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per-la-corte-di-cassazione-e-giustificato-il-licenziamento-di-un-pilota-di-aereo-che-in-fase-di-atterraggio-non-tiene-in-debito-conto-dei-principali-rischi-che-sarebbero-potuti-insorgere-dall
A mente dell’art. 2119 cod. civ., Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l’indennità indicata nel secondo comma dell’articolo precedente. Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto la liquidazione coatta amministrativa dell’impresa. Gli effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro sono regolati dal codice della crisi e dell’insolvenza .” Parliamo della disciplina dell’ipotesi di recesso dal rapporto di lavoro subordinato, con effetti immediati, attivabile in tutti i casi in cui si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro. Trattasi all’evidenza di una facoltà riconosciuta ad entrambe le parti che, in questa maniera, determinano l’estinzione del contratto a termine prima della sua scadenza naturale e di quello a tempo indeterminato senza preavviso. La giurisprudenza accoglie una nozione di giusta causa non limitata a fatti integranti gli estremi dell’inadempimento, a ciò attribuendo la necessaria valenza che la medesima deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare: da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale; dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare (v., ex multis, Cass. n. 8826/2017). Conseguentemente, siamo in presenza di un comportamento che, per la sua gravità, è suscettibile di incidere sulla fiducia del datore di lavoro, per il che può assumere rilevanza disciplinare anche una condotta che, sebbene realizzata al di fuori della prestazione lavorativa, sia di per sé comunque idonea, per le modalità concrete con cui essa si manifesta, ad arrecare un pregiudizio, non necessariamente di ordine economico, agli scopi aziendali (v. Cass. n. 15654/2012). Sul punto la giurisprudenza della Suprema Corte afferma che una condotta illecita extralavorativa è suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto, non solo a fornire la prestazione richiesta, ma anche a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o da comprometterne il rapporto fiduciario (cfr. Cass. n. 16524/2015; Cass. n. 16268/2015). Un ulteriore, non meno importante principio (parimenti consolidato in giurisprudenza) è quello riferito al fatto che, costituendo la giusta causa di licenziamento una nozione legale, il giudice non è vincolato dalle previsioni del Ccnl (sebbene la scala di valori qui espressa nell’individuazione delle ipotesi di rilievo disciplinare e nella relativa graduazione delle sanzioni deve comunque costituire uno dei parametri cui far riferimento per riempire la di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 cod. civ.). La casistica giurisprudenziale (sia di legittimità, sia anche di merito) sulla giusta causa e sulle conseguenze processuali del suo utilizzo è sterminata, tra l’altro spesso con concetti e principi più volte reiterati e oggetto di costante evoluzione, se non altro con riguardo ai contenuti e alle tutele di cui all’art. 18 della legge n. 300/1970. Nondimeno, non può la medesima continuare comunque a suscitare l’interesse del giurista, proprio in ragione del variegato (recte, sterminato) campo di applicazione della medesima, come ad esempio la fattispecie trattata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 28494 del 12 ottobre 2023, qui annotata, con la quale è stato rigettato il ricorso presentato da un lavoratore soccombente nel sottostante grado di giudizio di merito di appello. La fattispecie dedotta in giudizio Un pilota di una nota compagnia aerea era stato licenziato per ragioni disciplinari, conseguenti al mancato rispetto delle procedure aziendali di sicurezza in occasione di un atterraggio dell’aereo dallo stesso condotto. L’investito Tribunale di Busto Arsizio aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro intercorso fra le parti, condannando però la società datrice di lavoro a corrispondere al lavoratore un’indennità risarcitoria pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Il giudice di prime cure aveva accertato la regolarità del recesso sotto il profilo procedimentale, escludendo però che vi fossero state inammissibili modificazioni dell’addebito e violazioni della prevista procedura, ritenendo pacifica la condotta contestata (“pacifico che la manovra di atterraggio era stata altamente rischiosa, a tal punto da rendere necessaria la procedura di mancato avvicinamento, c.d. go around”), ma ritenuta rientrante fra quelle punibili con sanzione conservativa, con conseguente sproporzione della sanzione espulsiva. L’ordinanza, confermata dalla successiva sentenza della fase di cognizione piena, era stata poi reclama dinanzi alla Corte d’Appello di Milano, la quale riteneva legittimo il licenziamento. E da qui, pertanto, il ricorso per cassazione, articolato su otto motivi. La decisione Gli otto motivi di ricorso sono stati dichiarai infondati i primi due e inammissibili i rimanenti sei. Su primi due la sentenza in commento rileva come la Corte territoriale abbia esattamente evidenziato che il “pericolo per la sicurezza del volo” non è elemento costitutivo dell’addebito, ma insito nelle stesse regole previste dai manuali operativi di volo di cui è stata addebitata al ricorrente la violazione, correttamente fatta rilevare dalla compagnia aerea con la lettera di contestazione disciplinare laddove, testualmente: “tenuto in debito conto i principali rischi che sarebbero potuti insorgere dall’alta velocità dell’avvicinamento in seguito ad una riduzione della distanza da percorrere”. Vi è quindi stato, all’evidenza, l’accertamento di fatto (sostanziale corrispondenza fra contestazione disciplinare degli addebiti e fatti posti a giustificazione del licenziamento), riservato al giudice di merito, ed esatta sua sussunzione nelle norme di diritto esattamente applicate, con ciò dovendosi escludere la prospettata (ma inesistente) violazione dell’art. 7 della legge n. 300/1970. Dei rimanenti motivi di ricorso, interessante appaiono le argomentazioni che la sentenza in commento fa all’ottavo, con il quale veniva lamentata la violazione e la falsa applicazione  degli artt. 18 della legge n. 300/1970, 1362 e 2119 cod. civ. e 53 del Ccnl, per avere la Corte territoriale ritenuto talmente gravi gli addebiti ascritti al lavoratore da escludere in radice la possibilità di ipotizzare una graduazione della sanzione. Le argomentazioni del collegio di legittimità, nel dichiarare come detto l’inammissibilità del motivo, sono invero trancianti. Detta inammissibilità emerge, in primo luogo, in ragione di una prospettazione fatta in termini ipotetici, laddove “la violazione o la falsa applicazione di una norma di diritto deve essere dedotta come certa e non solo probabile.” Inoltre, il motivo di che trattasi denunzia – in realtà – l’omessa considerazione di una pluralità di elementi (l’assenza di precedenti disciplinari relativi alla sicurezza del volo, la comminazione di una sanzione conservativa per lo stesso fatto ad un primo ufficiale., la concreta possibilità di rimedi alternativi al licenziamento, l’inidoneità in concreto della sua condotta a porre in pericolo passeggeri, equipaggio ed aeromobile), che semmai avrebbero dovuto formare oggetto di una censura non di “violazione” o di “falsa applicazione” di norme di diritto, bensì “di omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), illustrandone in modo specifico il carattere di decisività”, tutti oneri non processualmente assolti. Luigi Pelliccia, avvocato in Siena e professore a contratto di diritto della sicurezza sociale nell’Università degli Studi di Siena Visualizza il documento: Cass., 12 ottobre 2023, n. 28494 Scarica il commento in PDF L'articolo Per la Corte di cassazione è giustificato il licenziamento di un pilota di aereo che, in fase di atterraggio, non tiene in debito conto dei principali rischi che sarebbero potuti insorgere dall’alta velocità dell’avvicinamento in seguito ad una riduzione della distanza da percorrere sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.

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