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nullita-e-annullabilita-del-verbale-di-conciliazione-nel-rito-del-lavoro-in-assenza-di-res-litigiosa-e-reciproche-concessioni-tra-le-parti

In assenza di res litigiosa l’accordo sottoscritto tra le parti non può qualificarsi come patto transattivo bensì come mero atto di regolazione del rapporto di lavoro. Questo è quanto stabilito dal Tribunale di Milano con la sentenza n. 2652 dell’11 novembre 2022 che ha escluso la valenza transattiva degli accordi sottoscritti dai lavoratori, ritenendo venuto meno un elemento essenziale della causa negoziale di cui all’art. 1965 c.c.

Ma quali sono i requisiti fondamentali che devono essere presenti in un verbale di conciliazione acciocché lo stesso possa definirsi legittimo e non viziato da nullità o annullabilità?

E, a tal proposito, nel corso degli anni la giurisprudenza ha tracciato la via precisando che un verbale di conciliazione, per esser definito tale, deve contenere l’effettiva rappresentanza del lavoratore e la sussistenza di una res litigiosa; la piena consapevolezza in capo alle parti dei diritti abdicati ed infine la reciprocità di concessioni e rinunzie.

In merito al primo requisito è necessario che il lavoratore sia assistito da parte del sindacalista e che tale assistenza debba essere effettiva e regolare (Cass., 23 ottobre 2013 n. 24024). Dunque, è necessario che il rappresentante sindacale si faccia rilasciare apposito mandato in forma scritta, illustrando al lavoratore ciò che rinuncia al momento della sottoscrizione, accertandosi che quest’ultimo abbia ben chiaro che i diritti abdicati lo sono in maniera definitiva e senza possibilità di ripensamenti, non potendo, ad avviso di chi scrive, costituire la sola presenza del rappresentante sindacale una mera presunzione che il lavoratore sia stato adeguatamente assistito.

Ed ancora, è fondamentale che vi sia una res litigiosa e dunque un motivo per cui firmare un accordo. In altri termini il verbale di conciliazione deve riferirsi ad una questione effettivamente controversa tra le parti, che solitamente viene indicata nelle premesse dell’atto, necessitando che esso non sia solo un “pretesto” per ottenere la rinuncia del lavoratore ad “ogni domanda o diritto comunque connesso o anche solo occasionato dal rapporto di lavoro”. Se manca la res litigiosa, infatti, il negozio è privo di causa, e quindi risulta nullo. Non è possibile dunque, parlare di accordo conciliativo ogni qualvolta si sia in presenza di una res dubia o qualora non vi sia alcun motivo volto a necessitare la presenza di un accordo conciliativo.

Sennonché, per poter asserire come vi sia nel contratto di transazione l’elemento della res litigiosa non occorre che le rispettive tesi delle parti abbiano assunto la determinatezza propria della pretesa, essendo bastevole l’esistenza di un dissenso potenziale e non anche un’esteriorizzazione della lite formulata rigorosamente (cfr. Cass., ordinanza n. 25600/2022 e, in senso conforme, Cass. n 8917/2016). Ciò, anche in virtù del fatto che la funzione della transazione è anche quella di “strumento negoziale di prevenzione di una lite” (cfr. Cass. n. 23482/2017).

Ulteriore elemento indispensabile per avere un accordo valido è la presenza nel verbale di reciproche concessioni. Come noto, è pacifico che la transazione deve comportare reciproche concessioni, appartenendo alla categoria dei contratti a prestazioni corrispettive, per cui essa necessita della reciprocità dei sacrifici richiesta dalla formulazione normativa.

E tali concessioni non solo devono essere commisurare alle reciproche pretese e contestazioni dovendo incardinarsi un congruo bilanciamento tra rinunce e spettanze, ma devono altresì riguardare controversie in corso o eventuali liti future non ancora instaurate potendo modificare o estinguere il precedente rapporto tra le parti.

Recentemente la Giurisprudenza ed in particolar modo i Tribunali di merito, stanno dando una chiave di lettura più letterale alle disposizioni codicistiche sottese al combinato disposto ex artt. 410, 412  e ss. cpc e 1965 c.c., andando a dichiarare la nullità e/o annullabilità delle transazioni a seguito dell’accertamento di un vizio della volontà, o per incapacità naturale ma anche laddove vi sia una fattispecie che sottende un negozio avente ad oggetto la nullità della causa o l’assenza degli elementi essenziali del negozio.

Pertanto, anche l’assenza di reciproche concessioni, potrebbe portare alla dichiarazione di nullità dell’accordo, qualora il Giudice del lavoro dovesse accertare la “mancanza di un vicendevole sacrificio” tra le parti, tale da impedire la qualificazione di “transazione” all’operazione negoziale (cfr. Trib. Monza, n. 358/2015 e Trib. Milano, n. 577/2015).

In conclusione, affinché una conciliazione possa ritenersi stipulata legittimamente è fondamentale che la stessa venga sottoscritta in una “sede protetta”, alla presenza di un rappresentante sindacale e solo qualora risulti accertata la presenza di una res litigiosa e la consapevolezza delle parti contraenti dei diritti rinunciati con il cosciente reciproco intento di abdicarvi (Cass. n. 183219/2016, come richiamata dal Tribunale di Milano, nella sentenza qui annotata).

Gabriele Cingolo, avvocato in Roma

Visualizza il documento: Trib. Milano, 11 novembre 2022, n. 2652

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