Responsabilità per danno cagionato da animali selvatici
Cass. civ., Sez. III, Ord., 30.10.2023, n. 30072 – Dott. F. M. Cirillo
Circolazione stradale – Responsabilità civile – Responsabilità per danno cagionato da animali selvatici (art. 2052 c.c.)
Massima: “Nel caso di danni derivanti da incidenti stradali tra veicoli e animali selvatici, ai fini dell’integrazione della fattispecie di responsabilità di cui all’art. 2052 cod. civ., è necessario provare che la condotta dell’animale sia stata la causa del danno. Non è sufficiente, per il danneggiato, dimostrare la presenza dell’animale sulla carreggiata e l’impatto tra quest’ultimo e il veicolo, essendo egli tenuto – anche ai fini di assolvere all’onere della prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ai sensi dell’art. 2054, primo comma, cod. civ. – ad allegare e dimostrare l’esatta dinamica del sinistro, dalla quale emerga che egli aveva nella specie adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida (cautela da valutare con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui sia segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici) e che il contegno dell’animale selvatico abbia avuto effettivamente un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui – nonostante ogni cautela – non sarebbe stato comunque possibile evitare l’impatto, di modo che quel contegno possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno”.
CASO
Tizio citava in giudizio la Regione, davanti al giudice di pace, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni riportati dall’autoveicolo di sua proprietà a causa dello scontro con un capriolo, avvenuto mentre stava percorrendo la strada X.
La Regione convenuta si costituiva in giudizio eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedendo, nel merito, il rigetto della domanda.
Il giudice di pace accoglieva invece la domanda, ai sensi dell’art. 2052 c.c., e condannava la Regione al risarcimento dei danni, con sentenza che veniva impugnata dalla Regione avanti al Tribunale territorialmente competente.
Il Tribunale accoglieva il gravame e, in riforma della decisione di primo grado, rigettava la domanda della parte danneggiata, compensando integralmente le spese di lite, dopo avere ritenuto la Regione priva di legittimazione passiva.
Contro la sentenza del tribunale, Tizio ricorreva in Cassazione.
SOLUZIONE
La Suprema Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, rinviando al Tribunale, in persona di un diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di cassazione.
QUESTIONI
Tizio si lamenta, in buona sostanza, della violazione e falsa applicazione dell’art. 2052 c.c., sostenendo che erroneamente il Tribunale avrebbe escluso la responsabilità della Regione convenuta in applicazione della disposizione testé citata.
Per la comprensione del tema oggetto di indagine occorre quindi prendere le mosse dalla lettura dell’art. 2052 c.c., a mente del quale “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.
Va detto anzitutto che la responsabilità per fatto degli animali non è una normale ipotesi di responsabilità per omessa custodia, tant’è che risponde del danno il proprietario o chi si serve dell’animale, sia che l’animale sia sotto la sua custodia sia che sia smarrito o fuggito. La responsabilità trova fondamento cioè nell’uso dell’animale (anche solo potenziale) al fine di trarne una qualche utilità secondo la sua natura e la sua destinazione economica e sociale (secondo il principio del cuius comoda et incommoda; cfr. Cass. 98/12307).
La responsabilità per fatto degli animali è una tipica ipotesi di responsabilità oggettiva: non è dunque necessario provare la colpa del padrone o dell’utente, i quali rispondono anche se incapaci e per il solo fatto che il danno sia avvenuto a causa dell’animale (in presenza quindi di un nesso causale tra fatto dell’animale e danno), indipendentemente dalla condotta dei primi (Cfr. Cass. 70/1356). La norma in esame prevede in capo al proprietario/utente una presunzione di colpa iuris et de iure a vincere la quale non è sufficiente la prova di aver usato la comune diligenza nella custodia dell’animale ma occorre la prova del caso fortuito idonea a interrompere il nesso causale tra fatto dell’animale e danno.
Detto questo, va ricordato che prima dell’entrata in vigore della L. 27.12.1977, n. 968 si riteneva che gli animali selvatici viventi in libertà appartenessero alla categoria delle res nullius, suscettibili di essere acquistati dai singoli, mediante l’occupazione di cui all’art. 923 c.c. In conseguenza di ciò, si negava la responsabilità del concessionario della riserva, che non avrebbe potuto essere definito né proprietario né utilizzatore degli animali ivi presenti. È solo con l’entrata in vigore della L. n. 968/1977 (poi abrogata dalla L. 11.2.1992, n. 157), che la fauna selvatica italiana è stata inclusa nel patrimonio indisponibile dello Stato, eliminando in tal modo l’ostacolo (la qualificazione della fauna selvatica come res nullius) che impediva l’applicazione dell’art. 2052 c.c. alla fattispecie in questione.
L’orientamento della Suprema Corte era peraltro costante nell’inquadrare la responsabilità dello Stato o delle Regioni non in base all’art. 2052, ma solamente alla stregua dei principi generali della responsabilità extracontrattuale, sulla scorta della considerazione per cui l’applicabilità dell’art. 2052 ai danni cagionati dalla fauna selvatica doveva ritenersi esclusa dall’impossibilità di configurare una disponibilità materiale ed un controllo sulla stessa.
La giurisprudenza della Suprema Corte ha però di recente modificato il proprio orientamento in materia, stabilendo che i danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A. a norma dell’art. 2052 c.c. Difatti osserva la Corte – anche nella pronuncia in commento – da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto dalla norma citata prescinde dal dovere di custodia e si fonda sulla proprietà o comunque sull’utilizzazione dell’animale e, dall’altro, le specie selvatiche (protette ai sensi della L. n. 157 del 1992) rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici (le Regioni) in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema.
Per questi motivi è stato quindi affermato che nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell’art. 2052 c.c. la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte, per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari, da altri enti. Sarà poi la Regione a potersi rivalere (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell’esercizio di funzioni proprie o delegate, l’adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno (cfr. 23/3745; Cass. 20/7969; Cass. 20/12113; Cass. 20/13848).
Affermata la legittimazione passiva della Regione, va poi chiarito che, ai fini della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c., è necessario che il danneggiato provi che la condotta dell’animale sia stata la causa del danno. Non è cioè sufficiente, per il danneggiato, dimostrare la presenza dell’animale sulla carreggiata e l’impatto tra quest’ultimo e il veicolo, essendo egli tenuto – anche ai fini di assolvere all’onere della prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ai sensi dell’art. 2054 c.c., co. 1 – ad allegare e dimostrare l’esatta dinamica del sinistro, dalla quale emerga che egli aveva nella specie adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida (cautela da valutare con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui fosse segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici) e che il contegno dell’animale selvatico abbia avuto effettivamente un carattere di tale imprevedibilità e irrazionalità tale per cui non sarebbe stato possibile evitare l’impatto, nonostante ogni cautela; di modo che il contegno dell’animale possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno (cfr. Cass. 23/11107).
Ciò premesso, appurato che nel caso di specie la sentenza impugnata non aveva considerato il mutamento giurisprudenziale in forza del quale i danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A. a norma dell’ art. 2052 c.c. e non dell’art. 2043 c.c., la S.C. cassa la decisione gravata che aveva escluso la legittimazione passiva della Regione e rinvia il giudizio al Tribunale perché possa decidere attenendosi ai principi di diritto appena esposti.
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