La lettura di due recenti ordinanze della Corte di Cassazione, la n. 7225 del 13 marzo 2023 e la n. 9148 del 31 marzo 2023, che, sotto profili diversi inquadrano la medesima fattispecie fattuale, mi permettono di analizzare l’attuale disciplina del whistleblowing di recente rinnovata anche in ragione dell’influenza del diritto europeo.
Le due pronunce hanno ad oggetto il licenziamento di due lavoratrici che, pur in contesti diversi, avevano denunciato le condotte disciplinarmente rilevanti di colleghi e superiori. In un caso la denuncia rivelatasi infondata, ha dato luogo ad un procedimento disciplinare nei confronti della denunciante, nel secondo, invece, la delazione di condotte disciplinarmente rilevanti a carico di altri non ha funzionato come esimente per la denunciante che a sua volta aveva commesso le medesime condotte.
1. Le due vicende
Con l’ordinanza n. 7225/2023, la Corte di Cassazione ha confermato le legittimità del licenziamento senza preavviso di una dipendente che aveva querelato un comandante della Polizia municipale ed un agente con accuse di molestie.
La dipendente era stata inizialmente sospesa per sei giorni per aver denigrato il comandante del Corpo, attribuendogli un comportamento scorretto ed irrispettoso e per aver altresì diffamato un collega, attribuendogli comportamenti sessualmente importuni. La lavoratrice sporgeva quindi denuncia nei confronti dei colleghi, ma il procedimento penale veniva archiviato.
In seguito, il Comune apriva un nuovo procedimento disciplinare, concluso con il licenziamento senza preavviso della dipendente ai sensi dell’articolo 55
quater lettera e) d.lgs. n. 165/2001 per condotta ingiuriosa o comunque lesiva dell’onore altrui, oltre che screditante l’intero ambiente di lavoro.
La lavoratrice impugnava tale licenziamento dinanzi al Tribunale competente. Dapprima tale domanda è stata accolta e successivamente rigettata in sede di reclamo. La Cassazione ha infine stabilito la legittimità del licenziamento senza preavviso adottato dalla pubblica amministrazione. Gli Ermellini hanno infatti ritenuto sussistenti tutti gli elementi di fatto della fattispecie di cui all’articolo 55 quater lett. e) del D.lgs. n. 165/2011: “
risultano reiterate le condotte che ledono la dignità personale altrui, laddove la calunnia nei confronti del comandante e dei colleghi risulta accertata in sede penale con sentenza passata in giudicato”.
Nella stringata, ma chiara motivazione si legge infatti che trattasi di condotte gravi in quanto, non solo la reiterazione nel tempo delle stesse, quanto il fatto che la denigrazione colpisce il Corpo di polizia, dunque l’istituzione di appartenenza, non assumendo rilievo dirimente che la querela rivelatasi calunniosa, sia un atto esterno all’ambiente di lavoro. Secondo la corte è ritenuto invece sufficiente ai fini di giustificare l’atto espulsivo che l’atto illecito commesso dal lavoratore abbia conseguenze dirette all’interno della sfera lavorativa di appartenenza, anche se non risulta commesso nel luogo dove si svolge il servizio.
L’ordinanza n. 9148/2023 riguarda il caso di un’infermiera sanzionata con la sospensione di 4 mesi dal servizio per avere svolto attività non autorizzata presso un ente privato per circa 8 anni. Sia in primo che secondo grado di giudizio l’impugnazione veniva respinta.
La lavoratrice con ricorso in cassazione lamentava la violazione dell’art. 54-
bis d.lgs. n. 165/2001 sostenendo la portata delle protezione assicurata dalla norma all’affidamento di chi denunci illeciti tanto da evitare conseguenze alla propria partecipazione alla tutela dell’interesse e dell’integrità della Pubblica Amministrazione, sottolineando come l’unica eccezione prevista dalla normativa sia quella relativa alla calunnia o diffamazione, in maniera tale che solo il dolo o la colpa grave nel rendere le informazioni avrebbe come effetto il venire meno di tale protezione.
Gli Ermellini, sulla scorta di quanto già condiviso dalla Corte di Appello di Roma ( sentenza 5 settembre 2017, n. 3747), rigettava il ricorso pronunciando il seguente principio di diritto: “
La normativa di tutela del dipendente che segnali illeciti altrui (c.d. whistleblowing) salvaguardia il medesimo dalle sanzioni che potrebbero conseguire a suo carico secondo le norme disciplinari o da reazioni ritorsive dirette ed indirette conseguenti alla sua denuncia, ma non istituisce una esimente per gli autonomi illeciti che egli, da solo o in concorso con altri responsabili, abbia commesso, potendosi al più valutare il ravvedimento operoso o la collaborazione al fine di consentire gli opportuni accertamenti nel contesto dell’apprezzamento, sotto il profilo soggettivo, della proporzionalità della sanzione da irrogarsi nei confronti del medesimo “.
2. Whistleblowing: definizione e normativa nazionale
Prima di analizzare la portata del principio sopra citato, seppur in breve, mi sembra necessario inquadrare l’istituto del Whistleblowing, ovvero la a segnalazione di illeciti di cui un dipendente, collaboratore, professionista sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro sia nel pubblico impiego (Art. 54 bis commi 1 e 7 Dl.gs n. 165/2001; ASARO
Dipendenti pubblici: i limiti della tutela del whistleblower, in
Labor, 25 febbraio 2023 ; TAMBASCO “
La solitudine del whistleblower: interamente a suo carico la prova delle misure ritorsive”, in
ilGiuslavorista, 21 marzo 2023) che nel privato (art. 6 commi 2 bis lett. c) e 2 quarter D.lgs. n. 231/2001 e art. 1 e 2 L. n. 179/2017).
La fattispecie delineata dall’articolo 54-bis del Dlgs n. 165 del 2001 dispone espressamente il divieto di ripercussioni per il pubblico dipendente qualora segnali al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, all’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC) o all’Autorità giudiziaria, condotte illecite da lui apprese.
Per quanto concerne il settore privato, invece, la disciplina è dettata dalla Legge n. 179/2017, che richiede alle società del settore privato con modelli organizzativi ex D.lgs. n. 231/2001 di dotarsi obbligatoriamente di canali di segnalazione delle condotte illecite ritenute rilevanti ai sensi della normativa. Allo stesso tempo, le imprese hanno l’onere di garantire il divieto di atti ritorsivi o discriminatori nei confronti del whistleblower per le segnalazioni effettuate.
La disciplina sia pubblica che privata stabilisce quindi la nullità di tutti gli atti aventi effetti pregiudizievoli sulle condizioni di lavoro successivi alla segnalazione o alla denuncia, da parte del dipendente, di irregolarità o di illeciti di cui sia venuto a conoscenza nello svolgimento delle mansioni, salvo la prova contraria del datore di lavoro che dovrà dimostrare come tali misure disciplinari siano basate su fatti esterni alla segnalazione.
3. La normativa europea
Con l’influenza delle fonti internazionali e della giurisprudenza della Corte di Giustizia (Corte EDU, 14 febbraio 2023, C- 21184/18, Halet c. Lussemburgo, la pronuncia permette di comprendere la mutata rilevanza del fenomeno e delle conseguente evoluzione della cornice normativa europea e internazionale a protezione dei “whistleblowers”), già la Convenzione dell’ONU contro la corruzione (ratificata e resa esecutiva in Italia con L. n. 116/2009, art. 33) ha previsto che gli Stati adottino misure appropriate per proteggere chi segnali illeciti, da qualsiasi “trattamento ingiustificato”, tale evidentemente non potendo essere e non meritando quindi la protezione la commissione da parte propria, da soli o in concorso, di autonomi illeciti che nulla hanno a che vedere con tali segnalazioni, poi la Direttiva UE 2019-1937 ha definito la modalità e tipologia di “protezione” come garantire il divieto di qualsiasi forma di ritorsione (La Redazione “
Whistleblowing: pubblicato il Decreto di recepimento della Direttiva europea sulla protezione dei “whistleblowers” nel settore pubblico e privato, in
ilGiuslavorista, 17 marzo 2023; TAMBASCO “
Whistleblowing: la protezione dalle ritorsioni nei recenti orientamenti giurisprudenziali e nella nuova disciplina del D.lgs. n. 24/2023”,
ivi, 12 Aprile 2023).
Ad oggi, il decreto legislativo del 10 marzo 2023, n. 24 (che su Questa Rivista sarà commentato, prossimamente, da Tamburro) ha recepito la Direttiva Europea sul Whistleblowing (2019-1937), recante nuovi standard di protezione a favore dei “whistleblower” ovvero delle persone che segnalano violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato, di cui siano venute a conoscenza in un contesto lavorativo pubblico o privato.
Il nuovo quadro normativo riconosce infatti alla segnalazione un ruolo chiave nella prevenzione delle violazioni normative e assicura ai segnalanti di imprese sia pubbliche che private, una tutela più strutturata.
Il decreto aggiorna così la legislazione italiana, armonizzandola con quelle che sono le norme del Parlamento europeo e del Consiglio circa la protezione delle persone che segnalano violazioni del Diritto dell’Unione e di disposizioni normative nazionali. Con il D.LGS 24/203 aumentano infatti le condotte meritevoli di segnalazione.
Le tutele previste dalla nuova disciplina contenute nel decreto di recepimento si applicano ad un ampio novero di soggetti: coloro che segnalano, denunciano all’autorità giudiziaria o contabile o divulgano pubblicamente informazioni sulle violazioni di cui sono venute a conoscenza nell’ambito del proprio contesto lavorativo, in qualità di dipendenti o collaboratori, lavoratori subordinati e autonomi, liberi professionisti ed altre categorie come volontari e tirocinanti anche non retribuiti, gli azionisti e le persone con funzioni di amministrazione, direzione, controllo, vigilanza o rappresentanza.
Tali misure di protezione si applicano anche ai cosiddetti “facilitatori”, colleghi, parenti o affetti stabili di chi ha segnalato.
In continuità con il passato, vengono annoverate anche “le condotte illecite rilevanti ai sensi del Decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 o violazioni dei modelli di organizzazione e di gestione”. Rimangono, invece, escluse dal decreto le segnalazioni circa i rapporti individuali di lavoro e quelle in materia di sicurezza e difesa nazionale.
Rispetto alle norme attualmente in vigore, che contemplavano il solo uso di canali di segnalazione interni, il decreto introduce ulteriori modalità attraverso cui il whistleblower può comunicare gli illeciti di cui sia venuto a conoscenza.
Il documento amplia infatti i canali a disposizione, prevedendone uno di segnalazione esterna, predisposto e gestito dall’ANAC. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del d.lgs. 24/2023, tale Autorità – sentito il Garante Privacy – dovrà adottare delle linee guida in tema di presentazione e gestione delle segnalazioni esterne, prevedendo il ricorso a strumenti di crittografia che garantiscano la riservatezza del segnalante e della persona menzionata nella segnalazione – o comunque coinvolta.
In conclusione, per riassumere il regime di misure di protezione ad oggi previste per i whistleblower:
– la garanzia della riservatezza del segnalante;
– il divieto di atti ritorsivi,
– la previsione di una giusta causa di rivelazione di segreti che può esonerare il lavoratore da responsabilità civile e penale.
4. L’equilibrio tra il principio di legalità e la tutela del segnalante
Tornando alla pronuncia n. 9148/2023 in commento, si può quindi affermare come la Cassazione, con il principio di diritto affermato, abbia individuato un equo contemperamento degli interessi in gioco, stabilendo che la segnalazione degli illeciti altrui non può trasformarsi in uno scudo per gli illeciti degli stessi segnalanti.
La Corte argina il c.d. “pentitismo” in ambito lavorativo, chiarendo che non esistono immunità per chi denuncia. Al più, si potrà tener conto del ravvedimento nella graduazione della sanzione disciplinare. Nulla vieta, aggiunge la Corte, all’ordinamento di “
riconoscere eventuali attenuanti oppure, quando possibile, di valorizzare il ‘pentimento’ sotto il profilo della valutazione di proporzionalità, come è normale che sia per il ravvedimento che ciò può dimostrare, ma l’articolo 54-bis non riconosce, né lo Stato per quanto sopra detto è tenuto a riconoscere, un’esimente rispetto a tali autonomi illeciti”.
In altri termini, visto il quadro normativo di riferimento, le maggiori tutele riconosciute al fine di evitare un effetto disincentivante nei confronti di coloro che denuncino un illecito, non devono comunque portare a credere che tale condotta possa assicurare una sorta di “immunità” al potere disciplinare del datore di lavoro nel caso in cui si commettano fatti illeciti.
Claudia Scalerandi, avvocato in Milano
Visualizza il documento:
Cass., ordinanza 13 marzo 2023, n. 7225;
Cass., ordinanza 31 marzo 2023, n. 9148
Scarica il
commento in PDF
L'articolo
Whistleblowing: facciamo il punto. Le novità della Cassazione e la direttiva europea sembra essere il primo su
Rivista Labor - Pacini Giuridica.