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Con la sentenza 1° dicembre 2022, n. 3542, qui annotata, la Corte di Cassazione si pronuncia – per quanto consta per la prima volta – sull’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 2103 c.c. in favore dei dipendenti di società a controllo pubblico. La questione riguardava un dipendente che aveva convenuto in giudizio una società in house, interamente partecipata dalla Regione e da Aziende Sanitarie Provinciali, richiedendo l’accertamento del diritto al superiore inquadramento per lo svolgimento prolungato di mansioni superiori; il Giudice di primo grado, accertato lo svolgimento di mansioni riconducibili ad un livello superiore rispetto a quello posseduto, aveva condannato la società al pagamento delle differenze retributive, escludendo, tuttavia, il diritto al definitivo inquadramento nella qualifica superiore. Tale statuizione veniva confermata dalla Corte di Appello, che, confermava l’inapplicabilità, nella fattispecie, dell’art. 2103 c.c. Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il dipendente, censurando il decisum della Corte territoriale per violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., dell’art. 18, commi 1, 2 e 2 bis, del d.l. n. 112/2008, convertito nella legge n. 133/2008 e degli artt. 35, comma 3, e 52 del d.lgs. n. 165/2001. In particolare, la difesa del ricorrente evidenziava che la partecipazione totalitaria della società non era idonea a mutarne la natura giuridica, che restava privatistica, con conseguente applicazione nei confronti del personale della disciplina dettata dal codice civile e dalle altre leggi speciali applicabili all’impiego privato, ivi incluso l’art. 2103 c.c., dovendosi viceversa escludere, nella fattispecie, l’applicazione della disciplina di cui all’art. 52 del decreto legislativo n. 165/2001, applicabile in favore dei dipendenti pubblici contrattualizzati. Sulla questione relativa all’applicazione dell’art. 2103 c.c. in favore dei dipendenti delle società a controllo pubblico, anche prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 175/2016 – che ha chiaramente effettuato una scelta regolativa in chiave dichiaratamente privatistica, disponendo che, salvo quanto previsto nel decreto, si applicano ai dipendenti della società a controllo pubblico le disposizioni in materia di impiego privato (art. 19, comma 1) – si è sviluppato un ampio dibattito sia in dottrina che nella giurisprudenza di merito, per la gran parte approdato ad escluderla, sul presupposto che l’accesso ad una qualifica superiore presupponga comunque una procedura selettiva, con conseguente esclusione di qualsivoglia automatismo nell’acquisizione della qualifica superiore nell’ipotesi di svolgimento in via continuativa di mansioni superiori, espletate non per ragioni sostitutive di altro dipendente in servizio, oltre il periodo fissato dai contratti collettivi ovvero, ed in mancanza, dopo sei mesi continuativi (cfr. in dottrina, sull’applicabilità dell’art. 2103 c.c. MARESCA, Il lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico, in FEDERALISMI.IT, settembre 2018; contra, CIMMINIELLO, Il reclutamento del personale e le progressioni verticali nelle società a controllo pubblico, in LPA, 2021, 359 e ss.). L’opzione seguita in via maggioritaria dai Giudici di merito, sicuramente opinabile, in ragione della natura pubblica della parte datoriale, impropriamente equipara i dipendenti delle società a controllo pubblico ai dipendenti pubblici contrattualizzati, ritenendosi che l’accesso alla qualifica superiore per i dipendenti delle società a controllo pubblico possa equipararsi alle progressioni verticali dei dipendenti pubblici, donde la ritenuta inapplicabilità dell’art. 2103 c.c. (App. Catania, 31.07.2019; Trib. Brindisi, ord. n. 2584 e 2585/2020; Trib. Napoli, 14 febbraio 2019, n. 1085; contra Trib. Taranto, 15 luglio 2020, n. 1323, che viceversa ritiene speciali e non applicabili estensivamente le norme in tema di reclutamento). La Corte, nella sentenza in commento, preso atto dei diversi orientamenti sulla questione espressi sia dalla giurisprudenza di merito che dalla dottrina, e partendo dal presupposto che la natura pubblica della parte datoriale non muta la natura di soggetto privato della società – che pertanto resta assoggettata al regime giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato, salve specifiche disposizioni di segno contrario o ragioni ostative di sistema che portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale impiegato e del soggetto che possiede le azioni della persona giuridica (Cass., sez. un., n. 29078/2019, Cass., sez. un., n. 21299/2017, Cass., sez. un., n. 7759/2017; Cass., sez. un., n. 26591/2016) – finalmente sgombra il campo dalla “tentazione” di assimilare i dipendenti delle società a controllo pubblico ai dipendenti pubblici contrattualizzati, ostandovi il diverso quadro regolativo di riferimento. Ai dipendenti delle società a controllo pubblico si applica quindi l’art. 2103 c.c. e non già l’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001. Nella sentenza in commento si evidenzia che sia l’art. 18 del d.l. n. 112/2008, applicabile al caso scrutinato, che il successivo art. 19 del d.lgs. n. 175/2016 prevedono che il reclutamento del personale avvenga mediante procedura selettiva o paraconcorsuale: ragione per la quale si è escluso il divieto di conversione dei rapporti di lavoro flessibili instaurati in assenza di procedure ad evidenza pubblica (Cass., n. 3621/2018; Cass., n. 4571/2022), anche nelle ipotesi antecedenti all’entrata in vigore del d.lgs. n. 175/2016 – che espressamente ha previsto la nullità dei contratti di lavoro stipulati in assenza delle procedure previste ex lege – cui la Corte ha attribuito portata non innovativa, essendosi limitato a rendere esplicita una conseguenza già desumibile dai principi in tema di nullità virtuali (Cass., 27 gennaio 2022, n. 2538; Cass., 7 dicembre 2019, n. 3662; Cass., 14 febbraio 2018, n. 3621). Su detto percorso argomentativo non può tuttavia, secondo la Corte, farsi leva per estendere ai rapporti di lavoro validamente instaurati con una società a controllo pubblico la nullità dell’assegnazione di fatto a mansioni superiori, viceversa sancita in tutte le versioni succedutesi nel tempo, dall’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 con riferimento ai dipendenti pubblici contrattualizzati, per la semplice ragione che la disciplina che regola il rapporto dei dipendenti della società a controllo pubblico non contiene una disposizione che deroghi all’art. 2103 c.c., come viceversa avviene per i dipendenti pubblici contrattualizzati, né tale impedimento può essere ricavato dalle disposizioni normative in tema di reclutamento ovvero che onerano gli amministratori delle società controllate di perseguire nella gestione del personale politiche di contenimento dei costi. Sulla scorta di tali premesse, la Corte ha escluso che le norme in tema di reclutamento nelle società a controllo pubblico possano essere interpretate nel senso di ricomprendere anche le progressioni di carriera. Nell’impiego privato, afferma la Corte, il mutamento delle mansioni e della qualifica non comporta novazione oggettiva del rapporto di lavoro fra i medesimi soggetti, giacché l’art. 2103 c.c. in tutte le versioni succedutesi nel tempo, considera il mutamento delle mansioni originarie come semplice modificazione dell’oggetto dello stesso rapporto, anche nell’ipotesi in cui l’attribuzione di una diversa qualifica comporti l’applicazione di una diversa normativa collettiva o il passaggio ad altra categoria. In conclusione, la Corte, in accoglimento del ricorso, ha correttamente affermato il principio di diritto secondo cui il rapporto di lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico non è disciplinato dal d.lgs. n. 165 del 2001, bensì dalle norme del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro alle dipendenze di privati, che trovano applicazione in assenza di una disciplina speciale derogatoria.  Conseguentemente le disposizioni sia nazionali che regionali che fanno divieto alle società a totale o maggioritaria partecipazione pubblica di procedere all’assunzione di nuovo personale non comportano una deroga all’applicazione, quanto alla disciplina delle mansioni, dell’art. 2103 c.c. Francesca Chietera, avvocato in Matera Visualizza il documento: Cass., 1° dicembre 2022, n. 35421 Scarica il commento in PDF L'articolo Mansioni superiori e società a controllo pubblico: pubblico e privato pari non sono sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.

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