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La controversia sfociata nel giudizio deciso dalla Corte di Cassazione con la sentenza 8 marzo 2024 n 6423 in commento verteva sulla natura retributiva o meno di certe somme corrisposte ai lavoratori a titolo di “mensilità aggiuntive” nell’ambito di un piano di esodi incentivati. Secondo il datore di lavoro, tali somme dovevano considerarsi alla stregua di un incentivo all’esodo (e, quindi, esenti da contribuzione ai sensi dell’art. 12, quarto comma, lett. b, della L. 30 aprile 1969 n. 153), con conseguente infondatezza della pretesa dell’INPS di ottenere il pagamento della contribuzione previdenziale ed assistenziale non solo sulle  “mensilità aggiuntive” effettivamente corrisposte ai lavoratori ma anche su quelle non erogate. I giudici di merito, accogliendo la domanda dell’INPS, avevano invece riconosciuto natura retributiva a tali somme avendo le stesse, “in base alla disciplina contrattuale di riferimento”, una funzione sostitutiva dell’indennità del  preavviso e ritenendo irrilevante ai fini della obbligazione contributiva la mancata corresponsione in concreto di tali erogazioni. Con la sentenza de qua, la Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso del datore di lavoro, ha ritenuto non sindacabile in sede di legittimità l’esito dell’accertamento dei giudici merito ed ha  confermato il consolidato orientamento secondo cui,  ai fini della individuazione della retribuzione imponibile ai fini contributivi, l’autonomia tra rapporto di lavoro e rapporto contributivo comporta che quest’ultimo può sussistere anche se le obbligazioni retributive siano non siano state soddisfatte oppure abbiano formato oggetto di transazione o di rinunzia da parte del lavoratore. In questo senso, la Suprema Corte si è recentemente pronunziata con l’ordinanza 29 marzo 2023, n. 8913, in Labor, 9 giugno 2024, con nota di R. Scorcelli, Transazione con revoca del licenziamento e rinunzia alla indennità sostitutiva del preavviso: la Cassazione ribadisce l’obbligo di pagamento dei contributi, con riferimento alle somme corrisposte dal datore di lavoro e lavoratore nell’ambito di una transazione stipulata successivamente alla intimazione di un licenziamento con esonero dal preavviso lavorato ed avente ad oggetto la revoca del licenziamento, la rinuncia da parte del lavoratore alla indennità sostitutiva del preavviso a fronte del pagamento di un certo incentivo all’esodo. In senso conforme si richiama anche Cass. 5 gennaio 2024 n. 395, che si può leggere sempre in Labor,  8 febbraio 2024,con nota di M. Motroni, Transazione sul licenziamento e permanenza dell’obbligo contributivo sul preavviso: il principio di autonomia tra il rapporto di lavoro e quello previdenziale rende irrilevante la volontà espressa dal lavoratore in sede conciliativa, alla quale si rinvia anche per ulteriori riferimenti. Tutto ciò è stato affermato in quanto il  diritto dell’INPS alla contribuzione sull’indennità sostitutiva del preavviso sorge per effetto del licenziamento con preavviso ed è quindi  irrilevante ai fini degli obblighi contributivi la transazione intervenuta tra datore di lavoro ed il lavoratore avente ad oggetto la revoca del licenziamento e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. In particolare, l’estraneità della transazione  al rapporto contributivo discende dal principio per cui alla base del calcolo dei contributi previdenziali deve essere posta la retribuzione, dovuta per legge o per contratto individuale o collettivo, e non quella di fatto corrisposta, in quanto l’espressione usata dall’art. 12 dalla L. 153/69, per indicare a retribuzione imponibile («tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro»), va intesa nel senso di tutto ciò che ha diritto di ricevere. Il rapporto assicurativo e l’obbligazione contributiva ad esso connesso sorgono infatti con l’instaurarsi del rapporto di lavoro, ma sono del tutto autonomi e distinti, nel senso che l’obbligazione contributiva del datore di lavoro verso l’istituto previdenziale sussiste indipendentemente dal fatto che gli obblighi retributivi, nei confronti del prestatore d’opera, siano stati in tutto o in parte soddisfatti, ovvero che il lavoratore abbia rinunciato ai suoi diritti. Altrettanto condivisibili e conformi al quadro normativo di riferimento devono ritenersi le conclusioni della sentenza commento, secondo cui la stipulazione di una transazione non fa venir meno gli obblighi contributivi qualora risulti che “nell’accordo transattivo sussistono comunque poste di sicura natura retributiva e collegate intrinsecamente al sottostante rapporto di lavoro”. A tale proposito, com’è noto, il quadro normativo di riferimento è costituito dall’art. 12 della L. 30 aprile 1969 n. 153 così come modificato dall’art. 6 Dlgs. 2 settembre 1997 n. 314 che ha unificato la base imponibile previdenziale a quella fiscale. In particolare, l’art. 12 citato stabilisce che “costituiscono redditi di lavoro dipendente ai fini contributivi” quelli di cui all’articolo 49, comma 1,” del TUIR e che “per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale” si applicano le disposizioni contenute nell’articolo 51 TUIR. L’art. 12 della L. 153/69, poi, con una elencazione tassativa, individua alcune erogazioni escluse dalla base imponibile ai fini della contribuzione previdenziale, tra le quali: “le somme corrisposte a titolo di trattamento di fine rapporto”, “le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori, nonché quelle la cui erogazione trae origine dalla predetta cessazione, fatta salva l’imponibilità dell’indennità sostitutiva del preavviso”. Per quanto qui interessa, occorre osservare che nella sua originaria formulazione, l’art. 12 L 153/69 conteneva una nozione più ristretta di reddito imponibile ai fini contributivi, considerando, in via generale, retribuzione imponibile per il calcolo dei contributi tutto ciò che il lavoratore riceveva (in denaro o in natura) “in dipendenza del rapporto di lavoro” anche se la giurisprudenza aveva poi in effetti finito per dilatare tale nozione fino a ricomprendervi tutte le utilità economicamente valutabili che trovavano la propria causa nel rapporto di lavoro, a prescindere quindi dall’esistenza di una corrispettività con il rapporto di lavoro (Cass. 19 giugno 2008 n. 16678). Tuttavia, anche per tale giurisprudenza – o, perlomeno, per una parte di essa – non potevano considerarsi imponibili ai fini contributivi quelle utilità economiche che traevano origine da un titolo autonomo (diverso e distinto dal rapporto di lavoro) che ne giustificava l’erogazione e che si ponevano in un “nesso di mera occasione con il rapporto di lavoro”. Significative in tal senso devono ritenersi quelle sentenze della Suprema Corte che, pronunciandosi sull’annosa questione del trattamento contributivo delle somme derivanti da titolo transattivo, avevano affermato che le erogazioni del datore di lavoro previste nell’ambito di transazioni novative e finalizzate “non a eliminare la res dubia oggetto della lite, ma ad evitare il rischio della lite stessa”, senza riconoscimento nemmeno parziale del diritto del lavoratore, dovevano considerarsi non “in dipendenza” del rapporto di lavoro ma, appunto, in “nesso di mera occasione” con tale rapporto e, in quanto tali, non assoggettabili a contribuzione (Cass. 28 luglio 2009 n. 17495). Posto che nel mutato quadro normativo il reddito da lavoro dipendente (sia ai fini fiscali sia ai fini contributivi) non è più quello che costituisce retribuzione per la prestazione del lavoratore, ma qualsiasi utilità economica legata al rapporto di lavoro da un mero nesso di occasionalità (Cass. 9 luglio 1999 n. 7188, Cass. 15 luglio 2009 n. 16489 e Trib. Parma 20 settembre 2011), deve ritenersi  riconducibile all’obbligazione contributiva qualsiasi erogazione per la quale il rapporto di lavoro costituisce soltanto una mera occasione. Ne consegue che non è più possibile  escludere a priori dall’obbligo contributivo le somme corrisposte al lavoratore nell’ambito di transazioni di lavoro (ancorché  novative), essendo invece necessario  verificare caso per caso la natura dei diritti che formano oggetto della transazione, con conseguente assoggettamento a contribuzione delle somme corrisposte in via transattiva (ancorché novativa) nel caso di rivendicazioni relative a diritti riconducibili nella sopramenzionata nozione di retribuzione (Cass. 28 luglio 2009 n. 17495, Trib. Parma 20 settembre 2011 e Messaggio INPS 9 marzo 2006 n. 7585). In questo senso, si  segnala anche per la ricostruzione dell’evoluzione del quadro normativo la pronuncia della Corte di Cassazione del 23 novembre 2017 n. 27933 richiamata in motivazione dalla  sentenza in commento. Renato Scorcelli, avvocato in Milano Visualizza il documento: Cass., 8 marzo 2024, n. 6423 Scarica il commento in PDF L'articolo Ancora sulla non opponibilità all’INPS della transazione ai fini degli obblighi contributivi sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.

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