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Come noto, al settore dell’agricoltura sono riservati molti regimispeciali” che si differenziano rispetto a quelli ritagliati per gli “ordinari” operatori di mercato.

Spesso tuttavia, si fraintendono le motivazioni che sottostanno alle scelte del Legislatore, non solo nazionale ma anche a volte comunitario, di modo che tali regimi vengono battezzati “di favore”.

Ne è un esempio il regime Iva previsto dagli articoli 34 e 34-bis D.P.R. 633/1972 in ossequio alla facoltà, concessa ai singoli Stati comunitari dall’articolo 296 Direttiva 2006/112, di “applicare ai produttori agricoli per i quali l’assoggettamento al regime normale dell’Iva o, eventualmente, al regime speciale di cui al capo 1 crei difficoltà, un regime forfettario inteso a compensare l’onere dell’Iva pagata sugli acquisti di beni e servizi degli agricoltori forfettari …”.

Evidente è lo scopo del Legislatore di introdurre, per un settore che presenta molte attività minimali in termini di volumi di affari, un sistema semplice da un punto di vista applicativo, il che non sta a significare che esso sia anche di vantaggio.

Il regime si sostanzia in un regime speciale di detrazione dell’imposta: infatti, in ragione delle regole ordinarie di cui all’articolo 19 D.P.R. 633/1972, la detrazione si applica in modo forfettizzatoin misura pari all’importo risultante dall’applicazione, all’ammontare imponibile delle operazioni stesse, delle percentuali di compensazione stabilite, per gruppi di prodotti, con decreto del Ministro delle finanze di concerto con il Ministro per le politiche agricole”.

Al contrario, la cessione segue le regole ordinarie e quindi l’Iva a debito si determina applicando le aliquote edittali.

Risulta evidente, quindi, come, in prima battuta, ci sarà maggior vantaggio a rimanere nel regime speciale Iva quando la forcella tra aliquota edittale di cessione e percentuale di compensazione sia ridotta.

Il regime, che è quello naturale al manifestarsi dei requisiti soggettivo (essere produttore agricolo) e oggettivo (vendere prodotti ricompresi nella prima parte della Tabella A allegata al D.P.R. 633/1972), comporta la “sostituzione” di tutta l’Iva a credito versata sugli acquisti con quella determinata applicando al volume delle vendite la percentuale di compensazione stabilita dal Legislatore.

Ne deriva che, come evidenziato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 26914/2019, non è azionabile quanto previsto dalla Direttiva comunitaria all’articolo 13 per cui “laddove non sia riconosciuto il diritto alla detrazione, deve essere disciplinato un regime d’acquisto in esenzione, in assenza del quale, come perorava parte ricorrente, si rende applicabile il rimborso dell’Iva versata ma non dovuta.

Infatti, se è vera la sussistenza di tale principio, come evidenziato dai Supremi giudici, lo stesso “non trova applicazione quando il regime di imposizione nazionale preveda che al contribuente sia offerta la scelta di optare per l’applicazione di regimi fiscali diversi, quello ordinario, il quale importa il diritto alla detrazione dell’Iva e quello speciale che importa la possibilità di conseguire, in relazione a beni determinati, una detrazione dell’imposta dovuta, in sede di liquidazione periodica e annuale, per un importo corrispondente alle “percentuali di compensazione” calcolate sulle vendite”.

Ne deriva che, poiché l’articolo 34 D.P.R. 633/1972, al comma 11, consente al contribuente di optare per la determinazione dell’Iva secondo le regole ordinarie, una volta che tale facoltà non viene esercitata dal contribuente, lo stesso non potrà pretendere di sommare i benefici previsti dai diversi regimi.

In parziale deroga a tale incumulabilità di regole, sempre l’articolo 34 D.P.R. 633/1972, al comma 5, introduce una previsione per le cd. imprese miste, ossia quelle che nell’ambito della stessa impresa effettuano sia cessione di beni rientranti nella prima parte della Tabella A, sia di beni diversi.

In questo caso, la norma prevede che tali ultime operazioni siano “registrate distintamente e indicate separatamente in sede di liquidazione periodica e di dichiarazione annuale”, prevedendo inoltre che “dall’imposta relativa a tali operazioni si detrae quella relativa agli acquisti e alle importazioni di beni non ammortizzabili e ai servizi esclusivamente utilizzati per la produzione dei beni e dei servizi che formano oggetto delle operazioni stesse”.

Tale possibilità, si ricorda, può essere adottata a condizione che le tali operazioni siano e rimangano occasionali in quanto, nel caso in cui le stesse si trasformassero in abitudinarie, si verrebbe a determinare un’ulteriore attività con obbligo di separazione ai sensi dell’articolo 36 D.P.R. 633/1972.

E, la circostanza che il comma 5 faccia riferimento alla detraibilità dell’Iva senza includervi quella relativa ai beni ammortizzabili non è tacciabile di incostituzionalità, come confermato sempre dall’ordinanza n. 26914/2019 che ricorda come “il legislatore abbia previsto che le imprese … possano scegliere il regime di imposizione ordinario oppure quello speciale, in considerazione della propria soggettiva convenienza. Non vi è quindi spazio per affermare l’illegittimità costituzionale di una disciplina impositiva cui la parte ha liberamente scelto di essere sottoposta, nulla impedendole di optare per la disciplina impositiva ordinaria.

L'articolo Il regime Iva agricolo inibisce la detrazione sui beni ammortizzabili sembra essere il primo su Euroconference News.

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