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Con la recente sentenza n. 752 del 12 gennaio 2023, la Corte di Cassazione torna ad affermare principi ormai consolidati in tema di licenziamento economico. In particolare, ribadisce che affinché il licenziamento possa ritenersi legittimo deve essere necessariamente svolta una valutazione complessiva ed analitica dell’intero contesto probatorio mirata alla verifica della sussistenza del giustificato motivo oggettivo individuato, nel caso di specie, sia nella riduzione dei costi aziendali che in ragioni inerenti all’attività produttiva e l’organizzazione interna. La sentenza annotata nello specifico afferma che “il calo del fatturato e l’aumento dei costi del personale non legittimano il licenziamento della dipendente se la datrice di lavoro ha precedentemente proceduto all’assunzione di altre lavoratrici”. Il caso concreto. La Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto da una lavoratrice avverso la sentenza della corte d’appello di Potenza, che aveva confermato la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo sorretto da motivazioni di riorganizzazione interna dell’azienda e conseguente esigenza di riduzione dei costi. Secondo la Corte di Appello doveva ritenersi sussistente la ragione organizzativa addotta dalla società, posto che l’istruttoria condotta aveva dimostrato il calo dei ricavi con incidenza sul fatturato complessivo e l’incremento dei costi del personale. La Corte aveva, inoltre, ritenuto che l’attuazione di nuove assunzioni nel periodo precedente il licenziamento della lavoratrice in questione fosse spiegabile sia con la mancata manifestazione della crisi aziendale, sia con l’esigenza di sopperire all’assenza della lavoratrice stessa, rientrata in seguito ad un periodo di astensione per maternità. La Suprema Corte, accogliendo il ricorso della lavoratrice, ha ricordato che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è sufficiente “per la legittimità del recesso, che le addotte ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette a una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, causalmente determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa, non essendo la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità in ossequio al disposto dell’art. 41 Cost; ove, però, il giudice accerti in concreto l’inesistenza della ragione organizzativa o produttiva, il licenziamento risulterà ingiustificato per la mancanza di veridicità o la pretestuosità della causale addotta”(Cass.,3 maggio 2017, n. 10699; Cass., 2 maggio 2018, n. 10435; Cass., 4 aprile 2019, n. 9468; SPATARO, Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: la Cassazione delinea i confini della reintegra, 13 luglio 2018, in Altalex). Pertanto, nel caso di specie, la valutazione operata dai giudici di merito circa il nesso di causalità tra esigenze di riorganizzazione del personale, riferibili alla contrazione del fatturato, e il licenziamento della lavoratrice non era coerente con l’assunzione di due lavoratrici avvenuta proprio durante l’anno che aveva presentato il calo dei ricavi. Assunzioni effettuate a pochi mesi dal rientro della dipendente in questione in azienda e che avevano inevitabilmente determinato l’incremento dei costi del personale. A seguito dunque di una breve, ma chiara argomentazione, è derivata la cassazione della sentenza impugnata che, pur in mancanza di prova da parte del datore di lavoro dell’esigenza di fare fronte a sfavorevoli e non contingenti situazioni economiche, aveva ritenuto sufficiente ai fini della legittimità del licenziamento la dimostrazione del minor monte ore svolto dalla lavoratrice rispetto alle colleghe neoassunte. L’essenzialità del nesso causale tra la crisi economica e il licenziamento. La sentenza consente un approfondimento sui criteri indicati dall’art. 3 della legge n. 604 del 1966 che devono sussistere ai fini del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo: a) la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente, senza che sia necessaria la soppressione di tutte le mansioni in precedenza attribuite allo stesso; b) la riferibilità della soppressione a progetti o scelte datoriali – insindacabili dal giudice quanto ai profili di congruità e opportunità, purché effettivi e non simulati – diretti ad incidere sulla struttura e sull’organizzazione dell’impresa, ovvero sui suoi processi produttivi, compresi quelli finalizzati ad una migliore efficienza ovvero ad incremento di redditività; c) l’impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, elemento che, inespresso a livello normativo, trova giustificazione nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore. L’onere probatorio riguardo alla sussistenza di tali presupposti è a carico del datore di lavoro, che può assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili (Cass. n. 24882 del 2018; VIDIRI, Il licenziamento per GMO nella recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, 19 novembre 2018, in LavoroDirittiEuropa Fasc. 2/2018). Il licenziamento, infatti, deve costituire l’extrema ratio a cui il datore di lavoro può ricorrere anche in presenza di motivi inerenti alla produzione, ed è per questo che l’onere incombente sul datore di lavoro deve includere i presupposti legittimanti di cui sopra diretti ad evitare proprio quella estrema ratio in sintonia con l’art. 41 Cost. Sulla scorta di tali principi, gli Ermellini hanno ritenuto l’assunzione di due lavoratrici elemento di rottura del nesso di causalità tra la crisi economica addotta e il licenziamento della dipendente. La valutazione del nesso di causalità tra esigenze di riorganizzazione del personale, scaturite dalla contrazione del fatturato, e il licenziamento non risulta coerente con l’assunzione di nuove lavoratrici.  La Corte di Cassazione ha ritenuto che i giudici del merito non avessero ricercato la verità incorrendo in gravi lacune di indagine in ordine alla coerenza logica ed al nesso di causalità intercorrente tra l’accertato calo di volume di affari e il licenziamento della dipendente a fronte dell’assunzione di due lavoratrici. E ciò avrebbe, secondo la Corte, compromesso la corretta verifica della sussistenza dei requisiti richiesti dall’’art. 3 L. 604/1966 che consento al datore di lavoro di procedere al recesso. Deve dunque essere verificato il nesso causale tra l’accertata ragione inerente l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro come dichiarata dall’imprenditore e l’intimato licenziamento in termini di riferibilità e di coerenza, perché “ove il nesso manchi, anche al fine di individuare il lavoratore colpito dal recesso, si disvela l’uso distorto del potere datoriale, emergendo una dissonanza che smentisce l’effettività della ragione addotta a fondamento del licenziamento” (così Cass., 3 maggio 2017, n. 10699, ZAPPIA, L’essenzialità del nesso causale tra riorganizzazione e soppressione del posto di lavoro, 15 novembre 2021, in Il Giuslavorista). Il descritto controllo sulla veridicità e sulla non pretestuosità della ragione addotta dall’imprenditore, richiede il necessario sforzo dei giudici del merito di calarsi nella concretezza di una realtà economica in continua evoluzione e sulle peculiarità delle singole vicende aziendali. In un caso analogo, ove la Corte di Cassazione ha invece ritenuto che tale vaglio circa la legittimità del recesso datoriale fosse stato svolto in concreto, veniva ribadito l’orientamento ormai consolidato sul punto: “ai fini della legittimità del licenziamento individuale per GMO, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti l’attività produttiva e dell’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette a una migliore efficienza gestionale ovvero a un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa” (Cass., 26 maggio 2022, n. 17173; Cass., 7 dicembre 2016, n. 25201; POSO, La Cassazione supera definitivamente la giurisprudenza sul giustificato motivo oggettivo di licenziamento ispirata alla funzione sociale dell’impresa?,  in Labor, 12 gennaio 2017). Claudia Scalerandi, avvocato in Milano Visualizza il documento: Cass., 12 gennaio 2023, n. 752 Scarica il commento in PDF L'articolo GMO: Valutazione del nesso di causalità tra contrazione del fatturato e licenziamento sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.

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