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Con l’ordinanza in commento (27 aprile 2023 n. 11136), la Suprema Corte ritorna a pronunciarsi sulla legittimità del licenziamento del lavoratore per superamento del periodo di comporto (v., tra le tante, Cass., 4 marzo 2022, n. 7247,  Cass., 20 febbraio 2023, n. 5288 e Cass.,  2 marzo 2023, n. 6336 in Labor, 21 aprile 2023, con nota di PELLICCIA, Licenziamento per superamento del periodo di comporto: i profili contrattuali e la tutela del lavoratore secondo la Corte di cassazione, e  App. Genova, 21 luglio 2021, n. 211, in Labor, 2 agosto 2021, con nota di POSO, Un interessante caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto di una lavoratrice disabile dichiarato nullo per discriminazione indiretta). Nel caso di specie, è in discussione la legittimità del licenziamento di una lavoratrice addetta al servizio mensa per superamento del periodo di comporto, comprensivo delle assenze per malattia conseguenti all’infortunio causato da cose in custodia del datore di lavoro. Il quadro normativo di supporto alla pronuncia in commento è l’art. 2110 c.c.  che in «un’astratta predeterminazione del punto di equilibrio fra l’interesse del lavoratore a disporre d’un congruo periodo di assenze per ristabilirsi a seguito di malattia o infortunio e quello del datore di lavoro di non doversi fare carico a tempo indefinito del contraccolpo che tali assenze cagionano all’organizzazione aziendale» (Cass. SS.UU., 22 maggio 2018, n. 12568) riconosce al datore di lavoro il «diritto di recedere dal contratto, a norma dell’art. 2118 c.c., decorso il periodo stabilito dalla legge, dagli usi o secondo equità» nel caso di infortunio o di malattia del lavoratore. Orbene, le modalità di computo, nel periodo di comporto, dell’assenza per malattia o infortunio del lavoratore non hanno un orientamento univoco nella giurisprudenza di legittimità. In alcune pronunce la Corte dispone che «ai fini del calcolo del periodo di comporto, vanno calcolate le sole assenze per malattia e non anche quelle per infortunio sul lavoro e malattia professionale, atteso che non possono porsi a carico del lavoratore le conseguenze del pregiudizio da lui subito a causa dell’attività lavorativa espletata» (Cass., 04 marzo 2022, n. 7247 , Cass., 12 giugno 2013 n. 14756), in altre pronunce, gli ermellini invece cumulano ai fini del computo del comporto, se previsto dalla contrattazione collettiva di settore, i diversi periodi di assenza. L’orientamento prevalente «afferma che, ai fini del superamento del periodo di comporto, anche in base alla contrattazione collettiva di settore, l’assenza per infortunio sul lavoro e quella dovuta a malattia professionale sono equiparate, e devono essere entrambe computate nel calcolo del limite complessivo, oltre il quale è esperibile la risoluzione del rapporto di lavoro» (Cass, 21 marzo 2016, n. 5527). In particolare, la Suprema Corte, nel caso di specie, sostiene che «le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale sono riconducibili, in linea di principio, all’ampia e generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell’art.  2110 c.c., comprensiva anche di dette specifiche categorie di impedimenti dovuti a cause di lavoro, e sono, pertanto, normalmente computabili nel periodo di conservazione del posto di lavoro previsto nel citato art. 2110, la cui determinazione è da questa norma rimessa alla legge, alle norme collettive, all’uso o all’equità. Non è infatti sufficiente, perchè l’assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, che si tratti di malattia di origine professionale, meramente connessa cioè alla prestazione lavorativa, ma è necessario che in relazione a tale malattia e alla sua genesi sussista una responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c.» (Cass. 24 novembre 2016 n. 24028, Cass., 10 dicembre 2014 n. 26037). Quest’ultima norma secondo costante giurisprudenza di legittimità «non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti da conoscenze sperimentali o tecniche del momento» ne consegue per il lavoratore l’onere di provare l’esistenza del danno alla salute subito nello svolgimento dell’attività lavorativa, la  nocività dell’ambiente di lavoro e la sussistenza di un nesso causale nonché «l’individuazione delle misure di prevenzione che il datore avrebbe dovuto adottare e l’identificazione della condotta che nello specifico ne ha determinato  la  violazione  deve  essere  modulata  in  relazione  alle  concrete circostanze e alla complessità o peculiarità della situazione che ha determinato l’esposizione al pericolo» (Cass. n. 29909/2021) e  per il datore di lavoro l’onere di provare «di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi» (Cass., 6 novembre 2015, n. 22710, Cass., 5 agosto 2013, n. 18626). Per la più recente giurisprudenza di legittimità, rileva ai fini della computabilità nel periodo di comporto delle assenze del lavoratore per infortunio la responsabilità del datore tenuto a dimostrare di avere adottato tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale del prestatore di lavoro con conseguente illegittimità del licenziamento per superamento del comporto se l’infortunio è imputabile al datore di lavoro. L’ordinanza in commento conforme a tale orientamento giurisprudenziale dichiara infondate le censure di illegittimità del licenziamento sollevate per insussistenza di responsabilità datoriale nell’infortunio della lavoratrice «imprevedibile alla luce del grado di diligenza esigibile in base alle norme tecniche e precauzionali del tempo». Orbene «ove sia accertato il nesso eziologico tra il danno stesso e l’ambiente ed i luoghi di lavoro, sussiste ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2051 (danno cagionato da cose in custodia) e 2087 (tutela delle condizioni di lavoro) cod.civ, una responsabilità del datore di lavoro, salvo che lo stesso provi il caso fortuito» (Cass. 12 marzo 2018 n. 5957). La presunzione di colpa prevista dalla norma è superata «dalla dimostrazione dell’avvenuta adozione delle cautele antinfortunistiche e della natura imprevedibile ed inevitabile del fatto dannoso».   In conclusione, la Suprema Corte in mancanza di qualsiasi responsabilità datoriale ai sensi delle disposizioni codicistiche sopra richiamate nell’infortunio esclude l’operativa di automatismi tra infortunio o malattia professionale e diritto del lavoratore a non computare tali giorni di assenza tra quelli «utili» a determinare la conservazione del posto di lavoro. Maria Aiello, primo tecnologo del CNR e collaboratore Unità Affari Legali Visualizza il documento: Cass., ordinanza 27 aprile 2023, n. 11136 Scarica il commento in PDF L'articolo Assenza per malattia professionale o infortunio e superamento del periodo di comporto: legittimo il licenziamento del lavoratore infortunato per causa non imputabile al datore di lavoro sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.

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