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rilevanza-delle-assenze-per-permessi-ex-l-104-1992-ai-fini-della-determinazione-del-premio-di-risultato
La sentenza della Corte di Appello di Torino n. 212 del 14 giugno 2022, qui annotata, esamina un caso molto particolare di discriminazione indiretta del lavoratore basata sul fattore della disabilità. In sintesi, alcuni dipendenti lamentavano che, nella determinazione del premio di risultato loro riconosciuto dall’azienda, uno dei cui parametri di calcolo era costituito dai giorni di presenza effettiva in servizio, non fossero stati computati come giorni lavorati quelli coperti da permesso ex art. 33, l. 5 febbraio 1992, n. 104 (fruiti da uno degli appellanti, lavoratore disabile, per sé stesso e dagli altri, invece, per assistere un familiare disabile). Tale esclusione si fondava sulle previsioni dell’accordo sindacale di riferimento il quale, viceversa, considerava come giorni lavorati quelli di assenza per donazione di sangue o fruizione di permesso sindacale. In riforma della sentenza del Tribunale di Torino, la Corte ha riconosciuto il diritto degli appellanti a vedere considerati come giorni lavorati quelli di assenza coperta da permessi ex l. 104/1992, disapplicando la contraria disposizione del contratto collettivo in quanto discriminatoria. La Corte ha infatti richiamato il quadro normativo di cui alla Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000, attuata nell’ordinamento italiano dal d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216, che, agli artt. 2 e 3, definisce come parità di trattamento l’assenza di qualsivoglia discriminazione basata su uno dei fattori di rischio elencati (tra cui gli «handicap») e, quindi, dichiara che il principio si applica a tutti i rapporti di lavoro pubblici e privati, in tutte le loro fasi, ivi comprese «occupazione e condizioni di lavoro […] retribuzione». Confermando un proprio identico precedente (App. Torino, 12 aprile 2021, n. 91), la Corte ha affermato che la norma collettiva che, ai fini del calcolo del premio di risultato, esclude dal numero dei giorni lavorati quelli fruiti come permesso ex l. 104/1992 comporta come effetto una discriminazione (indiretta) dei lavoratori disabili e di coloro che assistono un disabile, ponendoli in una posizione deteriore rispetto ai colleghi che, non avendo alcuna condizione personale collegata ad una situazione di handicap (proprio o di un familiare), non hanno pari necessità di assentarsi dal lavoro. La sentenza della Corte è tra l’altro interessante sia nel momento in cui collega il fattore di rischio discriminatorio “handicap” a qualunque condizione connessa allo stesso, dunque non soltanto quella del disabile ma anche quella del lavoratore normodotato che assista un familiare disabile, sia allorché rileva che, stante il riconoscimento, da parte dell’accordo sindacale di riferimento, come giorni lavorati di quelli coperti da permesso per donazione di sangue o da permesso sindacale, invero nemmeno poteva dirsi che «il PdR [premio di risultato] sia imprescindibilmente connesso allo svolgimento dell’attività lavorativa». Sul tema dell’individuazione dei criteri per la quantificazione del premio di risultato, la precedente giurisprudenza aveva dato ampio spazio all’autonomia delle parti, anche confermando la legittimità (e negando qualunque natura antisindacale) della previsione di non computabilità quale presenza in servizio dei giorni nei quali il lavoratore avesse esercitato il proprio diritto di sciopero, pur costituzionalmente garantito (Cass., 18 marzo 2015, n. 5435). Era stato poi rilevato dai commentatori il rapido adattamento dei criteri di calcolo del premio di risultato alla realtà contingente, con considerazione quale presenza in servizio, in molti accordi degli anni 2020-2021, dei giorni di assenza per contagio da Sars-Covid-19, quarantena o assistenza a soggetti fragili (Neutralizzate le assenze causate dall’epidemia, in Il Sole 24 Ore, Focus Norme e Tributi, 18 febbraio 2021, 2). Infine, una recente sentenza di legittimità ha affermato che rientra a pieno titolo nel regime di decontribuzione il premio di risultato quantificato unicamente con riferimento alle presenze e assenze (pur legittime e giustificate con le dovute causali) del lavoratore, finalizzato chiaramente a contrastare il fenomeno dell’assenteismo (Cass., 16 agosto 2022, n. 24814). La sentenza qui in commento, dunque, in sostanza applica all’istituto del premio di risultato il medesimo principio di provenienza eurounitaria, sempre più diffuso nella giurisprudenza di merito, relativo al periodo di comporto del lavoratore disabile, mutuato ugualmente dall’interpretazione giurisprudenziale della Direttiva 78/2000/CE. Diverse pronunce, negli ultimi anni, hanno infatti affermato che, a prescindere dalle disposizioni collettive di riferimento, equiparare il lavoratore disabile a quello normodotato rispetto al periodo di assenza per malattia superato il quale è possibile il licenziamento ai sensi dell’art. 2110 c.c. costituisce una forma di discriminazione indiretta, posto che rientra necessariamente nella natura della disabilità che colui che ne è affetto patisca uno stato di salute deteriore e sia dunque maggiormente esposto ad episodi che lo costringano ad assentarsi dal lavoro (numerose ormai le pronunce in questo senso: App. Napoli, 17 gennaio 2023, n. 168; Trib. Milano, 2 maggio 2022; Trib. Verona, 21 marzo 2021; Trib. Milano, 24 settembre 2018; Trib. Milano, 6 aprile 2018; contra Trib. Lodi, 12 settembre 2022, n. 19; Trib. Bologna, 19 maggio 2022; App. Torino, 26 ottobre 2021; Bausardo, Il calcolo del comporto per lavoratore invalido, in GLav, 48/2021, 42; Franza, Quando l’effettività genera paradossi. Sull’esclusione dal periodo di comporto della malattia imputabile a disabilità, in LG, 1/2022, 62). Anche le pronunce relative a quest’ultimo tema hanno dunque disapplicato le disposizioni dei contratti collettivi di riferimento (come noto, la materia del comporto è infatti ivi disciplinata, a necessaria integrazione del dettato dell’art. 2110 c.c.) considerandole in contrasto con il principio di non discriminazione di derivazione eurounitaria. A tal riguardo, la sentenza della Corte di Appello di Torino in commento richiama, quale chiave di lettura della sua motivazione, anche l’importante giurisprudenza di legittimità per la quale, nel rapporto di lavoro privato, il lavoratore non può rivendicare un generale diritto alla parità di trattamento rispetto agli altri colleghi, a meno che detta parità di trattamento non si ancori specificamente all’assenza di discriminazione basata sui fattori di rischio elencati nelle norme di riferimento (art. 2, d.lgs. 216/2003) (Cass., 17 maggio 2003, n. 7752; Cass., 4 luglio 2018, n. 17421). Nel caso di specie, dunque, correttamente la Corte di Appello di Torino ha affermato che gli appellanti non stavano genericamente lamentando di aver subìto un trattamento retributivo deteriore rispetto ad altri colleghi (ad esempio quelli le cui assenze per donazione di sangue o permessi sindacali erano state riconosciute come giorni lavorati nel calcolo del premio di risultato), cosa in sé non censurabile, ma stavano patendo una discriminazione fondata sulla loro condizione di disabili o assistenti di familiare disabile, tale da porli nella posizione di dover necessariamente utilizzare giorni di assenza (i permessi ex art. 33, l. 104/1992) che gli altri lavoratori (non disabili né assistenti di familiare disabile) non avrebbero invece cumulato. Sabrina Grivet Fetà, avvocatessa specialista in Reggio Emilia e dottoressa di ricerca nell’Università di Modena e Reggio Emilia Visualizza il documento: App. Torino, 14 giugno 2022, n. 212 Scarica il commento in PDF L'articolo Rilevanza delle assenze per permessi ex l. 104/1992 ai fini della determinazione del premio di risultato sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.

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