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morte-del-lavoratore-adibito-allo-svolgimento-di-mansioni-incompatibili-con-il-proprio-stato-di-salute-il-datore-di-lavoro-deve-risarcire-il-danno-parentale-sofferto-dagli-eredi
Il caso esaminato dalla sezione lavoro della Corte di cassazione, nell’ordinanza del 28 ottobre 2022, n. 31958, ha ad oggetto il danno parentale lamentato dagli eredi per la morte del loro caro, dovuta al comportamento colposo del Comune. Il giudice di prime cure – ritenendo che l’ente territoriale avesse adibito il lavoratore allo svolgimento di mansioni, quali quelle di netturbino-autista, incompatibili con la sua condizione fisica (inabilità lavorativa stimata dalla Commissione medica nella misura di 2/3) – ha affermato la responsabilità del Comune per la morte del lavoratore, dovuta ad un infarto acuto del miocardio, riconoscendo in capo agli eredi il danno da perdita del rapporto parentale, pregiudizio identificabile nella sofferenza patita da un soggetto per la perdita del congiunto e per la definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali [cfr. Mazzola, Danno morale da lesione del rapporto parentale e ordine pubblico internazionale (obliando il principio jura novit curia), in NGCC, 2014, 151; Caso, Danno per lesione del rapporto parentale: tra esigenze di giustizia e caos risarcitorio, in DR, 2000, 70]. La responsabilità dell’ente territoriale è stata successivamente confermata, con le medesime motivazioni, dalla Corte d’appello. Avverso tale sentenza il Comune, ha proposto impugnazione dinanzi Corte di cassazione, articolando le proprie doglianze in tre diversi motivi di ricorso. Con il primo, ha denunciato la violazione e la falsa applicazione dell’art. 437, secondo comma, c.p.c. per aver ritenuto inammissibile la prova documentale prodotta dal Comune per dimostrare la falsità delle dichiarazioni rese dal teste, chiamato in giudizio dagli eredi del lavoratore defunto. Con il secondo motivo, il Comune ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. perché ha affermato che gli eredi non hanno specificamente allegato e provato le circostanze di fatto relative alle modalità di esecuzione della prestazione del lavoratore, nonché la prova del fatto illecito, fondando così la violazione del petitum sulla sola violazione dell’obbligo contrattuale di cui all’art. 2087 c.c. Viceversa, con il terzo ed ultimo motivo, l’ente territoriale ha denunciato l’incongruità logica e giuridica dell’apprezzamento in termini di mero errore materiale del riferimento ai criteri di liquidazione del danno biologico operato dal primo giudice nel procedere al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale. Tali doglianze non sono state accolte dalla Suprema corte, la quale – valorizzando la dichiarazione resa dal teste, che ha affermato di essere stato chiamato dell’ufficio per aiutare il dipendente, poi deceduto, nello svolgimento delle mansioni di netturbino-autista – ha ritenuto che il lavoratore sia stato adibito dal Comune, nella giornata in cui si è verificato l’evento fatale, allo svolgimento di quelle mansioni che, da tempo, erano state certificate come incompatibili con l’inabilità lavorativa accertata dalla Commissione medica. Pertanto, ha confermato la sentenza della Corte d’appello nella parte in cui aveva riconosciuto la responsabilità del Comune, condannandolo al pagamento di una somma risarcitoria nei confronti degli eredi, da liquidarsi secondo i criteri previsti dalla Tabella milanese. In ordine all’utilizzo della tabella meneghina si ritiene opportuno effettuare qualche ulteriore considerazione, dato il recente dibattito che ha investito i criteri di calcolo posti a fondamento della tabella milanese per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale. Infatti, negli ultimi anni, la Corte di cassazione – nonostante il carattere di tabella a «vocazione nazionale» che da più di un decennio è stato riconosciuto alla tabella meneghina (v. Cass. 7 giugno 2011 n. 12408, in DR, 2012, 121 con nota di Spera) – ha contestato i criteri di calcolo utilizzati dalle suddette tabelle per risarcire il danno morale (v. Cass. 10 novembre 2020 n. 25164, in NGCC, 2021, 91 con nota di Ponzanelli), il danno da premorienza (v. Cass. 29 dicembre 2021 n. 41933, in RCP, 2022, 383 con nota di Santarpia) e il danno da perdita del rapporto parentale (v. Cass. 21 aprile 2021 n. 10579 in GC.COM, approfondimento del 17 dicembre 2021 con nota di Molinaro). Tali censure hanno portato l’osservatorio del tribunale di Milano a modificare i criteri di calcolo del danno morale e del danno da perdita del rapporto parentale. Infatti, per quest’ultima voce di danno, l’edizione delle tabelle milanesi del 2022 ha abbondonato il criterio, eccessivamente discrezionale, del meccanismo c.d. «a forbice» – in virtù del quale veniva individuato, in ragione del rapporto parentale inciso, un valore-base e un valore massimo personalizzato (determinato dal riferimento a criteri come l’età, la convivenza e la qualità delle relazioni affettive tra la vittima primaria e secondaria) (cfr. C. Scognamiglio, Il danno da perdita del rapporto parentale e la più recente evoluzione della giurisprudenza di legittimità, in AJI, 2022, 2532) – per adottare quello del «punto variabile», utilizzato delle tabelle elaborate dal Tribunale di Roma, in cui vengono attribuiti diversi punteggi a delle apposite circostanze (età vittima primaria, età vittima secondaria, convivenza, presenza o meno di congiunti superstiti ed intensità del vincolo affettivo) a seconda della maggiore o minore età o dell’intensità del vincolo affettivo (cfr. Molinaro, La “vocazione nazionale” delle tabelle milanesi: stato dell’arte e possibile evoluzione, in GC.COM, approfondimento del 20 ottobre 2022). Francesco Molinaro, dottorando di ricerca nell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Visualizza il documento: Cass., ordinanza 28 ottobre 2022, n. 31958 Scarica il commento in PDF  

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