“Aspetto architettonico” e “decoro architettonico” nel diritto di sopraelevazione, due facce della stessa medaglia
‘’Non occorre che l’edificio abbia un particolare pregio artistico, ma soltanto che questo sia dotato di una propria fisionomia, sicchè la sopraelevazione realizzata induca in chi la guardi una chiara sensazione di disarmonia. Perciò deve considerarsi illecita ogni alterazione produttiva di tale conseguenza, anche se la fisionomia dello stabile risulti già in parte lesa da altre preesistenti modifiche ’’.
“…sicchè anche l’intervento edificatorio in sopraelevazione deve rispettare lo stile del fabbricato, senza recare una rilevante disarmonia al complesso preesistente, sì da pregiudicarne l’originaria fisionomia ed alterarne le linee impresse dal progettista”.
CASO
La ricorrente impugna la sentenza della Corte d’Appello di Roma, la quale confermava la demolizione di una veranda costruita nella terrazza di sua proprietà, ossia una struttura sopraelevata con caratteristiche difformi all’armonia architettonica del condominio. Per tale ragioni i Giudici territoriali avevano rilevato che comportasse una lesione allo stabile ed all’aspetto architettonico.
Portando la questione dinanzi alla Cassazione, la ricorrente eccepiva in ricorso unico motivo di impugnazione: la falsa applicazione degli art. 1120, 1152, 1127 c.c. ed inoltre degli art. 115 e 116 de c.p.c. per una rivalutazione delle emergenze istruttorie e non per un controllo di legittimità.
La ricorrente insisteva, sottolineando come la situazione di degrado architettonico fosse preesistente rispetto alle sue modificazioni ovvero costruzioni, ponendo all’attenzione degli ermellini, un precedente giudizio, riguardante la costruzione di una differente veranda nel medesimo condominio, in ordine alla quale il condominio pur avendo reagito era rimasto soccombente, ma per altre ragioni non di merito. Tuttavia, come ribadito, dalla Corte non era possibile trovare inerenze tra le due cause poiché presentavano questioni totalmente differenti (mancato esercizio dello ius prohibendi da parte del titolare della servitus altius non tollendi[1], posta a carico del medesimo appartamento).
SOLUZIONE
La “scure” della 6^ Sezione della Cassazione si “abbatte” sulle problematiche concernenti l’estetica, l’aspetto ed il decoro architettonico, a conferma della rigidità egli orientamenti in materia; il motivo fondante il ricorso viene rigettato, esplicando come in realtà i concetti di decoro e aspetto si confondono restando intimamente uniti e connessi.
QUESTIONI
Il focus della questione è rappresentato dalla costruzione, da parte del condomino dell’ultimo piano e nella terrazza di sua esclusiva proprietà, di una veranda, sopraelevata con superfici interamente vetrate e alluminio anodizzato, in un condominio presentante una differente armonia architettonica.
Con unico motivo di ricorso, la condomina ricorrente rilevava che la veranda in questione non arrecava al condominio pregiudizio, in quanto non sussistevano elementi oggettivi di alterazione della nozione di decoro, tenuto conto di preesistenti modificazioni ed una generale situazione di degrado del fabbricato; né pregiudizi per la statica.
La Cassazione effettua un’analisi dei vari articoli inerenti al caso, interpretando in via autentica, la nozione di “pregio artistico”, riguardante gli edifici, attraverso la disamina degli art. 1127 c.c. e 1120 c.c. e rimarcando la diversità dei concetti di “aspetto” e “decoro” architettonico, che se pur differenti risultano, per usare i termini dell’ordinanza: “strettamente complementari e non possono prescindere l’una dall’altra”.
L’articolo 1127 c.c. indicato come ‘’costruzione sopra l’ultimo piano dell’edificio’’, consente che la sopraelevazione sia costituita da nuove opere, nuovi piani, che superino l’originaria altezza dell’edificio.
È vero che la facoltà di sopraelevare spetta al proprietario dell’ultimo piano, ma al momento della costruzione devono essere presi in considerazione diversi limiti: le condizioni statiche dell’edificio, il turbamento delle linee architettoniche ed infine la diminuzione di aria e luce; in tutti e tre i casi, i limiti possono essere superati con il consenso unanime dei condomini.
La Cassazione rimarca la circostanza che: “l’aspetto architettonico cui si riferisce l’articolo 1127 3^ comma c.c., quale limite alle sopraelevazioni, sottende, peraltro, una nozione sicuramente diversa da quella di decoro architettonico, contemplata negli articoli 1120, comma 4, 1122, comma 1 e 1122 bis c.c., dovendo rispettare lo stile del fabbricato e non rappresentare una rilevante disarmonia in rapporto al preesistente complesso, tale da pregiudicare l’originaria fisionomia ed alterare le linee impresse dal progettista, in modo percepibile da qualunque osservatore” .
L’indagine relativa al fatto, deve essere demandata esclusivamente al giudice di merito, il cui sindacato sfugge al giudice di legittimità[2], il giudizio relativo all’impatto visivo che la sopraelevazione costituisce sull’aspetto architettonico dovrà attenersi esclusivamente alla “caratteristiche stilistiche visivamente percepibili dell’immobile condominiale, verificando l’esistenza di un danno economico valutabile”.
In altri termini, purchè rilevi tale fattore, non è importante che l’edificio abbia un particolare pregio artistico, ma soltanto che questo sia dotato di una propria fisionomia stilistica, sicchè la sopraelevazione realizzata induca in chi guardi una chiara sensazione di disarmonia.
La Corte, riprendendo dalla sua precedente pronuncia: n. 10280 del 2010, ribadisce che non è importante se l’immobile sia già stato ‘’sfigurato’’ perché si parla di ulteriori fatti lesivi, che danneggiano l’uniformità del manufatto facendo perdere allo stesso l’assesto e la decenza.
Eventuali contemperamenti alla rigidità della ridetta interpretazione potranno verificarsi solo allorquando, per le modalità costruttive o per le modificazioni apportate, lo stabile non si presenti in uno stato di tale degrado complessivo da rendere “ininfluente allo sguardo ogni ulteriore intervento”.
Nella fattispecie in questione, secondo quanto argomentato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Roma ha fornito adeguata motivazione, in quanto ha ritenuto come: “ il manufatto disperda quella uniformità che attribuisce all’edificio un aspetto ordinato e dignitoso”.
Come giurisprudenza conforme afferma: ’’ L’adozione nella parte sopraelevata di uno stile diverso da quello della preesistente dell’edificio, comporta inevitabilmente un mutamento peggiorativo dell’aspetto architettonico complessivo ’’. Infatti per la Corte non rileva il giudizio esperito in precedenza, relativamente ad altro manufatto realizzato dalla medesima condomina, in quanto essa non rende “ininfluenti gli ulteriori fatti lesivi”.
Importante e da sottolineare come l’aspetto architettonico, come dicono gli ermellini, non deve essere dotato di un particolare pregio artistico, quindi costruito da un determinato architetto, ma l’edificio nel suo complesso.
Tuttavia l’esame della sentenza e la densità dei contenuti in essa riprodotti, lascia disorientato l’interprete, il quale si trova di fronte a regole e correttivi che non sempre agevolano la lettura della norma e di sicuro non possono che portare comunque al contenzioso, se è vero com’è vero che il giudice del merito è il giudice del fatto e quello si Cassazione è giudice della norma, sicchè nei giudizi di merito si continuerà a fare affidamento all’analisi caso per caso della situazione compromessa con riferimento all’alterazione del decoro o dell’aspetto architettonico.
[1] Cass. II Sez. Civ. n. 10280 del 29/04/2010
[2] Ex plurimis: Cass. Civ., Sez. 2^, 28.06.207 n.16258
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