Il fatto che all’iniziale contestazione disciplinare non segua alcuna sanzione non esclude di per sé l’eventuale pretesa risarcitoria del datore di lavoro nei confronti del dipendente per i medesimi fatti contestati.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Ancona aveva confermato la sentenza del Tribunale di Macerata con la quale il lavoratore, direttore di filiale, era stato condannato al risarcimento del danno causato alla banca datrice di lavoro a causa della non diligente custodia di un dossier relativo ad una società cliente contenente copia di un contratto di prestito e di una fideiussione prestata dalla banca, da cui era scaturita l’impossibilità per quest’ultima di insinuarsi al passivo fallimentare della società, rimasta inadempiente rispetto alla restituzione del prestito accordato.
Il lavoratore ricorreva in Cassazione per la riforma della sentenza d’appello lamentando, con il primo motivo di ricorso, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2106 c.c. e dell’art. 7 L. n. 300/1970. In particolare, sosteneva che la mancanza irrogazione di una sanzione disciplinare escludesse la pretesa risarcitoria in quanto fondata sugli stessi fatti oggetto di contestazione.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso evidenziando, anzitutto, l’irrilevanza del motivo in ragione della totale autonomia e indipendenza delle due differenti azioni, disciplinari e di risarcimento del danno. La Corte ha infatti chiarito che la violazione degli obblighi di fedeltà e diligenza da parte di un dipendente comporta, oltre all’applicabilità di sanzioni disciplinari, anche l’insorgere del diritto al risarcimento dei danni e ciò tanto più nel caso in cui il medesimo, quale dirigente di un istituto di credito in rapporto di collaborazione fiduciaria con il datore di lavoro, del quale è un “alter ego” in posizione di particolare responsabilità, si collochi al vertice dell’organizzazione aziendale e svolgendo mansioni tali da improntare la vita dell’azienda. Il principio ribadito dalla Corte è dunque quello secondo cui l’esistenza di fatti accertati, anche se non censurati sotto il profilo disciplinare, può comunque determinare il diritto al risarcimento del danno provocato poiché l’interesse perseguito dal datore di lavoro è costituito dal ripristino della situazione patrimoniale evidentemente lesa. In pratica, quindi, la rinuncia all’esercizio del potere disciplinare non pregiudica l’esercizio dell’azione risarcitoria. L’orientamento della Corte sul punto è senza dubbio condivisibile e pacifico.
Ciò detto, la sentenza induce a riflettere a proposito della responsabilità risarcitoria di figure dirigenziali di filiale, soprattutto in settori, come quello bancario, tendenti alla centralizzazione dell’organizzazione e delle decisioni (non a caso, nel caso di specie il secondo motivo di ricorso formulato dal lavoratore aveva ad oggetto la mancata considerazione da parte della Corte territoriale del livello di autonomia della filiale rispetto alla sede centrale, motivo però dichiarato giustamente inammissibile perché diretto a sollecitare una nuova valutazione di merito da parte della Corte di Cassazione).
Infatti, il riferimento in motivazione alla figura dirigente quale “alter ego” dell’imprenditore sembra un po’ forzata. Piuttosto, bisognerebbe riconoscere i limiti di azione delle figure dirigenziali sempre meno autonome e, di conseguenza, ammettere le responsabilità risarcitorie in presenza di una effettiva condotta colposa o dolosa non riconducibile alla volontà di terzi gerarchicamente sovraordinati.
Giorgio Giannini, avvocato in Milano
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Cass., ordinanza 4 ottobre 2023, n. 27940
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Risarcibilità del danno derivante da condotte non sanzionate disciplinarmente sembra essere il primo su
Rivista Labor - Pacini Giuridica.