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Gli anni ’60 hanno visto il “miracolo italiano” nell’industria e l’affermazione della professione forense e le altre giuridico-economiche; in questa epoca non era certo necessario per il professionista comunicare, bastava lavorare bene e farsi un nome perché il passaparola facesse il resto. La storia cosa ci dice…

L’economia e i costumi italiani cambiano nel tempo e vediamo negli anni ’80 l’affermazione di un nuovo stile di vista con l’apice del benessere nel nostro Paese: la professione forense procede a gonfie vele e, in un tessuto economico in espansione, nuovamente non c’è alcun bisogno di promuovere la propria attività professionale perché il fatturato voli. La fine del ‘900 tuttavia vede una prima frenata dell’economia e il passaggio ad una nuova epoca con l’entrata in scena della tecnologia. Internet prende a grandi passi il centro della scena e cambia tutto in pochi anni: economia, relazioni, cultura, equilibri. Nel primo ventennio degli anni 2000 la professione forense vede quintuplicarsi il numero degli avvocati iscritti all’Albo e una economia in affanno. Il passaparola non basta più a garantire il proprio business di studio e la comunicazione diventa oltre che un nuovo modo di esistere e relazionarsi, anche una esigenza per la professione.

Ecco, dunque, la nascita del legal marketing e della comunicazione in ambito professionale. In Italia comincia ad essere sempre più importante la presenza delle Law Firm internazionali che portano questa cultura aziendale nell’organizzazione e nella comunicazione della professione forense. Gli studi di tutte le dimensioni, dai grandi studi legali alle boutique del diritto man mano si rendono conto di dover comunicare per distinguersi, per informare e per creare valore nel mercato di riferimento. Nascono piattaforme dedicate alla comunicazione, dalle legal directory alle piattaforme di beauty contest. Il passaparola passa velocemente dalla tradizionale modalità de visu, analogica, a quella digitale dei social network e nascono testate giornalistiche dedicate a questa forma di comunicazione con annessi eventi, premi e chi più ne ha più ne metta. Sintomo di un cambio di mentalità nella professione forense e di modalità diverse per far entrare in contatto l’offerta e la domanda di servizi legali. Si comincia a parlare di blockchaine e il concetto, mutatis mutandis, viene oggi applicato anche alla fornitura di servizi legali che rientrano nella catena dei fornitori per una azienda. Le aziende vogliono che i propri fornitori – tra cui i fornitori di servizi legali – abbiano gli stessi valori loro, lo stesso stile e rispettino determinati parametri non solo professionali, ma anche comportamentali e di stile nel fare business.

Ed eccoci al presente. Siamo nel terzo decennio degli anni 2000, un’epoca dove le problematiche ambientali hanno il centro dell’interesse mondiale e a seguire esigenze di tutela della privacy facile da violare con le nuove tecnologie, di tutela della qualità di vita delle persone, pervasa dalle nuove tecnologie, di tutela del lavoro, travolto dal cambiamento portato dalla pandemia, dalla digitalizzazione e dalla crisi economica mondiale.

LA SOSTENIBILITÀ TRA VALORE E MARKETING PER GLI STUDI LEGALI

Maturata oramai l’idea che bisogna saper comunicare per distinguersi e affermarsi, gli studi legali stanno oggi capendo su cosa comunicare e come. Molti stano cercando di cavalcare i temi del momento, imitando ciò che fanno gli altri per non rimanere indietro e cercando di far parte della partita, soprattutto sul web e sui social. Tutto questo crea anche dei rischi, non solo perché molti confondono la comunicazione con il marketing, e ancora di più il “saper parlare” con il saper fare marketing, ma anche perché non sanno cosa comunicare, oltre al come farlo.

Proviamo a pensare a quali sono le tematiche valoriali che in questo momento storico stanno emergendo e tengono banco dal punto di vista mediatico:

  • gender equality, quindi garantire l’uguaglianza di opportunità e di trattamento tra uomini e donne; il che vuol dire mettere in atto azioni che garantiscano all’interno dello studio professionale pari opportunità di carriera tra uomini e donne, che eliminino il “tetto di cristallo” che da sempre limita la presenza femminile nelle alte gerarchie dello studio; vuol dire garantire parità di trattamento economico ad entrambi i generi; ma ancora di più, vuol dire rimuovere ogni tipo di ostacolo alla carriera e alle condizioni di lavoro a prescindere dall’inclinazione sessuale delle persone, qualunque essa sia. Si tratta, quindi, di eliminare la gender gap e ogni altra discriminazione di genere. Le azioni concrete riguardano poi il garantire la maternità, rimuovendo tutte le discriminazioni dirette o indirette che le donne si sono storicamente trovate sul proprio cammino;
  • tutela dei giovani, quindi prevedere percorsi di crescita e di carriera per i più giovani, in modo da creare le reali condizioni di realizzazione dei talenti e opportunità di carriera legata alla meritocrazia; ciò avviene tramite il riconoscimento economico del lavoro nel praticantato, nella previsione di percorsi di carriera, nella creazione di borse di studio, di collegamenti con l’università, di percorsi formativi continui interni allo studio;
  • tutela del “life work balance”, quindi di un equilibrio tra vita privata e lavoro a garanzia della qualità di vita delle persone; oggi i ritmi di lavoro, la crescita competitività, le nuove tecnologie sono diventate pervasive nella vita delle persone, rosicchiando sempre di più gli spazi privati per adempiere alle incombenze lavorative; uno studio che abbia cura della qualità di vita dei propri collaboratori e dipendenti deve prevedere policy interne riguardanti gli orari di lavoro, lo smart working e il lavoro agile, il diritto alla disconnessione in modo da tutelare la vita privata, la salute mentale e relazionale dei propri collaboratori;
  • sostenibilità green vuol dire prendersi cura dell’ambiente e dell’impatto che il proprio lavoro ha su di esso. Uno studio green è uno studio che attua politiche di sostenibilità che partano dal non uso di plastica, quindi “plastic free” (come per esempio eliminare bottigliette d’acqua di plastica sostituite con il vetro, piuttosto che i bicchierini di plastica per il caffè, sostituiti con quelli di carta), per passare all’uso di carta riciclata per stampanti, alla razionalizzazione dell’uso delle email (ogni email comporta emissione di CO2), alla riduzione degli spostamenti (sostituendo viaggi e incontri di persona, con videoconference, applicando lo smart working, che riduce gli spostamenti da e per l’ufficio in alcune giornate dei collaboratori); a ciò si aggiungano iniziative green come il finanziare progetti di riforestazione, di tutela della natura, di riduzione dell’inquinamento etc.;
  • sostenibilità sociale, quindi azioni rivolte a trasferire valore alla società, mediante attività pro bono, iniziative per la collettività, messa a disposizione delle proprie competenze per azioni solidali, tutela delle fasce deboli e così via.

IL RISCHIO DI WASHING

Se le tematiche di cui sopra sono tematiche valoriali, quindi sentite socialmente e individualmente, il vero rischio è che vengano cavalcate mediaticamente. Molti studi (ovviamente non solo legali), per esempio, colta l’opportunità di “farsi belli” hanno cominciato a dichiararsi green, a comunicare che si occupano del sociale, che tutelano la femminilità all’interno, che si prendono cura dei propri giovani, che non inquinano nel loro operato, che hanno in cantiere iniziative di questo e di quello… Molti, però, in realtà non hanno cambiato nulla rispetto al pregresso e non hanno introdotto alcun vero cambiamento e tantomeno cambiato mentalità; stanno solo, in sostanza, approfittando della situazione per far parte della partita mediatica e cavalcare temi del momento. Questo fenomeno è stato chiamato “green washing”, cioè darsi una “pitturata di verde” in riferimento a chi ha cavalcato il tema green e, più in generale, viene identificato con il “rischio di washing”, cioè di dare una immagine che non corrisponde alla realtà, non facendo altro che confondere le acque e non permettere poi di distinguere chi effettivamente sta facendo azioni concrete in tali direzioni, con chi non fa proprio nulla e parla e basta.

Quali sono le tappe di un vero cambiamento su queste tematiche che poi permette di parlarne a ragione veduta e di comunicarlo al mondo come un proprio tratto distintivo corrispondente al credo con cui operiamo professionalmente? Sono tre le tappe che bisogna seguire:

  • prima si deve operare un cambio di mentalità: si tratta di fermarsi a comprendere quali sono i valori attuali che intendiamo realizzare con la nostra attività professionale;
  • secondo, si deve concretizzare la nuova mentalità con azioni concrete facenti parte di un progetto, in modo da rendere fattivo il nostro valore e stile;
  • terzo, ora sì che possiamo comunicare il nostro stile, il nostro valore e far conoscere al mondo perché lavoriamo in un certo modo, come lavoriamo, in cosa ci distinguiamo e andiamo orgogliosi.

Al termine di questo processo di elaborazione e di ridefinizione della propria mission nel mondo, non solo professionale, saremo davvero pronti a dichiarare di essere ESG, perfettamente compliant con quanto richiesto dal periodo storico, dalla società e dall’economia. Come comunicarlo fa parte di un altro tema, a cui dedicheremo in futuro ampio spazio con nuovi articoli per guidare il professionista forense a fare le scelte giuste.

22/11/2021
| a cura di Mario Alberto Catarozzo – Coach, Formatore, Consulente – CEO di MYPlace Communications
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