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cessazione-dellappalto-e-decadenza-del-lavoratore-dallazione-di-riconoscimento-del-rapporto-alle-dipendenze-del-committente-quale-spazio-per-la-certezza-del-diritto
Il caso affrontato dalla sentenza qui annotata, del Tribunale di Padova (3 marzo 2023, n. 126, est. Dallacasa), riguardava la verifica di genuinità di un appalto di logistica, eseguito dai lavoratori dell’appaltatore, mediante l’utilizzo di un software nella piena disponibilità del committente. Prima di entrare nel merito della vicenda, può essere utile ricordare che, affinché un appalto sia tale, e sia dunque presidiato dalle norme al medesimo riferibili, deve essere genuino. In difetto si sarebbe in presenza di una fattispecie di interposizione illecita di manodopera e quindi di una forma di somministrazione irregolare di lavoro. L’art. 29, comma 1, d.lgs. 276/2003, prevede che “Ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa.” L’assenza di genuinità dell’appalto comporta le conseguenze di cui all’art. 29, comma 3 bis, d.lgs. 276/2003, secondo il quale “Quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo. (…)” L’azione richiede, ai sensi dell’art. 32, comma 4, lett. d), l’impugnazione nel termine di decadenza di sessanta giorni, seguita dal deposito del ricorso entro i successivi centottanta giorni. Secondo i più recenti arresti di giurisprudenza tale termine decorre dalla data di un “atto” o di un “provvedimento” dell’utilizzatore, in forma scritta, con il quale si neghi la titolarità del rapporto in capo al medesimo. Sul punto si vedano Cass. 17 dicembre 2021, n. 40652 e Cass. 28 ottobre 2021, n. 30490 e sia contestino rinviare anche al mio contributo Appalto non genuino e azione di somministrazione irregolare: la decadenza prevista da una chiarissima norma “oscura”, in Labor,  18 febbraio 2022. Tornando al profilo della genuinità, la norma, nel definire il contratto di appalto, richiama come si è visto i due principali elementi che per la disciplina civilistica (art. 1655 c.c.) caratterizzano tale tipo di contratto, ossia la permanenza in capo all’appaltatore dell’organizzazione dei mezzi e l’assunzione da parte dello stesso del rischio di impresa. Negli appalti dove i mezzi impiegati si sostanziano principalmente nell’attività di lavoro  (c.d. labour intensive), l’organizzazione dei mezzi si manifesta essenzialmente nell’esercizio del potere direttivo e organizzativo dell’appaltatore nei confronti dei propri dipendenti. Occorre dunque identificare un risultato in sé autonomo che l’appaltatore deve conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione di lavoro (Cass. civ. 7 febbraio 2022, n. 3768). Ricorre somministrazione irregolare quando il committente organizza e dirige i dipendenti dell’appaltatore, rimanendo su quest’ultimo solo compiti di gestione amministrativa del rapporto senza una reale organizzazione della prestazione lavorativa (così la recente Cass. 16 febbraio 2023 n. 4828 – che si pubblica per completezza di riferimenti – e Cass. 26 giugno 2020, n. 12807). Ha invece rilevanza qualificatoria meramente sussidiaria, l’utilizzazione di attrezzature del committente, che, nella precedente disciplina di cui alla L 1369/1960 (abrogata dal d.lgs. 276/2003) faceva invece operare una presunzione assoluta di appalto di mere prestazioni di lavoro, benché nel tempo tale presunzione fosse stata abilmente attenuata dalla giurisprudenza (Cass. SS. UU. 19 ottobre 1990, n. 10183). Per cui il conferimento di mezzi può avere rilievo solo quando sia di entità tale da rendere del tutto marginale ed accessorio l’apporto dell’appaltatore (Cass. 27 ottobre 2020 n. 23615 e Cass. 8 luglio 2020 n. 14371), il che – salvo quanto si dirà tra poco – più difficilmente avviene negli appalti labour intensive (Cass. 14 agosto 2019, n. 21413). In linea generale l’appalto è ritenuto comunque compatibile con la predeterminazione delle modalità temporali e tecniche di esecuzione dell’opera o del servizio da parte del committente, anche qualora siano impartite da quest’ultimo disposizioni agli ausiliari dell’appaltatore, finalizzate al mero “risultato delle prestazioni”. Sul punto emblematiche sono Cass. 22 febbraio 2019, n. 5265 e Cass. 10 giugno 2019 n. 15557, quest’ultima relativa al caso di un servizio di accoglienza e assistenza dei clienti nei treni notturni, come pure Cass. 13 marzo 2019, n. 7170, secondo la quale la circostanza che il personale dell’appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell’appaltatore, non è da sola sufficiente a configurare quell’esercizio del potere direttivo e organizzativo che caratterizza il rapporto di lavoro subordinato, ove siano presenti “altri profili di rilievo organizzativo e di gestione del rapporto di lavoro” riconducibili all’appaltatore. Del resto, sul piano civilistico, istruzioni e direttive si rinvengono quali naturalia nel contratto di appalto, come risulta sia dall’art. 1661, comma 1 c.c. (in materia di variazioni al progetto), che dall’art. 1662, comma 2 e 3 c.c. (in materia di controllo dello svolgimento del progetto). Ciò che rileva è invece se le direttive del committente siano inerenti alle concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, o invece al solo risultato di quelle prestazioni al fine di assicurare l’adattamento dell’attività rispetto ai tempi e alle modalità tecniche di esecuzione dell’opera o del servizio, legittimamente predeterminate dal committente. Si è parlato in questi casi di (legittimo) “coordinamento industriale” del committente sull’esecuzione del programma contrattuale che l’appaltatore si è impegnato a realizzare. Interessante in proposito è Cass. 3 novembre 2020 n. 24386, che ha ritenuto compatibile con l’appalto la circostanza che il committente fornisse ai lavoratori dell’appaltatore (nella specie adibiti a trasporti) appositi “modelli” contenenti direttive di standardizzazione e omogeneizzazione del servizio nei diversi ambiti territoriali, ritenendo comunque circoscritto l’intervento a ragioni di uniformità del servizio. Altro aspetto che può incidere sulla valutazione di genuinità dell’appalto è se l’attività svolta dagli ausiliari dell’appaltatore sia estranea al servizio contrattualizzato, evenienza affrontata in termini rigorosi, nel senso della presenza di una somministrazione irregolare di lavoro, da Cass. 21 marzo 2023 n. 8055 (anche questa ordinanza, per completezza di riferimenti, viene qui pubblicata). Certamente anche su questo profilo un esame caso per caso è sempre opportuno. Quanto poi all’onere della prova circa la genuinità dell’appalto, rinvio al lavoro di F. AVANZI, “Appalto,ivi,28 novembre 2022, nel quale, pur dando conto l’Autore dell’orientamento romano che pone gli oneri probatori a carico del committente, conclude in senso opposto – in linea con l’orientamento di Cassazione – poggiando sul principio di cui all’art. 2697 c.c., non derogato peraltro dalla legge nel caso dell’appalto. Altresì segnalo F. GHIANI “Sulla genuinità dell’appalto di mere prestazioni e sull’onere della prova nei giudizi di accertamento negativo”,ibidem,11 agosto 2022 e C. A. GALLI, “Grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare la genuinità dell’utilizzo della manodopera attraverso la produzione dei contratti di appalto”, in Il giurista del lavoro n. 3/2023. È ora opportuno entrare nel cuore della sentenza del Tribunale di Padova e verificare in concreto il percorso argomentativo dell’indagine svolta. L’interesse della pronuncia – come pure delle altre che segnalerò tra poco – risiede nel fatto di avere richiamato all’attenzione la complessità del problema man mano che la tecnologia rende le interazioni tra imprenditori più liquide e pervasive, sia con riferimento alla gestione dei flussi informativi, sia all’automazione del coordinamento dell’appaltatore nell’esecuzione dell’opera. L’organizzazione del lavoro oggetto dell’indagine atteneva a un sistema altamente informatizzato, in cui il software del committente dialogava direttamente con i lavoratori dell’appaltatore; tra la funzione di organizzazione della logistica e l’intervento esecutivo non vi era sostanzialmente altra mediazione umana. Il programma informatico era pacificamente nella disponibilità del committente e i dati che vi erano immessi, nonché l’algoritmo sulla base del quale venivano trattati, traducendosi in disposizioni di lavoro, erano al di fuori della sfera di competenza dell’appaltatore. Il cuore della verifica di genuinità riguardava necessariamente l’individuazione di chi esercitava il potere di direzione sui lavoratori dell’appaltatore, ossia chi decideva chi doveva fare cosa, quando e dove la doveva fare. Un passaggio di particolare interesse – idoneo a disarticolare certe ambiguità che filtrano in diverse pronunce sul tema – sta nella considerazione del giudice per cui, al fine di verificare se nella fattispecie si sia verificata una intermediazione illecita di prestazioni lavorative, è necessario eliminare mentalmente la figura del preposto dell’appaltatore e verificare se, anche così, il processo produttivo possa svolgersi con le medesime modalità con cui in effetti si svolge, nella sua fisiologia. Nel caso specifico, secondo la ricostruzione istruttoria delle fasi di lavoro, una volta conosciuto il giorno di arrivo della merce, il personale della committente chiedeva all’appaltatore la disponibilità di personale per consentire le operazioni di stoccaggio; l’operatore leggeva attraverso un lettore il codice a barre e, attraverso il terminale, riceveva l’informazione sul posto dove avrebbe dovuto stoccare la merce. Tale informazione era generata in maniera automatica da parte del sistema informatico. Ricevuti gli ordini dai punti vendita, un operatore del committente, in base agli ordini presenti a sistema, generava una serie di etichette. Il lavoro che i carrellisti (dipendenti dell’appaltatore) dovevano svolgere era puramente manuale e privo di autonomia; essi, infatti, non decidevano dove collocare la merce ma erano tenuti a posizionarla dove gli veniva indicato. L’efficienza dell’attività produttiva era legata alla reperibilità della merce e alla rapidità delle operazioni di trasporto. Di conseguenza, se si rimuovevano idealmente i c.d. responsabili dell’appaltatore, il lavoro svolto dai suoi dipendenti poteva egualmente realizzarsi con le medesime modalità, appunto perché governato da un programma informatico che istruiva i lavoratori su cosa doveva essere spostato, dove si trovava e dove doveva essere portato. L’argomentazione viene completata osservando che la formazione delle squadre, la sorveglianza sanitaria, la fornitura di DPI, la gestione delle ferie, permessi e retribuzioni, possono rientrare anche nei compiti assegnati “al più classico dei caporali” e sono elementi di per sé irrilevanti, giacché è principio consolidato che il potere di direzione non coincide con la gestione amministrativa dei rapporti di lavoro, né esso si può ridurre al solo controllo in funzione disciplinare.  E si rileva altresì in sentenza che lo strumento più efficace di controllo sui tempi di lavoro, quello delle registrazioni informatiche, certamente è più pervasivo del controllo visivo di un preposto, ed era nella disponibilità non del datore di lavoro ma della committente. Inoltre, la possibilità di intervenire sul sistema informatico per gestire eventuali malfunzionamenti e di correggere informazioni errate era nell’esclusivo controllo del committente. Possono essere richiamati alcuni precedenti su appalti interessati da flussi tecnologici. Così, simile a quello appena visto, è il caso affrontato sempre dal Tribunale di Padova 16 luglio 2019 n. 550, est. Dellacasa, anche qui nell’ambito di un appalto di logistica. Il giudice ha rilevato che l’appalto non era genuino, osservando, oltre agli argomenti già visti poco fa, che il trattamento dei dati dell’appalto da parte del committente è elemento confermativo della eterodirezione. Secondo il Tribunale, dove la prestazione umana non è ancora integralmente sostituibile o conserva un valore aggiunto, l’elemento organizzativo sul quale è costruita l’organizzazione dell’impresa non è più rappresentato dai mezzi di produzione tradizionali, tra cui la manodopera, ma dal controllo e dalla gestione delle informazioni e dei dati di produzione, che le nuove tecnologie consentono, permettendo l’ottimizzazione di tutti i processi produttivi. La pronuncia del Tribunale di Catania 4 novembre 2021, est. Musumeci, riguardava il caso di un appalto di servizi di call center e customer-care di un operatore telefonico, svolto grazie a complessi sistemi applicativi messi a disposizione della committente. Tra i diversi indici della mancanza di autonomia dell’appaltatore e dell’esercizio di poteri di organizzazione e direzione da parte del committente, è stato appunto considerato l’utilizzo da parte dell’appaltatore di sistemi applicativi del committente, il quale gestiva le credenziali di accesso, aggiornava periodicamente le procedure di utilizzo e programmava i servizi, stabilendo anche le priorità, così esercitando un potere conformativo della prestazione degli addetti al servizio. Viene osservato nella sentenza del Tribunale di Roma 15 marzo 2023, n. 2712, est. Baroncini(di prossima pubblicazione in Labor, www.rivistalabor.it,con nota di commento di S. GALLEANO) relativa ad alcuni appalti di servizi in out sourcing di attività di sportello ed infoline in ambito sanitario –  che “Gli appalti di servizi, a maggior ragione laddove in servizio debba essere esplicato attraverso l’utilizzo di sistemi informatici e software in uso alla committenza, necessariamente si svolgono nell’ambito della struttura dellappaltante, con il personale delle ditte appaltatrici a diretto contatto operativo con il personale del committente. In tale contesto, stante la mancata fornitura di beni strumentali insita nella tipologia dell’appalto, assumono precipua rilevanza nella valutazione della sua genuinità la titolarità dell’organizzazione del lavoro che si manifesta nell’esercizio del potere gerarchico e nell’organizzazione del lavoro.”. In senso più attenuato, sempre sugli appalti nella logistica ma nell’ambito di una fattispecie meno estrema di quella affrontata dal Tribunale di Padova, segnalo Tribunale di Milano 3 novembre 2017, est. Lombardi, che valutava un appalto avente a oggetto la gestione di scorte di magazzino per prodotti stoccati presso centri di raccolta del committente, anche attraverso l’utilizzo di un software messo a disposizione da quest’ultimo. Pur essendo emersa un’attività di indiretta conformazione della prestazione da parte della committenza, che si traduceva in particolare nella richiesta di rispetto delle modalità del servizio contrattualmente previste e dei relativi standard di qualità e, dall’altro, nella determinazione dei volumi quantitativi e, in talune circostanze, dei tempi di espletamento del servizio, tuttavia, si è ritenuto che ciò non comportasse una diretta e specifica ingerenza nell’organizzazione del servizio e nella gestione del personale dell’appaltatrice, aspetti rispetto ai quali i margini di autonomia dell’appaltatore apparivano integri. Veniva altresì precisato che l’organizzazione dei mezzi deve essere effettiva e sostanziale e può essere realizzata anche da una genuina impresa cd. leggera” o dematerializzata”, in cui l’organizzazione del fattore lavoro sia prevalente sul capitale, purché idonea a soddisfare le esigenze dedotte in contratto. Interessante è anche Cass. 2 novembre 2021, n. 31127, nella quale si legge “(…) il software (…) serviva a predeterminare le modalità operative del servizio di help desk, in funzione di una corretta esecuzione dello stesso, servizio che però in concreto, come accertato dai giudici di merito, si sviluppava con caratteristiche autonome (per struttura organizzativa e mezzi) e senza ingerenza (…)”. In conclusione, l’attenta analisi delle dinamiche di utilizzo dei mezzi tecnologici messi a disposizione dal committente è un’operazione delicata e da effettuarsi caso per caso. In generale, sulla tipologia di appalti appena affrontata, segnalo I. TAGLIABUE, “L’impatto delle nuove tecnologie sulla legittimità giuridica del contratto di appalto: note a margine di una sentenza del Tribunale di Catania”, in DRI, fasc.4, 2022, p. 1128, che contiene anche interessanti riferimenti bibliografici; A. DONINI, “Chi governa le strumentazioni digitali è datore di lavoro, anche in caso di appalto”, in Giustiziacivile.com, 2020 e L. NANNIPIERI, “Eterodirezione “algoritmica” negli appalti della logistica. Verso un quadro giurisprudenziale in mutamento”, in Rivista Italiana di Informatica e Diritto, 2023 fasc. 1. Per una visione più generale sui rapporti tra tecnologia e decentramento produttivo interessante è M. ESPOSITO, “Ciclo produttivo digitalmente integrato e responsabilità datoriali: appunti sull’effettività delle tutele”, in Rivista di Diritto Pubblico Italiano, Comparato, Europeo, Ottobre 2022, che affronta tra l’altro il tema del controllo informatico e algoritmico sull’attività delle diverse imprese della filiera. Nell’insieme – benché la sentenza qui annotata sia  stata ritenuta innovativa – a me pare che si collochi nell’alveo dei principi della giurisprudenza consolidata, semplicemente armonizzando i tradizionali indici della genuinità dell’appalto con i nuovi contesti tecnologici. E del resto sono sempre più i casi in cui l’ordinamento non considera giuridicamente neutra la “delega gestionale” a sistemi informatici idonei a governare e controllare il lavoro e i lavoratori (come da ultimo l’att. 1 bis, d.lgs. 152/1997 sugli obblighi informativi in relazione ai sistemi integralmente automatizzati per la gestione del rapporto di lavoro). Concludo osservando che, se l’analisi qui svolta ha riguardato l’esercizio del potere organizzativo e direttivo sui lavoratori impiegati nell’appalto, a maggior ragione le considerazioni effettuate hanno rilievo ai fini della etero-organizzazione (disciplinata dall’art. 2, d.lgs. 81/2015), per le attività di lavoro autonomo in contesti fortemente informatizzati. Spunti sul punto si trovano anche nella citata pronuncia del Tribunale di Catania. Filippo Capurro, avvocato in Milano Visualizza i documenti: Cass., ordinanza 16 febbaio 2023, n. 4828; Cass., ordinanza 21 marzo 2023, n. 8055; Trib. Padova, 3 marzo 2023, n. 126 Scarica il commento in PDF L'articolo Il vaglio di genuinità degli appalti labour intensive in contesti informatizzati sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.

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