Con la pronuncia del 21 ottobre 2022, n. 31146, la Corte di Cassazione torna ad occuparsi della condotta del lavoratore che, nel periodo di fruizione della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria, svolga un’attività lavorativa omettendo di darne comunicazione all’Inps e al datore di lavoro. La condotta omissiva del dipendente ha portato al suo licenziamento e questo, appunto, è oggetto della
quaestio scrutinata dalla S.C.
In via di estrema sintesi, soccombente nel secondo grado di merito che aveva ritenuto la legittimità del provvedimento espulsivo, il lavoratore ricorreva per cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 L. 300/1970 in relazione alla ritenuta tempestività del licenziamento, nonché degli artt. 2106 e 2119 c.c. e dell’art. 18 L. 300/1970 in relazione all’art. 26 del contratto collettivo aziendale Eurofly.
La Cassazione ha respinto le censure del lavoratore, aderendo alle argomentazioni ed alle affermazioni di principio espresse dalla Corte di Appello e ritenendo che non siano state prospettate ragioni che possano indurre a discostarsi dai precedenti relativi a fattispecie analoghe a quella che le è stata sottoposta (Conf. Cass., 27 novembre 2013, n. 26520; Cass., 1 giugno 2005, n. 11679; Cass., 14 agosto 2004, n. 15890; Cass., 28 maggio 2003, n. 8490).
In particolare, la Corte di Cassazione ha ribadito che l’obbligo di comunicazione preventiva a carico del lavoratore interessato sussiste anche se la nuova occupazione dia luogo ad un reddito compatibile con il godimento del trattamento di integrazione salariale, precisando che l’attività svolta non deve avere il carattere della “prevalenza”, con la conseguenza che va esclusa la necessità di ogni indagine in ordine all’impegno temporale del lavoratore nell’attività svolta nei periodi di cassa integrazione, ovvero all’apporto economico di tale attività rispetto al totale dei redditi percepiti nel periodo preso in esame.
Peraltro, la S.C. ha avuto modo di evidenziare che l’obbligo di comunicazione preventiva permane indipendentemente dalla tipologia della nuova occupazione, potendo riguardare ogni attività di lavoro autonomo, oltre che subordinato, anche non riconducibile allo schema contrattuale di cui agli artt. 2222 ss. e 2230 ss. c.c. e anche se svolta nell’ambito della partecipazione ad un’impresa e comunque qualunque attività potenzialmente remunerativa, pur se in concreto non abbia prodotto alcun reddito e pur se l’ente previdenziale ne abbia avuto comunque tempestiva notizia da parte del nuovo datore di lavoro o
aliunde.
In sostanza, dunque, l’attività lavorativa deve essere intesa come qualsiasi prestazione idonea a produrre reddito indipendentemente dalla veste giuridica che la qualifica o alla quale – si pensi ad un rapporto di mero fatto – sarebbe comunque potenzialmente riconducibile. Sul punto, con la sentenza n. 3116 del 9 febbraio 2021, la S.C. ha avuto modo di precisare che «
In tema di decadenza dal diritto al trattamento di integrazione salariale, l’art. 8, comma 5, del d.l. n. 86 del 1988, conv., con modif., dalla l. n. 160 del 1988, “ratione temporis” vigente, che individua le attività lavorative soggette a comunicazione preventiva (o ad autocertificazione in caso di personale di volo) all’INPS, va inteso nel suo significato più ampio, come riferentesi all’ insieme di condotte umane caratterizzate dall’utilizzo di cognizioni tecniche, del più vario genere, senza che assuma alcun rilievo la loro effettiva remunerazione, rilevando la sola potenziale redditività, perché lo scopo della norma è quello di consentire all’Inps la verifica circa la compatibilità dell’attività da svolgere con il perdurare del lavoro presupposto dell’integrazione salariale» (Cass., 09 febbraio 2021, n. 3121).
L’obbligo di preventiva comunicazione della nuova occupazione da parte del lavoratore durante il periodo di fruizione della cassa integrazione è stato ribadito recentemente dalla S.C. nonostante l’abrogazione dell’art. 8 co. 5, D.L. n. 86 del 1988 (convertito dalla l. n. 160 del 1988) la cui
ratio era quella di evitare l’erogazione della integrazione guadagni in concomitanza con lo svolgimento di un’attività sostitutiva di quella ridotta o sospesa del tutto, in ragione della quale l’indennità viene corrisposta, sanzionando con la decadenza l’omessa preventiva comunicazione dell’attività svolta all’Inps (Conf. Tribunale di Patti, 31 gennaio 2018, n. 103; Cass., 21 giugno 2011, n. 13577).
In termini anche Cass., 17 ottobre 2017, n. 24455 che, occupandosi della questione del “momento” della comunicazione (se preventiva o anche solo tempestiva – ovvero in tempi ragionevoli rispetto all’inizio della nuova attività – come sosteneva la ricorrente), richiamati propri precedenti prevalenti (Conf. Cass., 20 maggio 2015, n. 10379; Cass., 27 novembre 2013, n. 26520; Cass., 14 giugno 2010, n. 14196; Cass., 10 gennaio 2006, n. 173), ha riformato la sentenza della Corte territoriale impugnata (App. Milano n. 183/2011 che aveva argomentato con riferimento alla disciplina della mobilità: art. 9, co. I, lett. d), L. 223/1991 poi modif. L. n. 608/1996) ed ha ribadito come la comunicazione all’Ente Previdenziale Inps debba essere antecedente all’inizio della nuova attività e ciò in ragione della
ratio legis della disposizione che mira ad assicurare la massima efficacia ai controlli dell’INPS al fine di ridurre l’area del lavoro nero e garantire l’effettiva destinazione delle risorse disponibili a sostegno dei disoccupati: «
una diversa opzione interpretativa, che limiti la decadenza dall’integrazione solo al periodo successivo all’inizio dell’attività lavorativa da parte del cassintegrato, comporterebbe la soppressione della sanzione prevista dalla norma e finirebbe, ingiustamente, per equiparare i cassaintegrati che svolgono un lavoro retribuito senza informarne l’INPS e quelli che, invece, correttamente assolvono l’obbligo di comunicazione» (così anche Cass., 27 novembre 2013, n. 26520, in Lavoro giur., 2014, 677, n. CAMA,
Omessa comunicazione dell’attività lavorativa e decadenza globale dall’integrazione salariale).
Nel caso della categoria peculiare del personale di volo, sottoposto com’è noto a specifici controlli concernenti la validità delle licenze e delle abilitazioni di volo che richiedono la periodica partecipazione a fasi di addestramento, ad esempio, la Corte di Cassazione ha stabilito che «
la comunicazione preventiva è sostituita con l’autocertificazione, pur sempre necessaria per verificare la compatibilità con l’integrazione salariale sia sotto il punto di vista della durata (minima) dell’addestramento, sia sotto quello della natura dei proventi riscossi. Invero, posto che l’attività vietata dal D.L. n. 86 del 1988, art. 8, è quella che, fonte di proventi economici, effettivamente si sostituisce alla prestazione di lavoro sospesa, rendendo così ingiustificata la permanenza del trattamento, nel caso dell’attività resa ai fini del rinnovo delle abilitazioni di volo l’obbligo di inoltro dell’autocertificazione consente all’Inps di verificare se l’attività prestata sia stata esclusivamente finalizzata al mantenimento delle predette abilitazioni e se i compensi percepiti avevano natura retributiva» (Cass., 09 febbraio 2021, n. 3122).
L’art. 8 co. 5, D.L. n. 86 del 1988 (convertito dalla l. n. 160 del 1988) è stato abrogato dal d. lgs. n. 148 del 2015 che all’art. 8 stabilisce che nel caso in cui abbia comunicato preventivamente all’Inps lo svolgimento di attività lavorativa, «
Il lavoratore che svolga attività di lavoro subordinato di durata superiore a sei mesi nonché di lavoro autonomo durante il periodo di integrazione salariale non ha diritto al trattamento per le giornate di lavoro effettuate. Qualora il lavoratore svolga attività di lavoro subordinato a tempo determinato pari o inferiore a sei mesi, il trattamento è sospeso per la durata del rapporto di lavoro» (art. 8, comma 2, d. lgs. n. 148 del 2015). Diversamente, «
Il lavoratore decade dal diritto al trattamento di integrazione salariale nel caso in cui non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione alla sede territoriale dell’INPS dello svolgimento dell’attività di cui al comma 2» (art. 8, comma 3, d. lgs. n. 148 del 2015).
Dal tenore letterale della norma, che limita il riferimento alla prestazione di
attività di lavoro subordinato e
di lavoro autonomo durante il periodo di integrazione salariale senza alcun riferimento ai redditi
perceptum, si desume l’incompatibilità del trattamento di integrazione salariale con qualunque attività di lavoro autonomo e subordinato (e l’irrilevanza dei corrispettivi maturati), con la conseguenza che l’erogazione dell’indennità di integrazione salariale è sospesa nei confronti del lavoratore che svolga attività di lavoro subordinato o autonomo durante il periodo di cassa integrazione in corrispondenza delle ore di lavoro effettuate, mentre il lavoratore che non abbia adempiuto all’obbligo di dare preventiva comunicazione dello svolgimento della predetta attività all’Inps decade dal diritto al trattamento di integrazione salariale.
Giulia Aristei, avvocato in Pisa
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Cass., ordinanza 21 ottobre 2022, n. 31146
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Rivista Labor - Pacini Giuridica.