Azione sociale di responsabilità nella S.r.l.: profili processuali in tema di onere della prova
Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa B, Sentenza n. 1508/2019 del 24 gennaio 2019 (pubblicata il 15 febbraio 2019)
Parole chiave: azione sociale di responsabilità – natura contrattuale – risarcimento del danno – danno patrimoniale – danno non patrimoniale – onere della prova.
Massima: “L’amministratore di società di capitali che venga convenuto in giudizio per violazione dei doveri gestori, a fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio su di lui gravante, deve essere ritenuto responsabile per gli inadempimenti ai doveri gestori addebitatigli dall’attore e condannato al risarcimento del relativo danno.”
Disposizioni applicate: artt. 2393, 2476 c.c. – 24 Cost.
Con la sentenza n. 1508/2019 del 24 gennaio 2019, in commento, il Tribunale di Milano coglie l’occasione per riaffermare taluni principi in materia di azione sociale di responsabilità, esercitata dalla società (una S.r.l.), focalizzandosi in particolare sulla natura giuridica di tale azione e sui conseguenti profili in tema di onere probatorio a carico delle parti del giudizio.
La norma di cui all’art. 2476 cc, com’è noto, disciplina alcune fra le più rilevanti novità della riforma societaria in tema di S.r.l., prevedendo espressamente, fra l’altro, l’azione di responsabilità “promossa da ciascun socio” (comma 3°), di natura contrattuale; nonché l’azione risarcitoria individuale, di natura aquiliana, dei singoli soci e dei creditori, direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori (comma 6°).
In particolare l’azione sociale di responsabilità, a seguito della riforma, è stata oggetto di un acceso dibattito giurisprudenziale e dottrinale. Secondo un filone interpretativo ormai superato (ma che aveva trovato consensi anche in talune pronunce del Tribunale di Milano) non sussisterebbe per le S.r.l. una legittimazione attiva della società all’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori: ciò sulla base, essenzialmente, del dato letterale della norma (art. 2476 c. 3 c.c.) secondo cui “L’azione di responsabilità … è promossa da ciascun socio”. Il Legislatore della riforma l’avrebbe pertanto affidata “esclusivamente alla legittimazione diffusa di ogni singolo socio” (Cfr. Tribunale Milano, 27 febbraio 2008).
D’altro canto, se è pur vero che la norma tace in merito all’esercizio dell’azione ad iniziativa della società, tuttavia, l’opinione prevalente (e preferibile), ha osservato come negare il diritto di agire alla società comporterebbe un’ingiustificata compressione del diritto di difesa (art. 24 Cost.) di quest’ultima posto che, in ogni caso, gli amministratori sono innanzitutto responsabili “verso le società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo”. Il singolo socio è certamente portatore di un autonomo diritto di agire, ma ciò non toglie che si tratti pur sempre – secondo l’insegnamento della Suprema Corte – di una responsabilità verso la società “rifluendo l’eventuale condanna dell’amministratore unicamente nel patrimonio sociale e potendo solo la società (non il socio) rinunciare all’azione e transigerla.” (Cfr. ex multis Cassazione civile, Sez. I, 4 luglio 2018, n. 17493).
L’azione, è bene ricordarlo, necessita peraltro di una previa delibera assembleare o, comunque, di una decisione dei soci che ne autorizzi l’esercizio, essendo altrimenti, secondo l’opinione maggioritaria, “improcedibile”: la previa delibera è infatti il presupposto per promuovere l’azione (e la sua mancanza può essere rilevata anche d’ufficio) (Cfr., in tal senso, Tribunale Milano 12 gennaio 2015).
Peraltro – a differenza dell’art. 2393-bis cc in tema di S.p.A. – il Legislatore non ha previsto per le S.r.l. che la società medesima debba essere chiamata in giudizio; tuttavia, non si dubita che la stessa debba partecipare al processo, trattandosi di un’ipotesi di litisconsorzio necessario (art. 102 c.p.c.) (Cfr. Cassazione civile, Sez. I, 04 luglio 2018, n.17493, citata).
Nel caso di specie, una società a responsabilità limitata (in liquidazione) promuoveva l’azione sociale di responsabilità (ai sensi degli artt. 2476 e 2393 cc) nei confronti dell’ex amministratore unico, chiedendo i) la condanna alla restituzione delle ingenti somme distratte dalle casse sociali; ii) il risarcimento degli ulteriori danni patrimoniali conseguenti alle distrazioni (che avrebbero dato luogo allo scioglimento della società, per riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, ex art. 2484 n. 4 cc) nonché iii) il risarcimento dei danni non patrimoniali.
L’amministratore convenuto nel giudizio non si costituiva e ne veniva dichiarata la contumacia.
Il tema dell’onere probatorio si lega peraltro alla natura giuridica dell’azione di responsabilità di cui all’art. 2476 c.c. che, ricorda il Collegio, citando anche alcuni precedenti della Cassazione, ha natura contrattuale. Per inciso, la società attrice, aveva dedotto e allegato prove circa l’utilizzo di fondi sociali da parte dell’amministratore, per un ammontare (circa 350.000 €) corrispondente all’importo dei bonifici e degli assegni elencati specificatamente sia nelle proprie memorie sia nella comparsa conclusionale.
Ebbene, alla luce della vicenda processuale, il convenuto amministratore, osserva il Tribunale, “onerato – a fronte di tale specifica allegazione – della dimostrazione del proprio adempimento … non ha fornito alcuna prova al riguardo, rimanendo contumace in giudizio ed, anzi, prima del giudizio sostanzialmente riconoscendo di aver sottratto importi dalle casse sociali e provvedendo a restituzioni per l’importo di euro 50.000,00 complessivi”.
A fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sul convenuto (e del principio di non contestazione), il Collegio lo ha condannato ritenendolo dunque “responsabile per gli inadempimenti ai doveri gestori addebitatigli dall’attrice e condannato al risarcimento del relativo danno, corrispondente all’ammontare degli importi indicati dall’attrice come distratti dalle casse sociali”. E ciò senza necessità di dare ingresso alle prove orali – sebbene richieste dall’attrice – ritenute dal Collegio “superflue data la ripartizione dell’onere probatorio”.
Il Tribunale ha invece rigettato le ulteriori domande risarcitorio in ordine agli asseriti danni i) patrimoniali e ii) non patrimoniali conseguenti, in quanto “solo enunciati” e genericamente dedotti, ma rimasti entrambi privi di qualsiasi specifica allegazione nonché di ogni illustrazione da parte della società.
Da ultimo, si ritiene di dover dar conto, ancorché solo con brevissimi cenni, dell’aggiornamento intervenuto medio tempore sul dato normativo: il Legislatore della riforma fallimentare (D.lgs. 12 gennaio 2019 n. 14), nell’ambito di un processo di riorganizzazione e uniformazione dei doveri e dei compiti degli amministratori, è intervenuto modificando numerose norme del Codice Civile. In particolare all’art. 2476 è stato aggiunto un nuovo comma che riproduce, in buona parte, la disciplina dell’art. 2394 c.c. “Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinunzia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l’azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi”. In tal modo il Legislatore ha risolto espressamente la questione fra coloro i quali interpretavano estensivamente il disposto dell’art. 2394 cc, e coloro che sostenevano l’opposta tesi “restrittiva” (costringendo nella pratica i creditori sociali della S.r.l. a “ripiegare” sul rimedio generale ex 2043 c.c.).
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