Con la sentenza n. 28565 del 3 ottobre 2022 la Corte di Cassazione esamina l’operatività del giudicato interno nell’ambito della prescrizione, qualificata come istituto connotato da
“un’unità indissolubile”. Secondo il Supremo Collegio, la sola censura inerente all’omessa considerazione di una causa di sospensione della prescrizione riespande il potere del giudice di riesaminare l’intera fattispecie, compresa l’individuazione del
dies a quo della prescrizione (anche se non è stata oggetto di alcuna censura).
La fattispecie.
La Corte di Appello di Caltanissetta – con sentenza n. 98 del 2020 – dichiarava un soggetto iscritto alla Gestione Separata INPS non tenuto al pagamento dei contributi previdenziali, vista l’operatività della prescrizione quinquennale, il cui
dies a quo era da individuarsi nella “
scadenza del termine per il pagamento dei contributi, coincidente con quello in cui doveva essere versato il saldo risultante dalla dichiarazione dei debiti”.
Nell’esaminare la questione, la Corte escludeva che l’omessa esposizione “d
egli obblighi contributivi connessi al lavoro autonomo equivalesse ipso facto alla volontà del lavoratore di occultare il debito” anche alla luce dell’incertezza normativa in ordine ai presupposti dell’iscrizione. Per l’effetto, secondo il giudice del merito, non operava l’ipotesi di sospensione della prescrizione di cui all’art. 2941 n. 8 c.c., e il credito contributivo doveva ritenersi prescritto.
Le motivazioni.
Avverso tale sentenza ricorreva in Cassazione l’INPS, deducendo – attraverso un unico motivo – la violazione dell’art. 2941 c.c. n. 8, che stabilisce che la prescrizione viene sospesa quando il debitore “
abbia dolosamente occultato l’esistenza del debito … finché il dolo non sia stato scoperto”. Secondo l’ente previdenziale, la mancata compilazione del Quadro RR – necessario per la determinazione dei contributi dovuti – aveva consentito al contribuente di eludere il controllo contributivo degli uffici finanziari.
Dopo aver concentrato il ricorso soltanto sul motivo di cui sopra, nella memoria ex art. 380 bis c.p.c. l’ente introduceva un tema diverso da quello inizialmente prospettato, evidenziando che la prescrizione non era comunque maturata in ragione del differimento al 6.7.2010 del termine di versamento, disposto dall’art. 1 del D.P.C.M. 10 giugno 2010 (l’interruzione della prescrizione era intervenuta il 1.7.2015). In questo modo, estendeva il
thema decidendum anche alla verifica dell’individuazione del
dies a quo della prescrizione (aspetto, quest’ultimo, non coltivato nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità).
La Corte di Cassazione accoglieva il ricorso, rinviando il giudizio alla Corte di Appello di Caltanissetta e confermando l’applicazione al caso di specie del D.P.C.M. sopra citato.
La sentenza si segnala – più che per gli aspetti sostanziali di diritto previdenziale – per l’esame dell’istituto del giudicato interno e delle sue interazioni con la prescrizione.
La questione, infatti, era stata rimessa alla sezione lavoro al fine di valutare se – nonostante il ricorso avesse coltivato soltanto il tema della sospensione della prescrizione – il diverso tema della decorrenza del
dies a quo fosse comunque “
rilevabile d’ufficio” o per contro “
precluso dal giudicato interno”.
Il Supremo Collegio procede preliminarmente con una breve ricostruzione dell’istituto della prescrizione, evidenziando che chi intende profittarne ha soltanto l’onere di eccepire l’”
effetto estintivo”, costituendo “
la determinazione della durata necessaria per il verificarsi dell’estinzione” come “
quaestio iuris connessa all’identificazione del diritto stesso”, per questo rilevabile anche d’ufficio.
Dopo tale premessa, la Corte fonda la rilevabilità d’ufficio della decisione sulla “
salvaguardia della giustizia della decisione” (Cass. S.U. 3 febbraio 1998, n. 1099) che deve “
cogliersi in maniera ancor più pregnante nella materia previdenziale, permeata da interessi che travalicano i diritti individuali e contraddistinta dal ruolo strategico dello Stato”.
Qualificata la questione della decorrenza del
dies a quo come rilevabile d’ufficio, la Corte si chiede se sulla stessa – non coltivata nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità – si sia formato il “
giudicato interno, idoneo a precludere il rilievo d’ufficio” al Collegio.
Secondo il ragionamento della Corte, il giudicato interno si forma soltanto se la parte della decisione non impugnata è fondata “
su presupposti di fatto e di diritto diversi ed autonomi rispetto alla parte impugnata” e se tra queste parti non sussiste “
alcun rapporto di pregiudizialità”. Allo stesso tempo, il giudicato può cadere soltanto “
su una unità minima della decisione, che si compone della sequenza fatto, norma ed effetto e risolve, nell’ambito della controversia, una questione dotata d’una propria autonomia ed individualità”.
Declinando le premesse sopra esposte al caso di specie, gli ermellini affermano che la prescrizione sarebbe connotata da una “
individualità indissolubile” che non può essere “d
isarticolata negli elementi che intervengono a definirla”.
Il Collegio conclude il ragionamento affermando il seguente principio: “
ove s’impugni la sentenza che ha dichiarato prescritto il diritto per violazione della disciplina concernente l’interruzione, anche in sede di legittimità si può estendere la verifica a tutti i punti in cui è possibile scomporre la decisione sulla prescrizione”. E così, utilizzando proprio la locuzione (o il
lapsus) della Cassazione, la cognizione della giudicante si “
riespande”, anche se quell’aspetto era stato abbandonato nel giudizio precedente (Cass. 4 febbraio 2016, n. 2217).
La decisione pone alcuni dubbi, o comunque dei motivi di riflessione, nei punti in cui attribuisce all’intera fattispecie della prescrizione una
“unità indissolubile” ed afferma che il giudicato interno non possa formarsi sui singoli elementi della fattispecie.
Abbiamo visto che il giudicato interno si forma su singole questioni “
se le stesse siano configurabili come capi completamente autonomi, risolutivi di questioni controverse che, dotate di propria individualità ed autonomia, integrino una decisione del tutto indipendente, e non anche quando si tratti di mere argomentazioni, oppure della valutazione di presupposti necessari di fatto che, unitamente agli altri, concorrano a formare un capo unico della decisione” (Cass. 09 agosto 2022, n. 24488).
Nel caso di specie, la questione dell’individuazione del
dies a quo non sembra interferire, né appare logicamente connessa, alla questione inerente all’idoneità della mancata compilazione del Quadro RR ad occultare l’esistenza del credito (ed a costituire, per l’effetto, una ipotesi di sospensione della prescrizione).
Più che apparire pregiudiziali, i due aspetti sembrano riferirsi a profili distinti, anche se riconducibili alla medesima fattispecie. Appare logicamente possibile esaminare l’idoneità della omessa dichiarazione a sospendere la prescrizione senza per forza procedere con la rideterminazione del
dies a quo. Perlomeno astrattamente, le due questioni possono ritenersi dotate di una loro individualità ed autonomia, e sul piano logico non sembrano interferire in alcun modo.
In questo senso, e in distonia con le conclusioni della sentenza in questa sede esaminata, la stessa Cassazione aveva evidenziato che “
la regola della rilevabilità di ufficio di determinate questioni, in ogni stato e grado del processo, va coordinata con i principi che governano il sistema delle impugnazioni, nel senso che essa opera solo quando sulle suddette questioni non sia intervenuta una statuizione anteriore, mentre, ove questa vi sia stata, i giudici delle fasi successive possono conoscere delle questioni stesse solo se ed in quanto esse siano riproposte con l’impugnazione, posto che altrimenti si forma il giudicato interno che ne preclude ogni ulteriore esame. Ne deriva che affermata l’applicabilità, con riferimento a una determinata fattispecie, del termine di prescrizione quinquennale, la relativa statuizione, ove non impugnata, deve ritenersi coperta da giudicato” (Cass. 18 marzo 2014, n. 6246 – nel caso esaminato, che riguardava il diritto dei medici specializzandi alla retribuzione prevista dal D. Lgs. n. 257 del 1991, il Collegio aveva riesaminato l’aspetto del
dies a quo della prescrizione, ritenendo invece ormai coperta da giudicato il fatto che alla fattispecie si applicasse il termine di prescrizione quinquennale). In quel caso, il potere di riesaminare la questione non si era riespanso a tutti i segmenti della prescrizione.
Allo stesso tempo, investita dell’esame di questioni pregiudiziali rispetto alla determinazione del termine di prescrizione, la Cassazione ne ha configurato il giudicato come connotato da una
vis attenuata e remissiva. È stato quindi affermato che “
in materia di impugnazione, quando la domanda è rigettata in primo grado in applicazione del termine di prescrizione correlato alla sua qualificazione giuridica, se il giudice d’appello procede d’ufficio ad una diversa qualificazione della stessa, alla quale è riferibile un differente termine prescrizionale, non opera il giudicato interno sul termine di prescrizione individuato dal primo giudice in correlazione alla qualificazione originaria della domanda” (Cass. 22 febbraio 2022, n. 5819; Cass. 10 febbraio 2017, n. 3539; Cass. 31 gennaio 2018, n. 2366). E così, da una diversa qualificazione della fattispecie, discende anche un impatto sul giudicato interno del termine prescrizionale: in quest’ultimo caso, però, il nesso di pregiudizialità è evidente (a differenza della fattispecie esaminata nella sentenza commentata, dove i piani appaiono distinti).
Danilo Bellini, avvocato in Milano
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Cass., 3 ottobre 2022, n. 28565
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Nella prescrizione, la censura inerente all’esistenza di una causa di sospensione fa ritornare sub judice l’intera fattispecie, e il giudice può rideterminare anche la decorrenza del dies a quo sembra essere il primo su
Rivista Labor - Pacini Giuridica.