/2022).
Gabriele Cingolo, avvocato in Roma
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Cass., ordinanza 19 gennaio 2023, n. 1584
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Contestazione per scarso rendimento già sanzionata: rileva la consumazione della sua antigiuridicità, con la conseguente reintegra del lavoratore licenziato sembra essere il primo su
Rivista Labor - Pacini Giuridica.