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Tribunale di Milano, Sentenza del 30 luglio 2018 n. 8413, Giudice Susanna Terni

Art. 949 c.c., art. 1394 c.c., art. 1395 c.c., art. 1803 c.c.

“L’azione “negatoria servitutis” tende alla negazione di qualsiasi diritto, anche dominicale, affermato dal terzo sulla cosa dell’attore, e dunque non soltanto all’accertamento dell’inesistenza della pretesa servitù, ma pure al conseguimento della cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dal vicino, al fine di ottenere la libertà del fondo, mentre incombe sul convenuto l’onere di provare l’esistenza del diritto di compiere proprio l’attività lamentata come lesiva dall’attore” [1]

“Le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale, che può imporre limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti, di loro esclusiva proprietà purchè siano enunciate in modo chiaro ed esplicito, sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione nell’atto di acquisto, si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che – seppure non inserito materialmente – deve ritenersi conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto”.[2]

FATTO

La complicata vicenda sottoposta al Tribunale milanese involge importanti questioni di diritto (specie sull’onere della prova) ed afferisce alla reazione del Condominio e per esso dell’amministratore in ragione dei poteri  di cui all’articolo 1130 e 1131 c.c., attraverso un actio negatoria servitutis, rivolta all’accertamento negativo della proprietà dei convenuti citati, di un locale caldaia condominiale e di una cantina, originariamente ceduto in proprietà ai medesimi e non in comodato secondo la volontà dell’assemblea.

SOLUZIONE

Il Tribunale di Milano per emanare il suo provvedimento decide di scindere le due questioni, analizzando l’azione richiesta dal condominio per i singoli locali. Per quanto riguarda il diritto di proprietà vantato sul locale caldaia e dello spazio antistante fino alle scale, ritiene che il Condominio attore abbia provato a sufficienza tale diritto reale e per questo accoglie la domanda; per quanto riguarda invece il secondo locale, quindi la cantina, ritiene di dover respingere la richiesta, poiché non ha fornito prove a sufficienza per richiedere l’accertamento negativo della proprietà nei confronti dei convenuti.

QUESTIONI 

La Sentenza emanata dai giudici meneghini ha per oggetto questioni di particolare rilevanza, l’azione che compete al titolare esclusivo di un diritto di proprietà per ottenere il riconoscimento giudiziale dell’inesistenza dei diritti affermati da altri sul bene che è oggetto del suo diritto o la cessazione di turbative o molestie che altri stanno arrecando al suo diritto, è l’actio negatoria servitutis. Per vero, la vicenda portata in esame ai giudici è complessa e controversa, anche perché una delle Società evocate in giudizio, non è la medesima con la quale il Condominio, anni prima, aveva stipulato il ‘’contratto locale caldaia’’, in seguito alla cancellazione dal registro delle imprese e di ulteriori vicende negoziali in ragione delle quali i locali sono passati alle società oggi chiamate in causa.

Le questioni affrontate attengono all’inesistenza del diritto di proprietà in capo alla società di due differenti locali: il locale caldaia sino al vano scale e una cantina, entrambi – a detta dei convenuti – oggetto di preventivi negozi di trasferimento della proprietà o quantomeno di usucapione decennale e che comunque, trattandosi di rapporti giuridici differenti, in ordine alle allegazioni fornite dalle parti, il Tribunale li tratta separatamente.

Partendo dal locale caldaia, si evidenzia che in origine l’intero fabbricato fosse di due soli comproprietari, i quali avevano ceduto ad una società terza, un negozio situato a pian terreno  e con esso una quota delle parti comuni del condominio (tra cui il locale caldaia), espressamente menzionata come altre nel regolamento di condominio allegato all’atto di trasferimento del bene.

In un non ben specificato ‘’contratto locale caldaia’’ stipulato anni dopo, di cui il condominio nell’odierno giudizio richiede l’accertamento dell’inesistenza/nullità, veniva in sostanza consentito alla società proprietaria del negozio di unire il locale caldaia al negozio medesimo in cambio della possibilità del Condominio di utilizzare una cantina di proprietà della società.

Il ragionamento del Tribunale è lineare e coerente, come richiesto dall’azione negatoria, la proprietà in capo al Condominio/ parte attrice è stata ampiamente provata. Tale tipo di azione è esclusiva del proprietario, dell’enfiteuta e dell’usufruttuario, ovvero chi è nella posizione di vantare un diritto dominicale o di godimento in re aliena. Viene disciplinato all’interno dell’art. 949 del c.c., quest’azione ha carattere reale ove l’attore assume di essere proprietario del bene e non essendone in possesso, agisce contro chiunque (in questo caso convenuto) di fatto (senza averne diritto ) ne disponga onde conseguirne nuovamente il possesso, previo riconoscimento del diritto di sua proprietà.  L’azione negatoria deve ritenersi esperibile non solo per l’inesistenza di un  diritto sostenuto da altri su di un bene, ma anche per rimuovere una situazione che comporti pregiudizio al bene medesimo. Onere di questa azione, in capo all’attore, è quella di dimostrare, per poter avere libertà del proprio fondo, il SUO diritto di proprietà nei confronti del convenuto, a cui spetta invece di provare il diritto reale da lui sostenuto. Si vuole inoltre precisare che all’interno delle azioni reali, di cui fa parte l’azione negatoria in esame, la legittimazione processuale attiva e passiva spetta esclusivamente ai proprietari e ai titolari di un diritto reale di godimento. Cardine dell’esercizio dell’intera questione, risulta essere l’onere probatorio, infatti, giurisprudenza conforme, sostiene: ‘’ è pacifico che colui che agisce con l’azione negatoria possa provare la titolarità del diritto di cui assume la lesione ‘’con ogni mezzo, anche in via presuntiva’’[3]. Non solo, ‘’deve fornire piena prova della proprietà dimostrando il suo titolo d’acquisto e quello dei suoi danti causa fino ad un acquisto a titolo originario’’[4] . Tornando all’esame della vicenda, dagli atti si può dedurre che i convenuti, con il passare degli anni ed anche i precedenti possessori del locale in questione, mai avevano acquisito titolo di proprietari del locale. Anche all’interno del “contratto locale caldaia” citato innanzi, si prevedeva di osservare il Regolamento Condominiale, che in fatto ben distingueva le parti comuni (tra cui il locale caldaia). Parte attrice, fornendo il primo atto di cessione dei locali e il regolamento con annessa planimetria, peraltro richiamato anche negli atti di compravendita prodotti dai convenuti, esauriva appieno l’onere probatorio richiesto, ed è per questo che i giudici Ambrosiani ne accoglivano la  domanda di negatoria servitutis, atteso, che a fronte delle indite allegazioni fornite dal Condominio: “ incombe sul convenuto l’onere di provare l’esistenza del diritto di compiere proprio l’attività lamentata come lesiva dall’attore” .

Pertanto, il Tribunale accertava che non si era verificato in capo ai convenuti alcun trasferimento di proprietà del ridetto locale, né a titolo derivativo ed in forza di precedenti titoli di acquisto, né in ragione del possesso per usucapione, richiesto in via riconvenzionale.

Di conseguenza, richiamando il consolidato indirizzo della Suprema Corte: “l’espresso richiamo al regolamento condominiale – allegato, tra l’altro, ad atti di compravendita di unità immobiliari trascritte prima dei negozi esaminati – conduce all’opponibilità dello stesso al regolamento negoziale dei successivi singoli contratti di compravendita (Cass. 17886/2009; Cass. 19212/2016: “le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale, che può imporre limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti, di loro esclusiva proprietà purchè siano enunciate in modo chiaro ed esplicito, sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione nell’atto di acquisto, si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che – seppure non inserito materialmente – deve ritenersi conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto”)”.

Viceversa, il Tribunale non ha ritenuto provata la proprietà in capo al condominio del locale cantina, in quanto quest’ultima non era annoverata tra le parti comuni – né poteva esserlo; tantomeno l’actio negatoria servitutis in ordine al ridetto vano cantina avrebbe potuto trovare accoglimento sulla prova del vizio genetico dell’accordo/ contratto  denominato: ’contratto locale caldaia’’ ed in cui le parti avevano eseguito lo scambio, posto che la domanda non era formulata nei confronti dei contraenti originari di quel contratto: “Il Condominio ha, infatti, agito con un’azione personale, di tipo contrattuale, nei confronti di terzi, non legati da alcun rapporto obbligatorio, mentre avrebbe dovuto, invece, proporre un’azione di rivendicazione ex art. 948 c.c., ai sensi della quale “il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o detiene” , azione non proposta nel presente giudizio”.

Peraltro, quel contratto conteneva distinte obbligazioni di comodato, perfezionate con la consegna dei rispettivi beni, cosicchè il Tribunale ha ritenuto valido il comodato e respinto la domanda del condominio di restituzione del ridetto bene: “Ciò premesso, il legale rappresentante del Condominio ha concluso il contratto nei limiti dei poteri ad esso riconosciuti dall’ Assemblea del 21 settembre 2010 e le ulteriori clausole ivi stipulate devo ritenersi implicitamente ricomprese nel potere ad esso conferito, non potendosi pretendere che l’Assemblea indichi espressamente tutte le singole pattuizioni che si rivelano necessarie, nello svolgimento delle trattative tra futuri contraenti, alla conclusione del contratto autorizzato”.

[1] Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21851 del 15/10/2014; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10149 del 26/05/2004; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24028 del 27/12/2004.

[2] Cass. 17886/2009; Cass. 19212/2016:

[3] Cass. n. 472/2017

[4] Si veda nota 3.

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