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La Corte di Cassazione nella sentenza de qua ( 22 novembre 2023, n. 32412),  ha sancito che la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 80-bis, aggiunto al d.l. 19 maggio 2020 n. 34, dalla legge 17 luglio 2020 n. 177, riguardante la somministrazione irregolare, è applicabile, per identità di ratio e di tutela, anche alle ipotesi  di appalto non genuino, per quanto riguarda il licenziamento intimato dal datore di lavoro formale. A nulla rileverebbe la mancanza, allo stato, del rinvio normativo diretto, in passato esistente, nella vigenza dell’art. 27 del D.Lgs. n. 276/2003, rappresentando un criterio esegetico di natura generale e di principio, posto a protezione dei lavoratori coinvolti in fenomeni interpositori irregolari o simulati mediante contratti di somministrazione di lavoro o di appalto di servizi non genuini (ossia di non coincidenza tra datore di lavoro formale e sostanziale), in forza, oltre che di ragioni sistematiche, della sovrapponibilità dei testi normativi di cui all’art. 27 comma, D.Lgs. n. 276/2003 (cui l’art. 29, comma 3-bis, D. Lgs. n. 276/2003 rinviava, poi abrogato) e 38, comma 3, d.lgs. n. 81/2015. In particolare, in tema di interposizione di manodopera, affinché possa configurarsi un genuino appalto (ai sensi dell’art. 29, co. 1, D.Lgs. n. 276/2003), è necessario verificare che all’appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso un’effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti (c.d. “eterodirezione”), impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d’impresa. Deve, invece, ravvisarsi un’interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo o organizzativo sia interamente affidato al (formale) committente, restando irrilevante che manchi, in capo a quest’ultimo, l’intuitus personae nella scelta del personale, atteso che, nelle ipotesi di somministrazione irregolare, è frequente che l’elemento fiduciario caratterizzi l’intermediario, il quale seleziona i lavoratori per poi metterli a disposizione del reale datore di lavoro (Mazzotta, Rapporti interpositori e contratto di lavoro, Giuffrè, 1979) Inoltre, si è ribadito che, nel caso di accertato appalto non genuino, trova applicazione l’art. 27, co. 2, secondo periodo, D.Lgs. n. 276/2003 in tema di somministrazione irregolare (ratione temporis applicabile ai fatti di causa e ora abrogato dall’art. 55, co. 1, lett. d), D.Lgs. n. 81/2015 e confluito nell’attuale art. 38, co. 3, secondo periodo, del medesimo D.Lgs.), ai sensi del quale tutti gli atti compiuti dallo pseudo-appaltatore per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale l’appalto illecito ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione. Tra tali atti non rientrano però gli atti estintivi (tra cui il licenziamento), sicché, in caso di licenziamento operato dallo pseudo-appaltatore, l’utilizzatore effettivo non può giovarsi del recesso intimato dallo pseudo-appaltatore in danno del lavoratore. Pertanto, il licenziamento intimato dallo pseudo-appaltatore deve considerarsi giuridicamente “inesistente” e determina la riammissione in servizio del lavoratore nella compagine aziendale dell’utilizzatore, quale datore di lavoro effettivo (Biagi, Cooperative e rapporti di lavoro, Franco Angeli, 1983; Carnelutti, Contratto di lavoro subordinato altrui, in RDC, 1961, I, 503 ss.). In particolare, la dipendente agiva per far accertare, ai sensi dell’art. 29, d.lgs. n. 276 del 2003, l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della società datrice di lavoro, a far data dal 10.7.2002, con inquadramento nel 1° livello parametro 159 c.c.n.l. Logistica, trasporto, merci e spedizione, previa dichiarazione di inefficacia del licenziamento intimatole il dalla formale società datrice di lavoro e con condanna alla riammissione in servizio, al pagamento delle retribuzioni maturate e al versamento dei relativi contributi. Il Tribunale ha accolto il ricorso e dichiarato l’esistenza del rapporto di  lavoro della lavoratrice alle dipendenze della società, con inquadramento; ha condannato, inoltre, la società alla riammissione in servizio della dipendente e al pagamento in suo favore delle retribuzioni e della contribuzione previdenziale e assistenziale; inoltre, ha dichiarato inefficace il licenziamento intimato alla predetta in quanto non riferibile alla effettiva datrice di lavoro. La Corte territoriale ha respinto l’appello principale della (omissis)e, in accoglimento dell’appello incidentale della lavoratrice, ha riconosciuto l’inquadramento della stessa nel 1° livello parametro 159 del c.c.n.l. Logistica. In particolare, i giudici hanno accertato come la stessa dipendente nell’espletamento della sua attività lavorativa fosse diretta e controllata dai dipendenti di altra società i quali agivano come suoi superiori gerarchici; si è rilevato, altresì che le direttive impartite e il controllo effettuato dai dipendenti della predetta società sul lavoro non riguardavano l’esito del servizio, né tale attività si espletava mediante controlli a campione per verificare la qualità del servizio reso, ma si sostanziava in un’attività espressione del potere organizzativo e direttivo nei confronti della lavoratrice utilizzata nell’appalto. La società menzionata ha agito per Cassazione. Il procedimento in esame pone, tra l’altro, questioni che involgono i rapporti tra l’azione verso l’utilizzatore ai sensi dell’art. 29, d.lgs. n. 276 del 2003 e l’impugnazione del licenziamento intimato dal datore di lavoro formale; che rispetto a tali questioni (su cui v. Cass. 17969 del 2016 e n. 6668 del 2019) può avere rilievo sia l’abrogazione, ad opera del d.lgs. 81/2015, dell’art. 27 del d.lgs. 276/2003, a cui rinvia l’art. 29 cit., e sia la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 80 bis, aggiunto al d.l. 19 maggio 2020 n. 34, dalla legge di conversione 17 luglio 2020 n. 177 (Ratti, Autonomia collettiva e tutela dell’occupazione, Cedam, 2018; Pantano, Le clausole sociali nell’ordinamento giuridico italiano, Pacini, 2020). La Suprema Corte rileva che, a fronte del recesso del formale datore di lavoro era interesse della lavoratrice salvaguardare la permanenza del rapporto di lavoro e la retribuzione facendo valere l’invalidità del recesso intimato dall’apparente datore di lavoro. Tuttavia, ciò non significa rinunciare all’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro simulato nei confronti di quella che si ritiene essere l’effettiva datrice di lavoro interponente, come nel caso di specie. Pertanto, non sussiste preclusione tra la possibilità di agire in giudizio per l’accertamento della sussistenza di un’interposizione fittizia, in quanto le vicende   relative   al   rapporto   di   lavoro   formalmente in essere non incidono sul rapporto di lavoro dissimulato intercorrente con diverso datore di lavoro. Inoltre, sulla questione del licenziamento intimato dal datore di lavoro formale e dei suoi effetti rispetto all’accertamento del rapporto di lavoro sostanziale (nella specie per effetto di appalto di servizi non genuino), la Corte di Cassazione ha aderito ad un recente filone ermeneutico (Cass. n. 10694/2023) per il quale, in tema di somministrazione irregolare, tutti gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o gestione del rapporto si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione. In altri termini, il disposto di cui all’art. 80 bis del d.l. n. 34 del 2020, conv., con modif., dalla l. n. 77 del 2020 – ove è previsto che il secondo periodo del comma 3 dell’art. 38 del d.lgs. n. 81 del 2015, ai sensi del quale si interpreta nel senso che tra gli atti di costituzione e di gestione del rapporto di lavoro non è compreso il licenziamento – deve qualificarsi come norma di interpretazione autentica, in quanto, chiarendo la portata della norma interpretata, intervenendo, con effetti retroattivi, su quei profili applicativi che avevano dato luogo ad incertezze prescrive una regola di giudizio destinata ad operare in termini generali per le controversie già avviate come per quelle future. Tale principio è applicabile alla fattispecie concreta, per il parallelismo delle tutele dei lavoratori contro fenomeni interpositori irregolari o simulati mediante contratti di somministrazione di lavoro o di appalto di servizi. In tale contesto normativo ed interpretativo, la norma di cui all’art. 80-bis D.L. n. 34/2020 cit. deve qualificarsi effettivamente come norma di interpretazione autentica, della quale possiede i requisiti essenziali, riscrivendo una regola di giudizio che, lungi dal determinare l’esito di specifiche ed individuate controversie, è destinata ad operare in termini generali per le controversie già avviate come per quelle future, rispetto alle quali assume anche un evidente scopo preventivo. La norma manifesta espressamente l’intento di precisare e chiarire la portata della norma interpretata e si limita ad intervenire, con effetti retroattivi, soltanto su quei suoi profili applicativi che avevano dato luogo ad incertezze. Inoltre, il suo contenuto normativo corrisponde ad uno dei possibili significati da ascrivere alla norma interpretata: a fronte della portata ampia del sintagma “atti di gestione”, il legislatore del 2020 ha optato per una interpretazione chiarificatrice, mediante l’esclusione dalla nozione di atto “di gestione” del rapporto di quella di recesso dal rapporto. Inoltre, nell’ottica della Corte Europea dei Diritti Umani, la legge interpretativa può risultare non conforme alla Convenzione europea dei Diritti Umani ove venga utilizzata dallo Stato quale strumento d’intromissione nel corretto svolgimento dell’amministrazione della giustizia, in violazione quindi dell’art. 6, par. 1, CEDU, dovendosi operare un bilanciamento tra i motivi di interesse generale a giustificazione dell’atto normativo interpretativo, e le posizioni soggettive dei singoli incise dallo stesso (v., tra le molte, National & Provincial Building Uociety, LeedI Permanent Building Uociety et YorkIhire Building Uociety c. Regno Unito, 23 ottobre 1997, § 112, M.C. e altri c. Italia, 3 settembre 2013), problematica non sussistente nel caso concreto. La questione deve dunque essere risolta nel senso che la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 80-bis, aggiunto al d.l. 19 maggio 2020 n. 34, dalla legge 17 luglio 2020 n. 177, riguardante la somministrazione irregolare, è applicabile, per identità di ratio e di tutela, anche alle ipotesi (come quella in esame) di appalto non genuino, per quanto riguarda il licenziamento intimato dal datore di lavoro formale (Tebano, Lavoro, potere direttivo e trasformazioni organizzative, Editoriale Scientifica, 2020). Tale opzione deve ritenersi consentita dal testo della disposizione, e diretta a delimitarne la portata al fine di evitare dubbi interpretativi sostanziali. La Corte, dunque, rigetta il ricorso. Secondo il Supremo Consesso: – l’art. 29, D.Lgs. n. 276/2003 stabilisce che l’appalto è “genuino” quando l’appaltatore: 1) assume il rischio di impresa; 2) organizza i mezzi necessari per l’esecuzione del contratto, che può anche risultare dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto; – secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, in tema d’interposizione nelle prestazioni di lavoro, l’utilizzazione, da parte dell’appaltatore, di capitali, macchine e attrezzature fornite dall’appaltante dà luogo a una presunzione legale assoluta di sussistenza della fattispecie (pseudoappalto), solo quando detto conferimento di mezzi sia di rilevanza tale da rendere del tutto marginale e accessorio l’apporto dell’appaltatore; – la sussistenza (o meno) della modestia di tale apporto va accertata in concreto dal giudice, alla stregua dell’oggetto e del contenuto intrinseco dell’appalto. Pertanto, anche laddove l’appaltante effettui la fornitura di macchine e attrezzature, l’appalto è comunque genuino ove risulti un rilevante apporto dell’appaltatore, mediante il conferimento di capitale (diverso da quello impiegato in retribuzioni e, in genere, per sostenere il costo del lavoro), know how, software e, in genere, beni immateriali, aventi rilievo preminente nell’economia dell’appalto. L’appaltatore, dunque, non deve necessariamente essere titolare dei mezzi di produzione per poter essere parte di un appalto genuino; – inoltre, deve operarsi una distinzione tra “appalti pesanti” (che richiedono l’impiego di importanti mezzi o materiali) e “appalti leggeri” (quale quello del caso di specie), dove, nei primi, il requisito dell’autonomia organizzativa deve essere calibrato “se non sulla titolarità, quanto meno sull’organizzazione di questi mezzi”, mentre nei secondi (in cui l’attività si risolve prevalentemente o quasi esclusivamente nel lavoro), è sufficiente che in capo all’appaltatore “sussista una effettiva gestione dei propri dipendenti” (cfr., in tal senso, Cass. 11.3.2020, n. 6948 e 9.1.2020, n. 251); – laddove il contratto di appalto non sia genuino, si applica la disciplina prevista per la somministrazione irregolare (ex art. 27, co. 2, secondo periodo, D.Lgs. n. 276/2003, applicabile ratione temporis ai fatti di causa), sicché tutti gli atti compiuti dallo pseudo-appaltatore per la costituzione o la gestione del rapporto di lavoro devono intendersi riferiti al soggetto che in concreto ha utilizzato la prestazione lavorativa (effettivo utilizzatore). Tra tali atti non va però compreso l’eventuale licenziamento intimato dallo pseudo-appaltatore, sicché l’utilizzatore effettivo non può giovarsi del recesso intimato dal fittizio datore di lavoro in danno del lavoratore (ne consegue che l’eventuale licenziamento effettuato dallo pseudo-appaltatore non potrà ritenersi compiuto, né imputato in capo all’utilizzatore, sicché lo stesso non produrrà effetti nei confronti del lavoratore, il cui rapporto di lavoro è costituito con l’utilizzatore); – del resto, la (abrogata) norma dell’art. 27, co. 2, D.Lgs. n. 276/2003 non include nel suo ambito di operatività (oltre agli atti compiuti dal somministratore irregolare per la costituzione o la gestione del rapporto) anche gli atti per la “estinzione del rapporto” stesso, né fa alcun cenno al licenziamento o al recesso (del somministratore irregolare). Pertanto, includere “il licenziamento negli atti per la “gestione” del rapporto sarebbe una forzatura della lettera della norma, sia perché la “gestione” in sé riguarda un rapporto ancora in corso, sia perché il testo specifica “per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo”, così lasciando sempre intendere la prosecuzione del lavoro “somministrato” in detto periodo, altrimenti la specificazione in inciso sarebbe priva di senso plausibile”; – tale interpretazione è altresì confermata dal fatto che, anche nell’attuale regime normativo, l’art. 80-bis del D.L., n. 34/2020, convertito, con modificazioni, dalla L. 17.07.2020, n. 77, ha operato un’interpretazione autentica dell’art. 38, co. 3, secondo periodo, D.Lgs. n. 81/2015, nel senso che il medesimo art. 38 (ai sensi del quale “tutti gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o nella gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione”), si interpreta nel senso che tra gli atti di costituzione e di gestione del rapporto di lavoro “non è compreso il licenziamento”. Giuseppe Maria Marsico, dottorando di ricerca in diritto privato e dell’economia e funzionario giuridico-economico-finanziario Visualizza il documento: Cass., 22 novembre 2023, n. 32412 Scarica il commento in PDF L'articolo Brevi note sull’appalto non genuino: tra obbligazione risarcitoria e tutela reale sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.

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