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le-modifiche-al-codice-di-comportamento-dei-dipendenti-pubblici-non-ledono-i-diritti-dei-dipendenti-nota-a-tar-lazio-sez-iva-ter-27-ottobre-2023-n-15978
1. La sentenza annotata costituisce il primo arresto pretorio intervenuto sulle modiche al Codice di Comportamento dei dipendenti pubblici di cui al D.P.R.16 aprile 2013, n. 62, poste in essere con il recente D.P.R. 13 giugno 2023, n. 81 (Regolamento concernente modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, recante: «Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell’articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165», pubblicato in G.U n. 150 del 29 giugno 2023 ed entrato in vigore il 14 luglio 2023). Una succinta esposizione del nuovo testo normativo è indispensabile per comprendere le censure sollevate verso il nuovo codice e altresì le conclusioni a cui perviene il giudice amministrativo. Il recente provvedimento di modifica si compone di due articoli (per una disamina completa delle disposizioni innovatrici, v. M.Asaro, In G.U. il codice di comportamento dei dipendenti pubblici: la “nuova” P.A, in il QG, Il quotidiano Giuridico, 2023). L’art. 1 integra il DPR n. 62/2013 sia con l’inserimento di due appositi articoli, ergo l’art. 11-bis «Utilizzo delle tecnologie informatiche» e l’art.11-ter «Utilizzo dei mezzi di informazione e dei social media», sia operando modifiche e/o integrazioni agli artt. 12, 13 15, 17. Segnatamente, la ratio giustificatrice degli artt.11 bis e 11 ter risiede in una esigenza di attuazione dell’art. 54, comma 1 bis, D.lgs. n. 165/2001, a mente del quale «ll codice contiene, altresì, una sezione dedicata al corretto utilizzo delle tecnologie informatiche e dei mezzi di informazione e social media da parte dei dipendenti pubblici, anche al fine di tutelare l’immagine della pubblica amministrazione».  L’art. 2, invece, disciplina la oramai tradizionale «Clausola di invarianza finanziaria» ed è volto ad escludere nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica per l’attuazione del decreto. L’art. 11 bis del nuovo codice di comportamento dispone «1. L’amministrazione, attraverso i propri responsabili di struttura, ha facoltà di svolgere gli accertamenti necessari e adottare ogni misura atta a garantire la sicurezza e la protezione dei sistemi informatici, delle informazioni e dei dati. Le modalità di svolgimento di tali accertamenti sono stabilite mediante linee guida adottate dall’Agenzia per l’Italia Digitale, sentito il Garante per la protezione dei dati personali. In caso di uso di dispositivi elettronici personali, trova applicazione l’articolo 12, comma 3-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. 2. L’utilizzo di account istituzionali è consentito per i soli fini connessi all’attività lavorativa o ad essa riconducibili e non può in alcun modo compromettere la sicurezza o la reputazione dell’amministrazione. L’utilizzo di caselle di posta elettroniche personali è di norma evitato per attività o comunicazioni afferenti il servizio, salvi i casi di forza maggiore dovuti a circostanze in cui il dipendente, per qualsiasi ragione, non possa accedere all’account istituzionale. 3. Il dipendente è responsabile del contenuto dei messaggi inviati. I dipendenti si uniformano alle modalità di firma dei messaggi di posta elettronica di servizio individuate dall’amministrazione di appartenenza. Ciascun messaggio in uscita deve consentire l’identificazione del dipendente mittente e deve indicare un recapito istituzionale al quale il medesimo è reperibile. 4. Al dipendente è consentito l’utilizzo degli strumenti informatici forniti dall’amministrazione per poter assolvere alle incombenze personali senza doversi allontanare dalla sede di servizio, purché l’attività sia contenuta in tempi ristretti e senza alcun pregiudizio per i compiti istituzionali. 5. È vietato l’invio di messaggi di posta elettronica, all’interno o all’esterno dell’amministrazione, che siano oltraggiosi, discriminatori o che possano essere in qualunque modo fonte di responsabilità dell’amministrazione». Orbene, già la prima disposizione innovativa, pur mossa dal lodevole intento di dettagliare i comportamenti leciti e illeciti in relazione alla sempre crescente informatizzazione della P.A., con uno sguardo anche alla sicurezza ed integrità dei dati personali, tuttavia pone dubbi sul se: – la stessa sia effettivamente necessaria o costituisca, piuttosto, in virtù dell’autosufficienza del D.P.R. n. 62/2013 (tesi sostenuta dagli scriventi, pur se non seguita, come si avrà modo di illustrate, dalla prima giurisprudenza amministrativa chiamata a pronunciarsi sul punto) artificiosa, ridondante e al contempo eccessivamente frammentata moltiplicazione di fattispecie comportamentali, in considerazione dell’art. 11, comma 3 previgente, del D.P.R. stesso, in cui era ed è sancito, in modo chiaro, che «Il dipendente utilizza il materiale o le attrezzature di cui dispone per ragioni di ufficio e i servizi telematici e telefonici dell’ufficio nel rispetto dei vincoli posti dall’amministrazione»; – l’espressione utilizzata nel comma 4, «in tempi ristretti», non sia eccessivamente generica, in violazione di un criterio minimo di tassatività delle condotte del pubblico dipendente di rilevanza disciplinare, prestando il fianco ad interpretazioni notevolmente divergenti fra organi disciplinari di diverse P.A., e, quindi, anche da parte di giudici chiamati a pronunciarsi su ricorsi avverso l’irrogazione di sanzioni disciplinari. La seconda innovazione di rilievo attiene all’utilizzo dei social network, ove il nuovo art. 11, ter, ha previsto che «1. Nell’utilizzo dei propri account di social media, il dipendente utilizza ogni cautela affinché le proprie opinioni o i propri giudizi su eventi, cose o persone, non siano in alcun modo attribuibili direttamente alla pubblica amministrazione di appartenenza. 2. In ogni caso il dipendente è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale. 3. Al fine di garantirne i necessari profili di riservatezza le comunicazioni, afferenti direttamente o indirettamente il servizio non si svolgono, di norma, attraverso conversazioni pubbliche mediante l’utilizzo di piattaforme digitali o social media. Sono escluse da tale limitazione le attività o le comunicazioni per le quali l’utilizzo dei social media risponde ad una esigenza di carattere istituzionale. 4. Nei codici di cui all’articolo 1, comma 2, le amministrazioni si possono dotare di una “social media policy” per ciascuna tipologia di piattaforma digitale, al fine di adeguare alle proprie specificità le disposizioni di cui al presente articolo. In particolare, la “social media policy” deve individuare, graduandole in base al livello gerarchico e di responsabilità del dipendente, le condotte che possono danneggiare la reputazione delle amministrazioni. 5. Fermi restando i casi di divieto previsti dalla legge, i dipendenti non possono divulgare o diffondere per ragioni estranee al loro rapporto di lavoro con l’amministrazione e in difformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 33, e alla legge 7 agosto 1990, n. 241, documenti, anche istruttori, e informazioni di cui essi abbiano la disponibilità». La novella in parola desta perplessità con riferimento al comma 2, ove pare ipotizzabile una compressione del diritto di critica del lavoratore, ove raffrontato con le oggettività giuridiche del prestigio, del decoro e dell’immagine della amministrazione di appartenenza o della Amministrazione in generale. L’avverbio utilizzato, «in ogni caso», potrebbe offrire il destro per ipotizzare che anche manifestazioni della libertà di opinione vere o verosimili circa i fatti oggetto di postulazione di giudizio, continenti nella forma espressiva e pertinenti, potrebbero considerarsi sanzionabili se lesive, tout court, dei sopra indicati valori, risolvendo in un vuoto di fini quel tradizionale bilanciamento  tra libertà di espressione e altri valori di rango personalistico  attraverso il summenzionato triplice requisito. Viste e considerate le due modifiche di maggior rilievo, ragioni di completezza inducono a tener presenti anche le restanti modifiche, più contenute, quali quelle incidenti sull’art.12 DPR n. 62/2013 (soddisfacimento dell’utente, tutela del prestigio, decoro, immagine P.A. di appartenenza o P.A. in generale), quelle inerenti all’art. 13 s. (soprattutto sui doveri del Dirigente di struttura amministrativa di cura del benessere organizzativo della stessa e di valorizzazione delle risorse alla stessa assegnate), quelle inerenti al successivo art. 15 (previsione di attività formative per il personale in tema di trasparenza e integrità, con aggiornamento annuale, nonché cicli sulla c.d. etica pubblica, predicando un idea di Dirigente amministrativo orientata al c.d. people management e alla visione sistemica), quelle infine relative all’art. 17, sempre D.P.R. n. 62/2013 (aggiunta, dopo il comma 2, di un comma 2-bis. «Alle attività di cui al presente decreto le amministrazioni provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi ulteriori oneri a carico della finanza pubblica», che appare un po’ ridondante, in quanto l’art. 2 D.P.R. n. 81/2023 replica la clausola di invarianza finanziaria). 2. In tale contesto si colloca la sentenza annotata, che rappresenta la prima pronuncia sul codice di comportamento emendato. Il ricorrente, che nel caso di specie è una federazione sindacale, ha chiesto l’annullamento, previa sospensione, del DPR n. 81/2023 deducendo tre autonomi motivi di ricorso: 1) Violazione dell’art. 17 della L. n. 400/1988 ed eccesso di potere per travisamento delle circostanze di fatto, difetto dei presupposti, anche con riferimento ai principi costituzionali di cui all’art. 97 Cost., in considerazione del fatto che il Governo italiano non avrebbe tenuto in debito conto il parere del Consiglio di Stato, obbligatorio e non vincolante, sullo schema di decreto; 2) Violazione del comma 1 bis dell’art. 54 del T.U. 165 del 2001 (T.U. Pubblico Impiego), dei principi generali in tema di tipizzazione delle condotte sanzionabili, eccessiva genericità – eccesso di potere per difetto dei presupposti, carenza di istruttoria e, per l’effetto, violazione dell’art. 97 Cost, con censure di indeterminatezza delle condotte descritte nei nuovi artt. 11 bis e 11 ter (sul punto gli scriventi – v. n. 1 della narrativa che precede, concordano parzialmente, soprattutto con riguardo alla locuzione «in tempi ristretti»); 3) Violazione degli artt. 21, 25 e 97 Cost. e del giusto processo, lamentandosi una violazione dei principi fondamentali di libertà di manifestazione del pensiero, di legalità e di buon andamento dell’azione amministrativa. Il TAR adito, tuttavia, non ha accolto il ricorso, dichiarandolo inammissibile per carenza di interesse ad agire. Nella motivazione, l’organo di giustizia amministrativa, sostanzialmente, muove da un’articolata considerazione giuridica, secondo cui il D.P.R. n. 62/2013, anche nella versione vigente a seguito delle novelle contenute nel D.P.R. n. 81/2023, contiene solo norme comportamentali di principio, generiche, astratte, destinate ad un’opera di integrazione successiva da parte di ogni singola P.A., che adotterà codici comportamentali di maggior dettaglio, e meglio adattati alla specifica finalità di cura dell’interesse pubblico attribuita a ciascuna di esse dal legislatore. Il Giudice amministrativo, in particolare, ritiene di poter fare sull’art. 1, comma 2, del D.P.R. n. 62/2013, a mente del quale «Le previsioni del presente Codice sono integrate e specificate dai codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni ai sensi dell’articolo 54, comma 5, del citato decreto legislativo n. 165 del 2001 (in replica alla norma fondamentale del T.U. Pubblico impiego che attribuisce alle stesse poteri integrativi e specificativi – n.d.r.)». Sulla base di tali premesse, sempre secondo l’argomentazione in sentenza, «l’articolo 54 del D.lgs. n. 165/2001, richiamato espressamente all’articolo 1 del D.P.R. n. 62/2013, ai commi 1 e 5, nel descrivere il sistema delle fonti sussistente in relazione alla eziologia delle regole comportamentali del dipendente pubblico, prevede espressamente che il codice di comportamento definito dal Governo rappresenti solo il punto di partenza e la norma fondamentale alla quale le Amministrazioni devono ispirarsi nell’adozione del proprio codice di comportamento, destinato poi ad integrare e specificare il primo», nonché «Il Regolamento di cui al D.P.R. 62/2013, innovato dal D.P.R. n. 81/2023, rappresenta un atto di volizione preliminare ovverossia un atto che, secondo quanto precisato di recente dal Consiglio di Stato (sez. III, 10 luglio 2020, n. 4464), reca “solo ‘volizioni preliminari’, cioè statuizioni di carattere generale, astratto e programmatorio, come tali non idonee a produrre una immediata incisione nella sfera giuridica dei destinatari, essendo inidoneo a vincolare le successive decisioni di ciascuna Amministrazione al punto da non lasciare margine di discrezionalità in materia, essendo, anzi, destinato ad essere oggetto di intervento integrativo e specificativo da parte delle PP.AA». Consegue, sempre secondo la pronuncia in annotazione, una inidoneità del D.P.R. n. 62/2013, anche nella versione conseguente alle integrazioni del 2023 con gli artt. 11 bis e 11 ter, a ledere posizioni di interesse individuale e collettivo in maniera concreta ed attuale, sino a compiuta adozione da parte delle amministrazioni di codici comportamentali specificativi e integrativi, deducendosi, per l’effetto, una inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ad agire. 3. La motivazione della sentenza, ad avviso degli scriventi, desta alcune perplessità. A monte, ritenere il D.P.R. n. 62/2013 alla stregua di un regolamento contenente prescrizioni generali e astratte, recante «volizioni preliminari» e programmatiche stride con la specifica tipologia di fonte del diritto (sia essa esecutiva, di organizzazione, attuativa- integrativa, delegata/autorizzata, indipendente, ai sensi e per gli effetti dell’art. 17 l. 400/1988), la cui funzione tipica è proprio quella di prevedere prescrizioni di dettaglio. Il TAR Lazio, quindi, tende ad operare una eccessiva generalizzazione nel ragionamento seguito, ritenendo, soprattutto con riguardo agli artt. 11 bis e 11 ter di nuova introduzione, che gli stessi non siano ancora self executing, ma finendo per «arroccarsi »su di una petizione di principio. A valle, poi, a parte il riferimento ai «doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare» contenuto nell’art. 1, comma 1, del Codice di comportamento, lo stesso art. 54, comma 3, D.lgs. n. 165/2001 sancisce che «La violazione dei doveri contenuti nel codice di comportamento, compresi quelli relativi all’attuazione del Piano di prevenzione della corruzione, è fonte di responsabilità disciplinare. La violazione dei doveri è altresì rilevante ai fini della responsabilità civile, amministrativa e contabile ogniqualvolta le stesse responsabilità siano collegate alla violazione di doveri, obblighi, leggi o regolamenti. Violazioni gravi o reiterate del codice comportano l’applicazione della sanzione di cui all’articolo 55-quater, comma 1», a recisa smentita di ogni teorema circa l’assenza di vincolatività delle norme regolamentari. Le ipotesi di infrazioni appaiono, quindi, tipizzate anche nelle nuove norme, in quanto descrittive delle ipotesi di infrazione. Ciò nonostante, le stesse non si appalesano scevre da possibili vizi di violazione di legge, come sopra illustrato. Ci si riferisce, in primo luogo, alla locuzione «ristretti limiti», riferita all’uso di strumenti telematici per esigenze personali (art. 11 bis, comma 4), in contrasto con il principio di legalità e di tassatività (che del primo è un corollario). Si fa richiamo, all’art. 11 ter, comma 2, che vieta, «in ogni caso», di manifestare il proprio pensiero, sui social network in contrasto con oggettività giuridiche imputabili all’Ente di appartenenza o altra PA, in contrasto con l’art. 21 Cost., anche alla presenza della causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di cronaca e/o di critica, lumeggiato da verità/verosimiglianza dei fatti narrati o, in modo più attenuato, delle opinioni critiche espresse, da continenza formale e da pertinenza. Su tali aspetti, quindi, le condotte sono comunque individuate e sanzionabili, ritenendosi, di conseguenza, che l’Organo giurisdizionale amministrativo, piuttosto che dichiarare l’inammissibilità, dovesse affrontare il merito del ricorso. All’esito, magari, dichiarandolo infondato in base ad una interpretazione teleologica ed assiologica delle nuove norme, volte ad attribuire loro significati chiari e pregnanti con i principi generali dell’ordinamento giuridico o accogliendolo, sul presupposto che il significato univoco delle norme introdotte, per quanto riguarda le ipotesi censurate, integrasse un vizio di violazione di legge. Maria Aiello, primo tecnologo CNR, responsabile Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare, sede di Catanzaro Paolo Capitelli, dirigente tecnologo CNR, responsabile Unità procedimenti disciplinari Visualizza i documenti: Tar Lazio, sez. IVª ter, 27 ottobre 2023, n. 15978; Dpr 13 giugno 2023, n. 81 Scarica il commento in PDF L'articolo Le modifiche al Codice di comportamento dei dipendenti pubblici non ledono i diritti dei dipendenti (nota a TAR Lazio, sez. IVª ter, 27 ottobre 2023, n. 15978) sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.

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