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ladri-di-merendine-falsificazione-di-un-documento-aziendale-legittimita-del-licenziamento
Nel caso in esame il dipendente di un’azienda in qualità di responsabile di servizi generali ha gestito il reparto sicurezza, svolgendo nello specifico attività di preservazione del patrimonio aziendale attraverso la gestione delle attività di antitaccheggio e presentazione di denunce per conto dell’azienda, si è occupato della sorveglianza dei caveaux aziendali e degli impianti di allarme interni e perimetrali. Nella giornata del 06.07.22 lo stesso era stato allertato dal collega di un fatto accaduto durante la notte, riportato nel verbale interno redatto dalla guardia giurata; nello specifico il report riportava la dicitura “alle h. 02.51 del 5.07.22 sembra che due dipendenti prendano merce dai vassoi consumando sul posto”. Il termine “sembra” secondo quanto riportato dalla descrizione attorea avrebbe evidenziato un evento privo di qualsivoglia certezza che avrebbe indotto il dipendente ad acconsentire alla soluzione proposta dal collega che lo aveva informato dell’accaduto, ovvero quello di cancellare l’intero rilievo dal verbale al fine di evitare il rischio di diffamazione di terzi per il datore di lavoro. In altre parole, il dipendente ha alterato il report aziendale che denunciava la sottrazione di un bene. L’oggetto del prelievo era una focaccina che presumibilmente sarebbe stata successivamente cestinata. In data 09.08.22 il dipendente, reo di aver falsificato il verbale aziendale è stato convocato dal direttore che appreso dell’accaduto, lo avrebbe ammonito verbalmente. Senonché successivamente è seguita la lettera di contestazione ed il licenziamento del lavoratore. Quest’ultimo si è difeso impugnando il licenziamento e sostenendo in particolare l’insussistenza del fatto contestato in quanto avrebbe adempiuto ai propri doveri; ha poi evidenziato la tenuità del fatto, concretandosi l’illecito nel prelievo di una focaccina. Ha inoltre evidenziato la violazione del ne bis in idem nell’ambito del procedimento disciplinare, essendo illegittimamente seguita all’ammonizione verbale la sanzione del licenziamento. L’azienda si è difesa, deducendo che il ricorrente avrebbe ammesso i fatti contestati e ritenendo legittimo il recesso per l’inevitabile venir meno della fiducia in seguito alla alterazione di un verbale della guardia giurata. Con ordinanza ex art. 1 co. 47 e ss. della L. 92/12 del Trib. di Milano dell’11.01.23, che a quanto consta, non è stata opposta ed anzi la causa risulta essere stata conciliata, il giudice ha statuito che “il fatto materiale  quale illecito oggetto del procedimento disciplinare, ossia la falsificazione di un report resta, nei suoi elementi essenziali […]mentre il ruolo preciso del ricorrente nell’ambito di tale operazione costituisce semplicemente una modalità di sua possibile realizzazione che non viene a variare la contestazione ex art. 7 SL. […] Ha osservato il giudice che si tratta di un evidente atto illecito dal lato oggettivo, non potendosi ritenere conforme in alcun modo, agli obblighi di fedeltà e diligenza ex art. 2104 e 2105 cc posto che il risultato conclusivo di tale operazione è stato quello di rendere non più accessibile al datore di lavoro un report destinato allo stesso e che denunciava un prelievo illegittimo di beni aziendali. Anche dal lato oggettivo resta comunque connotato almeno da una colpa grave visto che non si può che reputare come qualificato da una significativa imprudenza e negligenza il comportamento di chi, nella posizione, peraltro di responsabile della sicurezza del patrimonio aziendale, di fronte a un problema collegato a un uso ritenuto improprio delle parole da parte di una guardia giurata nel redigere il verbale di denuncia, provveda a manipolare il medesimo […]. Sulla base delle indicate motivazioni il giudice di prima istanza, sia pure con un’analisi di tipo sommario dato dal rito,  ha ritenuto che fosse stato legittimo il licenziamento contestando proprio il modus operandi del dipendente che “piuttosto che consentire che si ponesse in essere una manipolazione del verbale avrebbe dovuto rappresentare ogni propria perplessità sia rispetto alle locuzioni utilizzate da […] sia eventualmente circa l’entità lieve della sottrazione che avrebbero posto in essere i dipendenti della […] al proprio superiore al quale poi lasciare ogni giudizio, non potendosi, invece, ritenere giustificata la alterazione del verbale neppure per un eventuale intento di evitare una diffamazione di terzi, poiché si tratterebbe comunque di una scelta abnorme rispetto al risultato prefissato dal suo autore […]. Qualora, inoltre, avesse ritenuto di avere una discrezionalità e un’autonomia tale da non dover compiere neppure la trasmissione degli atti al direttore del punto vendita in ragione della lieve entità del fatto, ugualmente non avrebbe dovuto consentire la trasformazione del report in questione, che piuttosto avrebbe dovuto restare integro, essendo la base su cui questi stesso aveva, anche in tali ipotesi, poggiato la propria valutazione di non trasferimento della prativa al proprio superiore e non un atto da nascondere  o modificare alterandolo […].  Sull’eccezione avanzata dal ricorrente di violazione del principio del ne bis in idem in materia disciplinare, il giudice l’ha rigettata attestando che nell’incontro avvenuto il 09.08.22 tra il dipendente ed il direttore vi sono stati chiarimenti sull’accaduto rientranti pienamente nella verifiche preventive del datore di lavoro prima dell’apertura del procedimento disciplinare e il rimprovero verbale effettuato dal datore non è in alcun modo qualificabile come provvedimento disciplinare ma semplicemente come una normale dialettica tra un superiore ed un lavoratore subordinato Le argomentazioni fornite dal giudice nell’ordinanza in commento sembrano del tutto condivisibili in quanto nel caso di specie non rileva la tenuità del furto in sé quanto piuttosto la condotta posta in essere da colui che era addetto alla sicurezza. Sul tema la Corte di Cassazione, con sentenza n. 24014 del 12.10.2017, la giusta causa del licenziamento che riguardi una contestazione avente ad oggetto l’asportazione di beni aziendali presuppone una verifica di legittimità che va operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura ed alla utilità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo. In particolare, quanto alla gravità del comportamento, nel caso di specie, da valutarsi non in riferimento alla tenuità del danno patrimoniale quanto in relazione all’eventuale tenuità del fatto oggettivo, rispetto ad un giudizio circa futuri comportamenti del lavoratore, e quindi della fiducia che nello stesso può nutrire l’azienda, laddove la condotta del lavoratore sia idonea a porre in dubbio la futura correttezza del suo adempimento. Nell’ultimo decennio, il legislatore ha più volte modificato il quadro normativo che presidia ipotesi e limiti delle conseguenze sanzionatorie del licenziamento. Pertanto, spesso risulta complesso per le imprese comprendere se la scelta di interrompere un rapporto di lavoro sia conforme ai precetti giuridici in materia. Eppure, la recente giurisprudenza di legittimità ha tentato di sistematizzare alcuni principi che possono rivelarsi come utili indicatori per gestire in modo adeguato una procedura di licenziamento. In particolare, con l’ordinanza n. 35581 emessa il 19 novembre 2021, la Corte di Cassazione ha osservato che in materia di licenziamento disciplinare, ai fini della valutazione circa la legittimità del recesso, non occorre valutare l’addebito disciplinare in astratto ma guardare ad alcuni aspetti concreti quali: a) le condotte rilevanti sul piano disciplinare tipizzate dalla contrattazione collettiva; b) l’intensità dell’elemento intenzionale; c) il grado di affidamento richiesto dalle mansioni; d) le precedenti modalità di attuazione del rapporto; e) la durata del contratto; f) l’assenza di sanzioni pregresse; g) la natura e la tipologia del rapporto medesimo. A tale riguardo, la Cassazione, in diverse pronunce, è giunta ad affermare che “la giusta causa è una nozione di contenuto generico che deve essere specificata in sede interpretativa ed adeguata alla realtà, articolata e mutevole nel tempo” (Cass. n. 12414/2002), e che “l’art. 2119 c.c., nel rinviare ad una nozione etico-sociale di giusta causa, costituisce una norma elastica, alla pari di quelle norme che fanno riferimento alla nozione di buona fede o di buon costume; in tutti questi casi l’interprete, ed in particolare il giudice del merito, nell’esprimere il giudizio di valore necessario per integrare una norma elastica (che, per la sua stessa struttura, si limita ad esprimere un parametro generale) compie un’attività di interpretazione giuridica e non meramente fattuale della norma stessa, dando concretezza a quella parte mobile (elastica) della stessa, introdotta per consentire alla norma stessa di adeguarsi ai mutamenti del contesto storico-sociale” (Cass. n. 19294/2008). Questa operazione esegetica è compiuta dal giudice di merito ed è sindacabile dal giudice di legittimità (cioè la Corte di Cassazione), a patto che ci sia una specifica denuncia di non coerenza del giudizio rispetto agli “standards” conformi ai valori dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale. Ciò significa che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non deve limitarsi ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma deve contenere, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori. Sul punto cfr. La specificità nella contestazione disciplinare tra essenzialità, comprensibilità e certezza di Filippo Capurro pubblicato in Labor, 9 dicembre 2022; si veda inoltre Il “fatto materiale”: una riflessione interpretativa, di  Riccardo Del Punta,  pubblicato in Labor,   2016, fasc. 5/6, pp. 343 e ss. Claudia Grassi, avvocato in Roma Visualizza il documento: Trib. Milano, ordinanza 11 gennaio 2023 Scarica il commento in PDF L'articolo “Ladri di merendine”. Falsificazione di un documento aziendale. Legittimità del licenziamento. sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.

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