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Il Tribunale di Venezia, con la sentenza 2 novembre 2023, n. 656 e il Tribunale di Chieti, con la sentenza 7 novembre 2023, n. 387 si sono pronunciate su due fattispecie analoghe in materia dei c.d. ‘controlli difensivi’ del datore di lavoro. Il giudice di Venezia è chiamato a valutare la natura discriminatoria di un licenziamento per giusta causa basato su elementi di prova raccolti dal datore di lavoro mediante indagini svolte da un investigatore privato; indagini richieste – secondo la linea difensiva datoriale – alla luce di un “andamento negativo delle vendite nella zona di competenza [del lavoratore]” in relazione a un periodo di tempo nel quale il datore di lavoro avrebbe anche maturato “il sospetto di una non regolare e legittima fruizione dei permessi ex lege n. 104/1992” (così nella motivazione della sentenza). Anche nella fattispecie oggetto della sentenza del giudice di Chieti, il datore di lavoro acquisisce la conoscenza dei fatti posti da base di un licenziamento per giusta causa per il tramite di una società di assistenza e consulenza alle aziende con la quale è siglato un accordo di “collaborazione allo scopo di prevenire differenze inventariali […] e […] di cooperazione nella individuazione dei responsabili […]” (così nella motivazione). Per i profili di interesse di questa nota, in entrambi i casi la questione giuridica di particolare rilevanza è la regolazione dei confini entro i quali – ai sensi dell’art. 4 della L. n. 300/1970 (nella versione aggiornata nel 2015 dal c.d. Jobs Act) – il datore di lavoro può svolgere (eventualmente per il tramite di un soggetto terzo) controlli volti ad accertare fatti potenzialmente rilevanti nella gestione del rapporto di lavoro. Le due sentenze in analisi fanno applicazione di un orientamento ormai consolidato sul punto e, dunque, ci offrono il destro per sintetizzare il diritto vivente nella materia più generale dei controlli datoriali. La casistica dell’art. 4 prevede che sia libero, ossia non soggetto a procedure autorizzatorie preventive, a) il controllo diretto sugli accessi e sulle presenze del lavoratore, mediante strumenti di registrazione degli uni e delle altre; e b) il controllo indiretto sull’attività dei lavoratori, favorito dagli “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa”. Prevede, inoltre, che sia vincolato alla stipulazione preventiva di un accordo sindacale oppure all’autorizzazione preventiva dell’Ispettorato del Lavoro, c) il controllo indiretto sull’attività dei lavoratori mediante impianti audiovisivi e altri strumenti che, però, “possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”. Prevede, infine, che “le informazioni raccolte [n.d.r.: mediante le suddette modalità di controllo diretto e indiretto] sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto [in materia di trattamento dei dati personali] dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 [n.d.r.: e dalla normativa dell’UE]”. Il legislatore, quindi, vieta il controllo diretto sull’attività lavorativa: quel tipo di controllo che la giurisprudenza definisce “fine a se stesso” (c.d. tutela piena alle prerogative del lavoratore); fatta salva la sola rilevazione degli accessi e delle presenze in servizio che, nella gran parte dei casi, avviene tramite sistemi elettronici che ricorrono a badge magnetici. È possibile, dunque, monitorare direttamente il mero inizio e la mera fine dell’attività lavorativa, ma non le sue modalità e i suoi tempi di svolgimento intermedio. È consentito, ma previa attivazione delle necessarie procedure autorizzatorie, il monitoraggio che consegua a un sistema di controlli direttamente finalizzato a soddisfare esigenze organizzative e produttive; a garantire la sicurezza del lavoro; a tutelare il patrimonio aziendale (c.d. tutela affievolita per ragioni oggettive inerenti all’impresa). Si tratta di una tipologia di monitoraggio che non riguarda la prestazione di uno specifico lavoratore, ma che può offrire elementi per valutare una prestazione lavorativa individuale solo nel caso in cui il trattamento dei dati personali – indirettamente acquisiti – sia il frutto di un sistema che opera nel rispetto del principio di accountability per il trattamento dei dati personali; e a condizione che al lavoratore interessato siano state fornite tutte le informazioni in materia di disciplina della privacy e informazioni adeguate anche sulle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli. È sempre consentito – senza alcuna procedura autorizzatoria preventiva – il controllo indiretto che sia ‘effetto collaterale’ del ricorso a particolari strumenti tecnici indispensabili per “rendere la prestazione lavorativa”. Sotto quest’ultimo profilo, l’INL ritiene che debba trattarsi di “apparecchi, dispositivi, apparati e congegni che costituiscono il mezzo indispensabile al lavoratore per adempiere la prestazione lavorativa dedotta in contratto, e che per tale finalità siano stati posti in uso e messi a sua disposizione” (così nella circolare n.2/2016 in materia di sistemi GPS installati su veicoli aziendali in uso ai dipendenti). È interessante analizzare una fattispecie concreta in relazione alla quale si è pronunciato anche il Garante della privacy. Nel provvedimento n. 139 dell´8 marzo 2018, il Garante ha escluso che la fattispecie seguente rientrasse nel novero dei controlli indiretti ‘liberi’. È il caso di un’impresa che ricorre a un sistema informatico per la gestione dei contatti con la clientela; sistema “funzionale a specifiche esigenze organizzative e produttive […] (in particolare, quella di migliorare la qualità del servizio reso nei rapporti con la clientela)”. In questo caso, rileva il Garante, non siamo dinnanzi a uno strumento direttamente preordinato a realizzare un controllo individualizzato e massivo, ma a uno strumento che funge da archivio dettagliato dei rapporti con la clientela e che, allo stesso tempo, consente “di ricostruire, anche indirettamente, l’attività effettuata dagli operatori”. Si tratta, dunque, di un “sistema idoneo a realizzare un controllo, anche solo potenziale e in via indiretta, dell’attività lavorativa”. Alla luce di questa ricostruzione, la conclusione del Garante è che “le accertate caratteristiche del sistema e il novero delle operazioni di trattamento da questo rese possibili non risultano in via esclusiva funzionali alla mera gestione del contatto con il cliente e, dunque, al mero svolgimento della prestazione lavorativa”. Sul punto, pertanto, sia l’INL (con la citata circolare n.2/2016) che il Garante della privacy (con il citato provvedimento n.139 dell’8 marzo 2018 e con gli altri provvedimenti cui quest’ultimo rinvia) convergono su una medesima ricostruzione: questa tipologia di controllo indiretto sull’attività lavorativa può conseguire solo all’uso di strumenti che siano indispensabili per lo svolgimento della prestazione (ossia senza i quali la prestazione non possa essere resa utilmente), e per il solo caso in cui il controllo stesso costituisca un ‘effetto collaterale’ ineludibile di quest’uso. Anche in questo caso, peraltro, come nel caso del monitoraggio di cui s’è detto subito prima – quello direttamente finalizzato a soddisfare esigenze organizzative e produttive; a garantire la sicurezza del lavoro; a tutelare il patrimonio aziendale – gli elementi di fatto rilevati sono utilizzabili in relazione al rapporto di lavoro alla medesima condizione dell’integrale rispetto della disciplina in materia di trattamento di dati personali, e dell’adempimento degli obblighi informativi. Le sentenze in analisi inseriscono in questo schema, così rifacendosi a consolidati arresti di legittimità, l’istituto di creazione pretoria dei ‘controlli difensivi’ svolti ex post, eventualmente anche a mezzo di soggetti terzi rispetto al datore di lavoro; istituto di creazione pretoria che – questa la posizione ormai pacifica della giurisprudenza – ha resistito alle modifiche normative introdotte con il Jobs Act. Nella versione originaria dell’art. 4, difatti, il monitoraggio vincolato, da cui poteva conseguire un controllo indiretto sull’attività lavorativa, era previsto per le sole causali relative alle esigenze organizzative e produttive, e all’obiettivo di garantire la sicurezza del lavoro; con esclusione della causale concernente lo scopo di tutelare il patrimonio aziendale. Nella logica dello Statuto dei Lavoratori, però, la tutela del patrimonio aziendale è comunque una prerogativa datoriale esercitabile anche per il tramite di guardie giurate (o agenzie investigative secondo la lettura giurisprudenziale). Sotto questo profilo, è di tutta evidenza che eventuali controlli volti alla tutela del patrimonio aziendale dovessero essere considerati o liberi (senza alcuna procedura autorizzatoria) o vincolati in quanto comunque rientranti nel concetto di “produttività” aziendale. L’istituto pretorio dei ‘controlli difensivi’, dunque, è stato storicamente funzionale al bilanciamento tra l’interesse del lavoratore al rispetto della propria dignità, e della propria libertà personale anche sotto il profilo del rispetto della riservatezza, e l’interesse datoriale alla conservazione del patrimonio aziendale. Alla luce di questo bilanciamento, la giurisprudenza ha ritenuto che fossero esclusi dai confini dell’art. 4 i controlli difensivi diretti ad accertare comportamenti illeciti e lesivi del patrimonio e dell’immagine aziendale, disposti successivamente al fatto storico addebitato oppure preventivamente a esso ma sulla base di un fondato sospetto; ha ritenuto, inoltre, che i controlli difensivi si dovessero svolgere nell’assoluto rispetto dei principi di buona fede oggettiva e correttezza, proporzionalità e pertinenza. La giurisprudenza, in sostanza, ha ritenuto che “ai fini dell’operatività del divieto utilizzo di apparecchiature per il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori previsto dall’art. 4 della L. n. 300 citata, [fosse] necessario che il controllo riguard[asse] (direttamente o indirettamente) l’attività lavorativa, mentre [dovevano] ritenersi certamente fuori dell’ambito di applicazione della norma i controlli diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore” (così, tra le molte, Corte di Cassazione del 3 aprile 2002 n.4746). I controlli difensivi, quindi, si ponevano in relazione a condotte estranee all’oggetto della obbligazione lavorativa dedotta in contratto; e, dunque, non strettamente attinenti a fatti di adempimento o di inadempimento della prestazione di lavoro: essi avevano a oggetto, non tanto l’attività lavorativa – sulla quale, peraltro, il datore di lavoro può vigilare solo con personale interno all’organizzazione dell’impresa (cfr. art. 3 L. n.300/1970) -, ma l’illecito commesso durante la prestazione lavorativa (per la ricostruzione del vecchio regime normativo e per l’individuazione di principi validi anche dopo la modifiche normative, si veda Corte di Cassazione del 22 giugno 2021 n.25732). L’introduzione della tutela del patrimonio aziendale nel novero delle causali del monitoraggio vincolato alle previe procedure autorizzatorie, ad avviso della giurisprudenza, non ha reso superfluo l’istituto dei ‘controlli difensivi’. La cassazione, difatti, ha di recente ulteriormente precisato che “occorre distinguere, anche per comodità di sintesi verbale, tra i controlli a difesa del patrimonio aziendale che riguardano tutti i dipendenti (o gruppi di dipendenti) nello svolgimento della loro prestazione di lavoro che li pone a contatto con tale patrimonio, controlli che dovranno necessariamente essere realizzati nel rispetto delle previsioni dell’art. 4 novellato in tutti i suoi aspetti e controlli difensivi in senso stretto, diretti ad accertare specificamente condotte illecite ascrivibili – in base a concreti indizi – a singoli dipendenti, anche se questo si verifica durante la prestazione di lavoro”. Questi ultimi “controlli, anche se effettuati con strumenti tecnologici, non avendo ad oggetto la normale attività del lavoratore’, si situano, ancora oggi, all’esterno del perimetro applicativo dell’art. 4’” (le citazioni sono tratte da Corte di Cassazione del 26 giugno 2023, n. 18168 che, a sua volta, cita la Corte di Cassazione n.25732/2021; la Corte di Cassazione del 12 novembre 2021 n.34092 e ulteriori arresti in termini sia di legittimità che della Corte EDU). La sentenza del Tribunale di Chieti fa uso di questi principi per escludere che, nella fattispecie concreta, il datore di lavoro (per il tramite di un’agenzia terza) avesse svolto, senza attivare le procedure autorizzatorie, controlli sulla qualità della prestazione lavorativa e sul suo corretto adempimento; al contrario, il giudice di prime cure ha ritenuto che il licenziamento fosse sorretto da accertamenti in fatto svolti in aderenza ai criteri ricostruttivi dell’istituto pretorio dei controlli difensivi. Stesso ragionamento ma con diverso esito nel caso del Tribunale di Venezia, per il quale nel caso specifico i controlli difensivi si sarebbero svolti, da un canto, nella totale mancanza di un fondato sospetto e al solo scopo di individuare – “a strascico” per così dire – una qualunque condotta che consentisse al datore di lavoro di liberarsi di un dipendente scomodo; e, dall’altro, mediante soggetti terzi il cui scopo era proprio  “verificare l’inadempimento del personale in particolare con riferimento alle modalità lavorative” (così nella motivazione). Su queste tematiche, senza pretesa di completezza, sia consentito rinviare, anche per ulteriori riferimenti, a Carla MUSELLA, Controlli difensivi verso l’eternità, a commento della sentenza della Corte di Cassazione 26 giugno 2023, n.18168, in Labor, www.rivistalabor.it, 22 ottobre 2023. Luigi Sposato, spettore del lavoro presso l’Ispettorato territoriale del lavoro di Cosenza * Le opinioni e le valutazioni espresse in questo articolo hanno carattere personale e non impegnano in alcun modo l’Ispettorato Nazionale del Lavoro Visualizza i documenti: Trib. Venezia, 2 novembre 2023, n. 656; Trib. Chieti, 7 novembre 2023, n. 387 Scarica il commento in PDF L'articolo Tutela piena, tutela affievolita, “effetti collaterali” ineludibili, difesa del patrimonio: una breve ricognizione dello stato dell’arte sui controlli difensivi* sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.

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