Il Tribunale di Bologna, con la sentenza n. 241 del 4 aprile 2023 (non impugnata), qui annotata ripercorre le questioni riguardanti la contrattazione collettiva di settore applicabile al rapporto di lavoro intercorso tra le parti.
In particolare, il giudice si sofferma sulle diverse connotazioni che, in ragione del contesto e del modo in cui viene oggettivato dalla Legge, assume il criterio di rappresentatività di un’associazione sindacale e di come ciò sia differente nel caso di una cooperativa.
Il caso concreto
La lavoratrice di una società cooperativa operante nel settore alberghiero ha ottenuto un decreto ingiuntivo per differenze retributive in ragione dell’applicazione di un CCNL diverso rispetto a quello applicato dalla parte datoriale.
La società ha agito in opposizione al decreto ingiuntivo ritenendo lo stesso illegittimo per carenza dei presupposti per la sua emanazione, poiché fondato sulla errata richiesta della lavoratrice di applicazione del CCNL Turismo e non su quello applicato UNICOOP Turistico Alberghiero.
Parte opposta si è difesa insistendo sulla circostanza per cui il CCNL applicato dalla Cooperativa non rispondeva a quanto stabilito dall’art. 7 comma 4 del D.L. 248/2007 che, ai fini retributivi, dispone la necessaria applicazione dei minimi previsti dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative.
La decisione del Tribunale
Il Giudice di prime cure, dopo aver analizzato con sintetica precisione le diverse accezioni che in determinati contesti e per diversi scopi vengono attribuite alle “organizzazioni comparativamente più rappresentative” ha confermato il decreto ingiuntivo.
Nel caso di specie si è infatti di fronte ad un’ipotesi in cui la legge espressamente ritiene preminente la tutela dei lavoratori rispetto a quella della libertà sindacale in senso lato e così: “
se in generale, al fine di configurare una violazione dell’art. 36 Cost. da parte del CCNL applicabile, un lavoratore non potrebbe dolersi solo del fatto che sussista un altro contratto concorrente che preveda una retribuzione maggiore e solo per questo, chiederne l’utilizzo al fine di parametrare l’effetto economico, nel caso delle cooperative di lavoro, il disposto dell’art. 7 comma 4 citato permette alla cooperativa l’adozione di un CCNL di settore, imponendo però il rispetto dei minimi retributivi previsti dal contratto stipulato da quelle comparativamente più rappresentative
Il giudice bolognese richiama quindi la spesso criticata sentenza n. 4951 del 20 aprile 2019 della Corte di Cassazione, che riferendosi alle previsioni dell’art. 3 della legge n. 142/2001 e dell’art. 7 del decreto-legge n. 248/2007, ha previsto che ai lavoratori delle società cooperative deve essere assicurato un trattamento economico complessivo non inferiore ai minimi contrattuali previsti per analoghe mansioni dal CCNL di settore o della categoria affine, sottoscritto dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (G. BALLISTRERI “
Cassazione, minimi retributivi dei contratti dei sindacati comparativamente più rappresentativi e libertà di contrattazione collettiva (un commento alla sentenza n. 4951 del 2019 della Corte di Cassazione)”, in
LavoroDirittiEuropa, n. 2/2019. estratto).
La richiamata sentenza della Cassazione del 2019 ha rappresentato una importante decisione, imponendo decisi limiti al fenomeno del dumping sociale nelle cooperative, ovvero alla diffusa consuetudine di offrire ai soci lavoratori retribuzioni molto inferiori alle medie del settore.
Il criterio selettivo in materia di contrattazione collettiva, individuato nel sindacato “comparativamente più rappresentativo”, diventa così criterio-guida del trattamento economico complessivo e argine forte contro il dumping salariale generato dai “contratti-pirata”. La Cassazione, tuttavia, non ha sancito l’applicabilità di un unico Ccnl per settore, attribuendo così l’esclusività della contrattazione collettiva solo ad alcuni sindacati, decisione che sarebbe stata in contrasto proprio con le previsioni costituzionali in materia di libertà e pluralismo sindacali.
Declinazione del criterio di rappresentatività delle associazioni sindacali
Nel corpo della sentenza il giudicante prende le mosse dalla doppia questione da un lato di tutelare la libertà di associazione sindacale e dall’altro dalle esigenze di protezione dei lavoratori di fronte a sindacati di comodo o contratti collettivi c.d. pirata. Si può così sintetizzare il ragionamento, dividendo in tre accezioni il criterio di rappresentatività di una associazione sindacale:
– quando si parla di azione giudiziale del sindacato, allora, la nozione prescinde dal concetto di maggior rappresentatività per cedere il passo alla preminente tutela delle libertà e diritti dei lavoratori;
– quando invece le finalità sono quelle di attribuire specifiche prerogative e diritti alle associazioni sindacali che operano in determinati settori lavorativi in virtù del pluralismo rappresentativo, la nozione di maggiore rappresentatività diviene decisamente inclusiva;
– infine, secondo il giudice di prime cure, esiste una terza accezione per la quale la normativa assegna al concetto di rappresentatività il compito di individuare le associazioni sindacali in grado di identificare il sistema contrattuale connesso ad esempio all’accesso a benefici e contributi pubblici di carattere economico. In questo ultimo caso, non si intende più come preminente la tutela della libertà sindacale in senso stretto, ma di coniugare gli interessi pubblici generali con gli interessi collettivi, permettendo ad esempio assetti negoziali in deroga peggiorativa per i lavoratori ai disposti di legge.
Il Tribunale conclude dunque il suo excursus ritenendo che: “
il concetto di rappresentatività comparata risulta incompatibile con ogni riconoscimento oggettivo della rappresentatività in capo ad un’organizzazione sindacale – ancorché tradizionalmente e storicamente rappresentativa – imponendo una verifica sempre aggiornata del confronto tra le organizzazioni sindacali”.
Pertanto, tornando al caso oggetto del presente commento, trattandosi di società cooperativa, il giudice non ha dovuto verificare la sussistenza di una retribuzione sufficiente ex art. 36 Cost., ma ha ritenuto insufficiente la prova a carico del datore di lavoro circa il fatto che il contratto collettivo dalla stessa applicato risultava essere quello stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente tra le più rappresentative.
Claudia Scalerandi, avvocato in Milano
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Trib. Bologna, 4 aprile 2023, n. 241
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Sul criterio di rappresentatività delle associazioni sindacali ai fini della determinazione dei minimi retributivi applicati dalle società cooperative sembra essere il primo su
Rivista Labor - Pacini Giuridica.