La FILT-CGIL (Federazione italiana lavoratori dei trasporti) ha agito in giudizio contro la delibera n. 18/95 del 16 marzo 2018, emanata dalla Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (da ora in avanti, Commissione Scioperi).
Nel contenuto, tale atto sostituiva la clausola sulla cd. “rarefazione oggettiva” (art. 11, lett. B) dell’Accordo nazionale del 28 febbraio 2018), prevedendo che “tra l’effettuazione di due azioni di sciopero nel settore, indipendentemente dal soggetto sindacale proclamante, incidenti sul medesimo bacino di utenza, deve in ogni caso intercorrere un intervallo di almeno 20 giorni [contro i 10 della precedente formulazione], a prescindere dalle motivazioni e dal livello sindacale che ha proclamato lo sciopero”.
In particolare, si trattava di una regolamentazione provvisoria delle prestazioni indispensabili, adottata ai sensi dell’articolo 2, comma 2, della L. n. 146/1990 (com’è noto, norma sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, con cui è stata istituita la stessa Commissione scioperi), per cui la Commissione è a ciò autorizzata, allorché “le prestazioni indispensabili e le altre misure di cui al presente articolo non siano previste dai contratti o accordi collettivi o dai codici di autoregolamentazione”, ovvero ove, anche “se previste non siano valutate idonee”.
La motivazione principale su cui poggiava la deliberazione impugnata dava conto di un incremento della conflittualità a livello locale, “collegato ad una sempre maggiore frammentazione sindacale che ha comportato un incremento significativo delle azioni di sciopero”, a cui si sarebbero accompagnati altri fenomeni problematici, come “l’inefficacia del preventivo esperimento delle procedure di raffreddamento e di conciliazione, l’eccessiva frammentazione di alcuni dei periodi concomitanti con i grandi esodi legati alle ferie estive, l’inadeguatezza degli intervalli relativi alla rarefazione oggettiva e soggettiva, l’inidoneità delle misure previste per la preventiva comunicazione all’utenza da parte delle Aziende”.
Conseguentemente, la Commissione scioperi ha ritenuto impossibile “esprimere una valutazione di idoneità” relativa alla rarefazione oggettiva calcolata in misura pari a 10 giorni, occorrendo piuttosto “individuare soluzioni adeguate a riequilibrare l’eccessiva compromissione del godimento del diritto dei cittadini alla libertà di circolazione”, posto che “il c.d. intervallo oggettivo (espressione del principio di obiettiva rarefazione delle azioni di sciopero che incidono sullo stesso servizio finale) può configurarsi quale prestazione indispensabile a garantire, nel suo contenuto essenziale, i diritti degli utenti”.
Se, dapprima, il TAR Lazio, con sentenza n. 14079 del 9 dicembre 2019, aveva rigettato le lamentele del Sindacato di settore, con sentenza n.2116 del 1° marzo 2023,pronunciata in sede giurisdizionale, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha accolto l’appello proposto dalla medesima FILT-CGIL, ritenendo che “prima di poter comprimere un diritto costituzionalmente garantito, quale è il diritto di sciopero [ai sensi dell’art.40 Cost.], raddoppiando il periodo di rarefazione, che peraltro perdurava inalterato da moltissimi anni, occorreva accertare nel corso dell’istruttoria, con una evidenza maggiore, se fosse tendenzialmente aumentato nel corso degli ultimi anni il disagio effettivo arrecato all’utenza”, la cui salvaguardia aveva condotto la Commissione scioperi ad adottare l’atto normativo
de quo. Tuttavia, l’
explanandum processuale non ha consentito di concludere positivamente per un tale apprezzamento da parte della Commissione scioperi, non riscontrandosi sufficienti elementi di indagine, tali da poter ritenere proporzionata la nuova disposizione, capace di incidere nel diritto di sciopero, raddoppiando il periodo di rarefazione.
Ne è conseguito l’ordine di riesercitare motivatamente il potere, chiamando l’organo a valutare se confermare o meno l’innalzamento del periodo di rarefazione, in conformità alle prescrizioni istruttorie del Consiglio di Stato.
Venendo ad analizzare il procedimento fissato dalla legge per l’adozione delle delibere di normazione provvisoria, contenuto all’art.13, comma 1, lett. a) della L. 146/90, va rammentato che alla Commissione spetta il potere di valutare l’idoneità delle prestazioni indispensabili, delle procedure di raffreddamento e conciliazione, nonché di tutte le altre misure individuate dal comma 2 dell’art. 2 già richiamato, al fine di garantire il contemperamento dell’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati, enumerati al diverso art.1, comma 1, della L. 146/90.
Nel farlo, è chiamata a dar corso a una serie di interlocuzioni preliminari con le organizzazioni dei consumatori e degli utenti riconosciute, che siano interessate ed operino nel territorio in cui lo sciopero è proposto, nel tentativo di pervenire a un accordo che componga gli interessi di ogni parte coinvolta. Qualora, però, non si pervenga a un accordo o comunque la Commissione, sulla base di una specifica motivazione, non ravvisi l’idoneità delle prestazioni indispensabili (come avvenuto nel caso di specie) adotta con propria delibera la regolamentazione provvisoria delle stesse prestazioni indispensabili, delle pedisseque procedure di raffreddamento e conciliazione, così come di ogni altra misura di contemperamento.
È evidente il carattere altamente discrezionale del potere assegnato alla Commissione, che la legge si dà carico di contenere attraverso la puntuale descrizione della procedura valutativa e delle consultazioni preliminari da porre in essere, nonché con la previsione di prescrizioni d’oneri motivazionali robusti (“Eventuali deroghe da parte della Commissione, per casi particolari, devono essere
adeguatamente motivate”).
La natura discrezionale del potere è confermata anche dalla sentenza in commento: il Consiglio di Stato, infatti, vi chiarisce che la legge prevede un intervento sostitutivo e temporaneo della Commissione scioperi, allorché l’autonomia collettiva resti inerte, ovvero raggiunga risultati convenzionali inadeguati. Si tratta di un potere discrezionale che può essere riesercitato in base ad una valutazione di opportunità “da compiere senza particolari vincoli, purché sia chiaro che non sussistano profili di irragionevolezza ed illogicità delle scelte operate”.
In tale quadro normativo, la rarefazione oggettiva si colloca tra i meccanismi di bilanciamento offerti alla Commissione per svolgere la sua valutazione e impone l’indicazione di “intervalli minimi da osservare fra l’effettuazione di uno sciopero e la proclamazione del successivo, quando ciò sia necessario ad evitare che per l’effetto della proclamazione in successione di scioperi da soggetti sindacali diversi e che incidono sullo stesso servizio finale o sullo stesso bacino di utenza, sia oggettivamente compromessa la continuità dei servizi pubblici” afferenti ai settori individuati dall’art. 1 della medesima legge medesima.
Qualora la Commissione ravvisi il pericolo fondato di grave ed imminente pregiudizio a diritti della persona costituzionalmente garantiti, a causa di scioperi che esplicano effetti sull’erogazione di servizi pubblici essenziali, può agire in via autoritativa, perfino differendo l’astensione collettiva ad altra data, ovvero unificando astensioni collettive già proclamate.
Ad avviso del Consiglio di Stato, la rilevata autoritatività del compito della Commissione di individuare il periodo di rarefazione oggettiva tra gli scioperi, “proprio perché involge e coinvolge diritti costituzionalmente garantiti, merita di essere esercitata con particolare cautela e attenzione, assumendo decisioni che siano il frutto di una accurata istruttoria e che siano caratterizzate, nell’individuazione della misura più opportuna da mettere in campo, da una motivazione puntuale dalla quale sia possibile poter ricostruire nella sua interezza e completezza il corredo informativo che ha consentito di indirizzare la manifestazione di volontà della Commissione verso scelte proporzionate all’interesse pubblico che si intende salvaguardare, in particolar modo, come è avvenuto nel caso in esame, quando la scelta interviene su una misura “calmieratrice” fissata oramai da molti anni”.
Con riferimento al caso di specie, però, il Collegio non ha ritenuto integrata questa condizione di legittimità del potere, non essendo stata in grado la Commissione di dimostrare la compromissione “oggettiva” della continuità del servizio – circostanza su cui avrebbe dovuto poggiarsi la sua decisione per essere legittima. Per vero, anzitutto la Commissione non ha valutato congruamente il ritenuto incremento degli scioperi del settore dei trasporti pubblici locali, allorché ha mancato di discernere se esso facesse riferimento alle astensioni proclamate e svoltesi in effetti, oppure a quelle soltanto proclamate, ma poi non tenutesi effettivamente. Il dato appena evocato, però, “costituisce un dato “sufficiente” (o “esauriente”) ma non “esaustivo”.
Infatti, assume rilievo la durata effettiva degli scioperi, da calcolare in termini di giorni di durata dell’astensione collettiva, “poiché, intuitivamente, solo in questo modo è possibile comparare l’impatto dell’esercizio del diritto di sciopero sul “disagio” provocato all’utenza e quindi definire se effettivamente, nel corso degli anni presi a riferimento, vi sia stato un “incremento del disagio a danno dell’utenza”.
In conclusione, la decisione si apprezza per il felice tentativo di contenimento che il Consiglio di Stato ha compiuto sull’amministrativo affidatario, ex lege, di un potere regolamentare, pur provvisorio e speciale, avente natura normativa e attitudine a incidere su diritti costituzionalmente riconosciuti.
I criteri correttivi con cui il Collegio contempera la lata discrezionalità sopra descritta si mutuano dalla Carta fondamentale e dalla normativa (anche di rango ordinario) che governa l’esercizio di un potere discrezionale.
Infatti, se da un lato la sentenza conforma il potere della Commissione scioperi, prescrivendone l’adeguamento a criteri di proporzionalità e adeguatezza, ricavabili dall’art.3 Cost. (che si sostanziano nel compimento di una dettagliata istruttoria, richiesta all’organo per la
delicata modifica del periodo minimo intercorrente tra due astensioni collettive consecutive), dall’altro ciò si sostanzia nell’irrobustimento dell’onere motivazionale, cui l’amministrazione è tenuta sempre,
ex artt. 24, 113 Cost. e 3 L. n.241/90, e specialmente allorché decida di discostarsi da un accordo raggiunto con le parti collettive, agendovi in deroga, stante la ritenuta inidoneità di quello a salvaguardare il diritto dei cittadini alla continuità dei servizi pubblici.
Al riguardo, occorre osservare che nel caso in commento le consultazioni preliminari alla modifica normativa si erano concluse inizialmente con il mantenimento nell’art.11 della L.146/90 del periodo di 10 giorni. Tuttavia, in un momento successivo, l’organo aveva deliberato nel modo condotto in contestazione davanti ai giudici.
Volendo spendere qualche considerazione di merito, relativa alla scelta della Commissione scioperi, in attesa che torni sui propri passi, ci sembra di poter ravvisare nella delibera censurata la conferma della tendenza critica che connota l’operato di un organo della cui reale necessità e della cui compatibilità costituzionale nello svolgimento di funzioni normative v’è fortemente da dubitare, posto che trattasi di soggetto a nomina politica diretta non elettorale.
Si era già avuto modo di ravvisare come traspaia con sempre maggior nitidezza l’orientamento della Commissione alle esigenze di tutela dei mercati, anziché ai diritti dei lavoratori (sia consentito rinviare ad A. CAMAIANI,
Dubbi di legittimità delle delibere n. 1169/21 e 256/21 della Commissione scioperi, in
Lavoro Diritti Europa, fasc. n. 1/2022, 4 aprile 2022). Anche nel caso in commento, la trascuratezza argomentativa con cui l’organo ha tentato di introdurre una misura che compromette in modo apprezzabile il diritto di sciopero sembra attestare una fretta decisionale che rincorre interessi economici: la contrazione delle attività di trasporto colpisce direttamente e significativamente le merci, rallentando gli scambi commerciali.
A sostegno dell’assunto, valga considerare l’evidente contraddittorietà di uno Stato che si rammenta della natura
essenziale di certi servizi solo allorché riconoscerla rechi vantaggio a singolari interessi lobbistici, per poi dimenticarsene facilmente ogniqualvolta sceglie di disfarsi della loro cura e gestione, affidandola al mercato e demolendo, così, quel poco che resta del governo pubblico dei servizi, anziché proteggere il diritto dei cittadini a goderne in modo garantito.
In ottica comparata, guardando ai giorni di protesta francese per la proposta di riforma pensionistica, si nota come la frequenza degli scioperi si è fatta serrata ed ha coinvolto trasversalmente ogni servizio.
I cittadini si uniscono, in pieno spirito di solidarietà, contro proposte di partito atte a minare diritti soggettivi fondamentali, come è il lavoro, e lo fanno con modalità che il nostro Paese ha imparato a dimenticare o che forse non ha mai, davvero, conosciuto. Modalità dialettiche fisiologiche, di lotta politica costruttiva, che questa Commissione scioperi ambirebbe a sacrificare nel nome di interessi i cui portatori non sono certamente i cittadini.
Alessandra Camaiani, avvocato in Prato e dottorando di ricerca
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Cons. Stato, sez. VIª, 1° marzo 2023, n. 2116
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Il Consiglio di Stato ordina alla Commissione Scioperi di rivalutare la modifica del periodo di rarefazione oggettiva, compiuta dall’organo con delibera n. 18/95 del 2018, conformandone la discrezionalità a parametri di proporzionalità e adeguatezza sembra essere il primo su
Rivista Labor - Pacini Giuridica.