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Cass. Civ., Sez. I, n. 35489/2023, ord.

Massima: [A]“L’errore professionale addebitabile al professionista, ove abbia determinato la definitiva perdita del diritto del cliente (come, ad es., quello alla regolazione concordataria della propria crisi d’impresa), rende, pertanto, del tutto inutile l’attività difensiva precedentemente svolta, dovendosi ritenere la sua prestazione totalmente inadempiuta ed improduttiva di effetti in favore del proprio assistito, con la conseguenza che, in tal caso, non è dovuto alcun compenso al professionista, anche se l’adozione dei mezzi difensivi rivelatisi pregiudizievoli al cliente sia stata, in ipotesi, sollecitata dal cliente stesso, poiché costituisce compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell’attività professionale.” (massima non ufficiale).

[B] “Il credito del professionista che ha predisposto la documentazione necessaria per l’ammissione al concordato preventivo non è, in effetti, prededucibile nel successivo fallimento, al pari, evidentemente, di quello riveniente dalle prestazioni rese in giudizi dichiaratamente funzionali alla proposta, tutte le volte in cui, com’è accaduto nel caso in esame, l’ammissione alla procedura minore sia stata revocata per atti di frode dei quali il professionista stesso sia stato a conoscenza, posto che, in tali ipotesi, le prestazioni svolte non solo non sono state di alcuna utilità per la procedura, ma si sono rivelate addirittura potenzialmente dannose per i creditori, tenuto conto della erosione del patrimonio a disposizione della massa per effetto della continuazione dell’attività di impresa” (massima non ufficiale) 

Disposizioni applicate: art. 1176 c.c. – 173 l.fall. – 111 l.fall. – 1460 c.c.

Parole chiave: concordato preventivo  – attività professionale – assistenza – responsabilità del professionista – adempimento – prededuzione – eccezione di inadempimento

CASO

Il provvedimento in commento si colloca nell’ambito di due opposizioni allo stato passivo instaurati da due professionisti che avevano assistito nell’ambito di un concordato preventivo una società, poi dichiarata fallita e, in sede di esame dello stato passivo, avevano visto escludere il proprio credito, in accoglimento dell’eccezione di inadempimento sollevata dalla Curatela.

Con la pronuncia in esame la Corte di Cassazione affronta, ancora una volta, due questioni sulle quali negli ultimi anni è tornata con frequenza:

[A] la valutazione dell’adempimento della prestazione dei consulenti incaricati di assistere, redigere e patrocinare in una procedura di concordato preventivo una società poi dichiarata fallita e

[B] la (eventuale) collocazione in prededuzione del relativo credito nella successiva procedura liquidatoria.

[A] Il primo punto affrontato concerne la valutazione dell’adempimento della prestazione professionale da parte di colui che assiste il debitore nella procedura concordataria.

Nel caso in esame, il giudice a quo aveva accolto l’eccezione di inadempimento del Fallimento, ritenendo sussistente un inadempimento dei professionisti che non avevano

  • illustrato (e, dunque, avevano taciuto) nella predisposizione del piano una serie di operazioni poste in essere dal socio – amministratore in violazione degli artt. 2391 e 2476 c.c. di cui i professionisti avevano avuto contezza e
  • illustrato e considerato il credito restitutorio che da tali operazioni scaturiva a vantaggio della società proponente

(fattispecie che ricadono, peraltro, nell’atto in frode ai creditori e nell’omessa indicazione di attivo di cui all’art. 173 l.fall.).

La questione che rileva in ordine all’adempimento dei professionisti verte sul fatto che la mancata illustrazione di dette irregolarità (e delle loro conseguenze) non permetteva ai creditori, chiamati ad esprimere il loro consenso, di esercitare tale prerogativa sulla base di un compendio informativo completo e corretto.

La prestazione assunta dai professionisti deve essere svolta con la diligenza richiesta dall’art. 1176, co. 2, c.c. in relazione alla natura dell’incarico assunto (che, tra l’altro, implica la predisposizione di una domanda che sia funzionale al conseguimento del risultato perseguito e cioè l’ammissione al concordato, l’approvazione della proposta da parte dei creditori e l’omologazione da parte del tribunale: v. Cass. 11522/2020) e nel rispetto delle norme giuridiche, tra cui quella, di fornire ai creditori una completa ed adeguata conoscenza degli elementi necessari per poter decidere con piena cognizione la posizione da assumere nei confronti della proposta.

Come noto nel concordato preventivo, il legislatore appresta una particolare tutela alla informativa che deve essere fornita ai creditori, ossia i soggetti chiamati a pronunciarsi sulla convenienza della proposta, per far sì che siano messi nelle condizioni di esercitare un voto consapevole; tutela che si estende sino alla revoca del concordato, ex art. 173 l.fall., laddove vengano accertati, da parte del commissario, atti in frode (ossia situazioni di fatto occultate “idonee ad influire sul giudizio dei creditori, cioè situazioni che, da un lato, se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una valutazione diversa e negativa della proposta e che, dall’altro, siano state “accertate” dal commissario giudiziale, cioè da lui “scoperte”, essendo prima ignorate dagli organi della procedura o dai creditori” e che hanno la “attitudine ad ingannare i creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione, sottacendo l’esistenza di parte dell’attivo o aumentando artatamente il passivo in modo da far apparire la proposta maggiormente conveniente rispetto alla liquidazione fallimentare”: cass. 23387/2013; v. in termini anche Cass. 17191/2014).

Poiché il professionista assume una obbligazione di mezzi e non di risultato, e dunque si impegna a prestare un’attività idonea al raggiungimento del risultato, l’inadempimento non può dedursi ex se dalla mancata ammissione o dalla mancata omologazione, ma piuttosto dalla valutazione del corretto adempimento dei doveri inerenti allo svolgimento della prestazione, in primis il dovere di diligenza professionale. Dunque, nel valutare il diritto del professionista al compenso occorre valutare “in fatto, la concreta ed effettiva idoneità funzionale delle prestazioni svolte a conseguire tale risultato, essendo, in effetti, evidente che, in difetto, pur in mancanza di una responsabilità contrattuale del professionista a tal fine incaricato, non potrebbe neppure parlarsi di atto di adempimento degli obblighi contrattualmente assunti dallo stesso (cfr. Cass. n. 36071 del 2022, in motiv.).”

Concludendo, sul punto della responsabilità del professionista, la Corte afferma che “L’errore professionale addebitabile al professionista, ove abbia determinato la definitiva perdita del diritto del cliente (come, ad es., quello alla regolazione concordataria della propria crisi d’impresa), rende, pertanto, del tutto inutile l’attività difensiva precedentemente svolta, dovendosi ritenere la sua prestazione totalmente inadempiuta ed improduttiva di effetti in favore del proprio assistito, con la conseguenza che, in tal caso, non è dovuto alcun compenso al professionista (Cass. n. 4781 del 2013), anche se l’adozione dei mezzi difensivi rivelatisi pregiudizievoli al cliente sia stata, in ipotesi, sollecitata dal cliente stesso, poiché costituisce compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell’attività professionale (Cass. n. 10289 del 2015)”.

[A.1] La Cassazione, inoltre, offre anche una disamina dei presupposti dell’eccezione di inadempimento sollevata dalla Curatela, statuendo che:

  1. Detta eccezione non è basata sui medesimi presupposti richiesti per la risoluzione del contratto che si distingue dalla prima per la sua natura di rimedio radicale e definitivo (scioglimento del rapporto contrattuale);
  2. L’eccezione di inadempimento può essere dedotta anche in caso di adempimento solo inesatto e si limita a paralizzare la richiesta dell’altro contraente che non ha adempiuto o ha inesattamente adempiuto la propria obbligazione (Cass. 12719/2021);
  3. Il curatore che in sede di verifica dei crediti fa valere detta eccezione ha il solo onere di contestare, in relazione alla circostanza concreta l’inesatta/negligente esecuzione o l’inadempimento da parte dell’altro contraente, restando a carico di quest’ultimo l’onere di dimostrare l’esatto adempimento (conformità della condotta al modello professionale e deontologico richiesto e/o l’imputazione della negativa evoluzione a fattori esogeni, imprevisti e imprevedibili: v. Cass. 42093/2021);
  4. Il credito può quindi essere escluso dal passivo, in accoglimento dell’eccezione di inadempimento, laddove sia dimostrato l’inadempimento dell’istante alle obbligazioni assunte o la sua partecipazione ad attività fraudatorie del debitore (Cass. SU n. 42093/2021; Cass. 36319/2022)

Sulla ripartizione dell’onere probatorio in caso di eccezione di inadempimento da parte del Fallimento, la Corte di Cassazione si è pronunciata anche nel successivo provvedimento n. 35554/2023, col quale ha affermato che “il curatore che solleva nel giudizio di verifica l’eccezione d’inadempimento, secondo i canoni diretti a far valere la responsabilità contrattuale, ha (solo) l’onere di allegare e provare l’esistenza del titolo negoziale, contestando, in relazione alle circostanze del singolo caso, la non corretta (e cioè negligente) esecuzione della prestazione o l’incompleto adempimento, restando, per contro, a carico del professionista (al di fuori di una obbligazione di risultato, pari al successo pieno della procedura) l’onere di dimostrare l’esattezza del suo adempimento per la rispondenza della sua condotta al modello professionale e deontologico richiesto in concreto dalla situazione su cui è intervenuto con la propria opera ovvero l’imputazione a fattori esogeni, imprevisti e imprevedibili, dell’evoluzione negativa della procedura, culminata nella sua cessazione (anticipata o non approvata giudizialmente) e nel conseguente fallimento (Cass. SU n. 42093 del 2021, in motiv.)”.

[B] L’ultimo aspetto affrontato nel provvedimento in esame attiene alla (eventuale) collocazione in prededuzione del credito maturato dal professionista nel successivo fallimento.

Sulla questione della collocazione prededucibile di tale tipologia di crediti è recentemente intervenuta una pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 42093 del 2021), la quale ha affermato il seguente principio di diritto: «il credito del professionista incaricato dal debitore di ausilio tecnico per l’accesso al concordato preventivo o il perfezionamento dei relativi atti è considerato prededucibile, anche nel successivo e consecutivo fallimento, se la relativa prestazione, anteriore o posteriore alla domanda di cui all’art.161 l.f., sia stata funzionale, ai sensi dell’art.111 co.2 l.f., alle finalità della prima procedura, contribuendo con inerenza necessaria, secondo un giudizio ex ante rimesso all’apprezzamento del giudice del merito, alla conservazione o all’incremento dei valori aziendali dell’impresa, sempre che il debitore venga ammesso alla procedura ai sensi dell’art.163 l.f., ciò permettendo istituzionalmente ai creditori, cui la proposta è rivolta, di potersi esprimere sulla stessa; restano impregiudicate, da un lato, la possibile ammissione al passivo, con l’eventuale causa di prelazione e, per l’altro, la non ammissione, totale o parziale, del singolo credito ove si accerti l’inadempimento della obbligazione assunta o la partecipazione del professionista ad attività fraudatoria».

Nel solco di questo orientamento, la Corte ha affermato che il credito del professionista non può essere considerato prededucibile quando l’ammissione alla procedura minore sia stata revocata per atti in frode dei quali il professionista fosse a conoscenza. In tali ipotesi, invero, deve escludersi la sussistenza di una utilità della prestazione per la procedura (dovendosene riconoscere, al contrario, la potenziale dannosità per i creditori, tenuto conto della erosione del patrimonio a disposizione della massa per effetto della continuazione dell’attività di impresa, in termini anche: Cass. n. 3218/2017).

Come affermato da Cass. n. 32997/2019 “nelle procedure concorsuali, compresa quella di concordato, la prededuzione attribuisce non una causa di prelazione ma una precedenza processuale, in ragione della strumentalità dell’attività, da cui il credito consegue, agli scopi della procedura, onde renderla più efficiente, atteso che, mentre il privilegio, quale eccezione alla “par condicio creditorum”, riconosce una preferenza ad alcuni creditori e su certi beni, nasce fuori e prima del processo esecutivo, ha natura sostanziale e si trova in rapporto di accessorietà con il credito garantito poichè ne suppone l’esistenza e lo segue, la prededuzione – che, per la differenza del piano su cui opera rispetto al privilegio, può aggiungersi alle cause legittime di prelazione nei rapporti interni alla categoria dei debiti di massa, quando vi sia insufficienza di attivo e sia necessario procedere ad una gradazione pure nella soddisfazione dei creditori prededucibili attribuisce una precedenza rispetto a tutti i creditori sull’intero patrimonio del debitore e ha natura procedurale, perchè nasce e si realizza in tale ambito e assiste il credito di massa finchè esiste la procedura concorsuale in cui lo stesso ha avuto origine, venendo meno con la sua cessazione”.

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