Con la sentenza in commento (11 maggio 2023, n.92) viene sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale la L. Regione Sicilia 25 maggio 2022, n. 13 (Legge di stabilità regionale 2022-2024), su impulso della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per una serie di questioni che lambiscono – sotto diversi profili – la disciplina relativa ai rapporti di pubblico impiego privatizzato.
In particolare, con il primo motivo di ricorso, si impugna l’art. 13, co. 6, con il quale il legislatore siciliano consente alla società partecipata in via totalitaria dalla Regione (la Irfis FinSicilia spa), l’erogazione ai dipendenti regionali in quiescenza dell’anticipo di una quota del trattamento di fine servizio.
Con il secondo motivo del ricorso, invece, è denunciato l’art. 13, co. 21, che autorizza i comuni ad avviare «procedure di reclutamento» per l’assunzione a tempo indeterminato degli assistenti sociali, nell’ambito delle quali sia possibile valorizzare, «con apposito punteggio», anche l’«esperienza professionale maturata con contratto a tempo determinato ovvero con co.co.co. ovvero con contratto di collaborazione autonoma libero professionale ovvero con altre forme contrattuali di lavoro flessibile nella pubblica amministrazione».
In entrambi i casi, il ricorrente asserisce la violazione dell’art. 117, co. 2, lettera l), Cost., per lesione delle competenze legislative statali in materia di ordinamento civile. Inoltre, con riguardo al secondo motivo, viene altresì stigmatizzata la violazione dell’art. 81, co. 3, Cost., per assenza di un’adeguata copertura finanziaria, non avendo la Regione né quantificato l’onere finanziario di tali assunzioni, né indicato i mezzi per farvi fronte.
L’ultimo motivo di ricorso, per quanto qui di interesse, attiene all’art. 13 co. 68 della medesima legge, che ha previsto l’assunzione a tempo determinato di trecento dirigenti, corrispondente a più del trenta per cento della complessiva dotazione organica della dirigenza regionale, in luogo della precedente previsione (di un solo anno prima) con la quale, invece, il legislatore siciliano aveva previsto l’assunzione di trecento unità di personale non dirigenziale a formazione giuridico-economica. Ad avviso del ricorrente la norma sarebbe foriera di una serie di violazioni della Costituzione; si richiamano qui, in particolare, perché poi posti al centro dell’analisi svolta da parte del giudicante, gli art. 97 (principio del buon andamento) e 81, co. 3 Cost. (necessaria copertura finanziaria).
Orbene, nella sua pronuncia, la Consulta ribadisce,
in primis, come la disciplina del lavoro alle dipendenze della P.A. preveda che il trattamento di fine servizio debba essere erogato secondo modalità frazionate e, soprattutto, sulla base di tempistiche posticipate rispetto al momento del collocamento a riposo o alla data di maturazione del diritto all’ottenimento del trattamento economico; sarebbe questa una delle particolarità che differenziano il trattamento di fine servizio (TFS) dal trattamento di fine rapporto (TFR), il quale viene erogato entro poche settimane dalla data di pensionamento e in un’unica soluzione, nonostante i tentativi di “omogeneizzazione” continua tra la disciplina del lavoro pubblico privatizzato e il lavoro alle dipendenze private, così come già auspicato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 17 aprile 2019, n. 159.
Ora, proprio al fine di “stemperare” alcuni evidenti disallineamenti tra dette discipline, con specifico riferimento ai tempi e alle modalità di erogazione del
quantum maturato dal lavoratore al termine del rapporto di impiego, l’art. 23 del d.l. n. 4 del 2019, ha previsto, per tutti i dipendenti pubblici che cessano o sono cessati dal servizio per collocamento a riposo, la possibilità di ottenere, a condizioni economiche vantaggiose, l’immediata anticipazione di una quota del TFS. Più nello specifico, si tratta di un finanziamento a tasso fisso, stipulato sotto forma di prestito personale e «garantito dalla cessione pro solvendo, automatica e nel limite dell’importo finanziato, senza alcuna formalità, dei crediti derivanti dal trattamento di fine servizio maturato […]» (art. 23, comma 2). Inoltre, il finanziamento è assistito dall’operatività della garanzia di un fondo statale che copre l’ottanta per cento dell’importo finanziato (per approfondimenti sul tema si rinvia a DIRONZA,
Trattamenti di fine servizio e TFR nel pubblico impiego: un percorso difficile tra armonizzazione e privatizzazione, in questa stessa Rivista, 27 gennaio 2023).
In tale contesto, la norma introdotta dalla Regione Sicilia, secondo il Giudice delle Leggi, assume carattere derogatorio e confini non ben definiti – dunque invasiva della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile – in quanto la prefata società partecipata sarebbe ammessa
ope legis tra i soggetti che possono applicare la disciplina statale, senza tuttavia sottostare alle regole procedurali e sostanziali che la disciplina medesima ha previsto a garanzia dei dipendenti pubblici in quiescenza che richiedono l’erogazione; regole poste dal legislatore nazionale a presidio della posizione giuridico-soggettiva del lavoratore, al fine di garantirgli una maggiore tutela (basti qui ricordare come, successivamente all’emanazione della norma, sia stato sottoscritto, da parte dei Ministri interessati nonché dall’Associazione bancaria italiana, l’Accordo Quadro per il finanziamento verso l’anticipo della liquidazione dell’indennità di fine servizio comunque denominata, secondo quanto previsto dall’articolo 23, comma 2, del citato decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4). In pratica, ciò che viene stigmatizzato dalla Consulta è il fatto che, ai finanziamenti erogati da Irfis FinSicilia spa, non potrebbe applicarsi la disciplina di cui al citato Accordo Quadro.
Diversi, invece, gli esiti del decidere con riguardo alla seconda censura: la volontà di valorizzare la professionalità acquisita dai professionisti che vogliano accedere nei ruoli degli assistenti sociali, non appare in contrasto con la materia dell’ordinamento civile di cui all’art. 117, co. 2, lettera l), Cost., in quanto non incidente su rapporti lavorativi già in essere o su profili attinenti alla regolazione giuridica ed economica del rapporto di lavoro dei dipendenti degli enti locali, ma bensì innestandosi nel momento costitutivo del rapporto di lavoro.
La Corte, al fine di individuare il confine tra invasione o non invasione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile, distingue tra rapporti di lavoro non ancora posti in essere e rapporti di lavoro già esistenti, ritenendo ammissibile la valorizzazione dell’esperienza maturata allorquando l’Amministrazione stia indicando a se stessa la via da seguire per l’individuazione dei profili da preferire nella individuazione dei candidati idonei a rivestire il ruolo messo a bando. Le procedure di reclutamento, d’altronde, esulano dalla competenza esclusiva statale. Diverso, invece, sarebbe stato il caso in cui la disposizione regionale fosse intervenuta su rapporti di lavoro a tempo determinato già in essere, incidendo – ad esempio – sul profilo della durata, trasformandoli in nuovi rapporti a tempo indeterminato; in quel caso, la norma sarebbe stata per certo ricondotta nell’ambito materiale dell’ordinamento civile, con conseguente violazione del riparto di competenza (in questo senso v. C. Cost., 22 settembre 2021, n. 195; invece, per ulteriori approfondimenti si rinvia a PIERONI, BELLOCCI,
Il riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni nella giurisprudenza costituzionale in tema di costituzione del rapporto di lavoro pubblico, reclutamento e scelta delle relative modalità, disponibile su www.cortecostituzionale.it. Invece con riguardo alla legittimità della scelta di valorizzare le esperienze pregresse nella valutazione dei titoli per i posti messi a bando cfr. Cass., 19 ottobre 2015, n. 21057). Per altro profilo, la Corte ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale della disposizione regionale impugnata in riferimento all’art. 81, co. 3, Cost., per carente ricostruzione del quadro normativo statale, posto che «il ricorrente non si è confrontato con l’articolata disciplina statale volta a regolare il meccanismo di finanziamento, a carico dello Stato, delle assunzioni di assistenti sociali a tempo indeterminato da parte dei comuni».
Con riguardo, infine, alla disposizione che ha previsto l’assunzione di un contingente di personale dirigenziale in luogo di quello non dirigenziale, la stessa è stata giudicata in contrasto con l’art. 97 co. 2 Cost., venendo in rilievo il principio di buon andamento dell’agire amministrativo, in quanto non sarebbero state esplicitate le esigenze funzionali che avrebbero condotto la Regione a rivedere le proprie esigenze, sì da acquisire personale “dirigenziale”, peraltro a tempo determinato, in luogo di quello “non dirigenziale” inizialmente previsto. È appena il caso di osservare, infatti, come il principio del buon andamento (il cosiddetto “cardine della vita amministrativa” secondo l’insegnamento della Corte Costituzionale, 7 marzo 1962, n. 14), imponga all’Amministrazione il dovere di operare scelte in grado di rispondere positivamente ai criteri di efficacia, efficienza ed economicità dell’
agere publicum, sì da consentire all’interprete la comprensione dell’iter logico-argomentativo che ha condotto la P.A. a modificare i propri intenti. Detto principio ha, dunque, ad oggetto sia l’organizzazione che l’attività amministrativa e presenta forti connessioni con il principio di buona amministrazione, tanto da essere considerato anch’esso un principio a “geometria variabile” (in questo senso cfr. D’ALTERIO,
Diritto Amministrativo, Wolters Kluwer, 2021, 36). In assenza, pertanto, di una solida rete argomentativa, una modifica nella programmazione delle assunzioni che incida non già sul mero dato numerico dei posti messi a concorso, ma sulla qualità e sul profilo individuato, non avrebbe potuto resistere alla scure del Giudice delle leggi.
Maria Rosaria Calamita, dottore di ricerca in scienze giuridiche e funzionario Unità Affari Legali CNR
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C. cost., 11 maggio 2023, n. 92
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La Corte Costituzionale si pronuncia sulla legittimità della Legge di stabilità della Regione Sicilia 2022-2024 sembra essere il primo su
Rivista Labor - Pacini Giuridica.