Investimenti digitali: nel 2024 si toccheranno i 2 miliardi
La ricerca dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale della School of Management del Politecnico di Milano traccia una panoramica degli studi professionali
Nel corso del 2024 la spesa in sostenuta dai professionisti in tecnologia potrebbe raggiungere i 2 miliardi di euro. È quanto emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale della School of Management del Politecnico di Milano. Continuiamo quindi a parlare di tecnologia, del loro sviluppo ma soprattutto della loro applicazione all’interno degli studi professionali.
Secondo i dati raccolti dalla ricerca nel corso del 2023 avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro italiani hanno investito complessivamente 1,888 miliardi di euro in tecnologie digitali, facendo segnare un incremento del+7% rispetto all’anno precedente, e con la prospettiva di far registrare alla fine dell’anno in corso un +5% ancora.
Sono gli studi multidisciplinari a investire di più con una spesa media di 25.100 euro, seguiti dai consulenti per il lavoro con 12.900 euro, quindi dai commercialisti (12.100 euro) e a chiudere, con investimenti medi di 9.500 euro,
si trovano gli avvocati. Da questo dato emerge quindi che sono proprio i legali ad impiegare meno risorse nello sviluppo tecnologico, un dato che può essere spiegato con una sorta di reticenza e scetticismo nei confronti di esso o in qualche modo dovuto anche all’attenzione normativa sulle applicazioni tecnologiche e i loro possibili risvolti?
Andando nel dettaglio: solo l’8% degli avvocati spende più di 10mila euro mentre il 35% destina una spesa tra i 3 e i 10mila euro.
Ma quella dell’investimento in tecnologie non è l’unica categoria nella quale i legali si piazzano in coda, sul fronte della reddittività, per esempio, sono sempre gli avvocati a fare segnare un dato di maggior sofferenza: il 40% registra, infatti una diminuzione del reddito nel corso dell’ultimo biennio, mentre i commercialisti si assestano al 28%, a 24% i consulenti del lavoro e mentre i multidisciplinari fanno segnare il 27%.
Parlando sempre di tecnologie ed analizzando nel dettaglio l’approccio con l’intelligenza artificiale, la ricerca evidenzia come commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari (con un dato tra il 70% e il 72%)farebbero ricorso all’AI per efficientare e automatizzare le attività ripetitive della compilazione e redazione di documenti e atti, mentre gli avvocati la utilizzerebbero per tenersi aggiornati su normative e novità del settore, in particolare usufruendo dei sistemi di ricerca e monitoraggio delle fonti giuridiche (55%).
Per quanto riguarda, invece, gli aspetti che più infondono preoccupazione tra i professionisti, l’indagine ha fatto emergere come se per gli avvocati, si tratta dell’apprensione nell’ elaborare da soli una nuova visione di studio, e al contempo della difficoltà di trovare interlocutori con cui sviluppare collaborazioni stabili oltre che la disponibilità di risorse finanziarie da investire in tecnologie evolute; per commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari il primo cruccio che li affligge per il futuro è la difficoltà di trovare personale adatto alle esigenze dello studio, che precede il passaggio generazionale e la necessità di aumentare le dimensioni dello studio, ritenute inadeguate anche dagli avvocati.
C’è poi un capitolo della ricerca dedicato alla sostenibilità, un tema sempre più al centro dell’attenzione dei professionisti, ma che di fatto non li vede ancora del tutto al passo con i tempi.
Se l ’80% sta agendo sulla riduzione del consumo di carta, il 60% sul riciclo dei rifiuti e dei materiali, il 30% sul risparmio energetico, in materia di sostenibilità sociale i numeri sono ancora bassi.
Tra il 45% e il 58% degli studi professionali delle diverse professioni non ha attivato alcuna azione in questo campo, solo tra il 24% e il 45% si è attivato per le policy per il welfare, mentre solo gli studi tra il 16% e il 29% si sono interessati alle policy per la parità di genere.
Se poi parliamo di: gestione diversità e inclusione sociale, whistleblowing, attività sociali, sensibilizzazione sui principi ESG, si tratta di soli pochi punti percentuali o, al massimo, il 20% nella categoria legale.
Lo smart working è diffuso solo tra il 20 e 30% degli studi, le policy per stimolare comportamenti virtuosi tra il 5% e il 10%, i programmi di certificazione per la sostenibilità ambientale appena tra il 2% e il 4%.
Insomma il quadro tracciato mostra come ancora siano molti i passi da fare sia in ambito tecnologico che nel percorso verso la sostenibilità, l’invito è quello di guardarsi all’interno, di analizzare la propria struttura, anche chiedendo l’ausilio di consulenti esperti nelle varie tematiche, individuare i punti di debolezza sui quali investire e lavorare per potersi dirigere a vele spiegate verso il futuro ed essere competitivi in un mercato che non fa molti sconti, lasciando ai margini chi resta indietro.
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