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Cass. civ., Sezioni Unite, 05.08.2020, n. 16723 – Pres. Mammone – Rel. Scarpa

Contratti con forma scritta ad probationem – Contratti con forma scritta ad substantiam – Prova testimoniale – Inammissibilità – Rilevabilità d’ufficio – Eccezione di parte – Limiti alla prova testimoniale – Onere della prova -Valutazione delle prove

(art. 2721 c.c., 2725 c.c., 2729 c.c., 1724 c.c., 157 c.p.c.)

[1] L’inammissibilità della prova testimoniale di un contratto che deve essere provato per iscritto, ai sensi dell’art. 2725, comma 1, c.c., attenendo alla tutela processuale di interessi privati, non può essere rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima dell’ammissione del mezzo istruttorio; in particolare, qualora, nonostante l’eccezione di inammissibilità, la prova sia stata ugualmente assunta, è onere della parte interessata opporne la nullità secondo le modalità dettate dall’art. 157, comma 2, c.p.c., rimanendo altrimenti la stessa ritualmente acquisita, senza che detta nullità possa più essere fatta valere in sede di impugnazione.

CASO

In un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, ottenuto da una società di vendita al dettaglio a fronte della fornitura di uva non pagata, parte opponente eccepiva l’inesistenza del credito azionato, affermando che, mentre per una parte la merce era stata regolarmente pagata, invece, per la residua parte era intervenuta una risoluzione del contratto, stante la scadente qualità della merce. L’allegata risoluzione del contratto integrava una transazione, la quale, tuttavia, veniva provata unicamente mediante prova testimoniale. Sulle risultanze di tale mezzo istruttorio, il Giudice di primo grado accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo, sostenendo che era intervenuta una transazione tra le parti, risultante da una deposizione testimoniale e che avverso l’ammissione di tale mezzo istruttorio controparte non aveva sollevato alcuna eccezione.

In secondo grado, la Corte d’appello rilevava d’ufficio che l’accordo transattivo a norma dell’art. 1967 c.c. avrebbe dovuto essere provato per iscritto, ritenendo irrilevante la deposizione del teste escusso lungo l’istruttoria di primo grado; conseguentemente riformava la sentenza di primo grado e rigettava l’opposizione.

La questione veniva sottoposta all’attenzione della Suprema Corte, davanti alla quale la società debitrice riproponeva la dibattuta questione relativa alla dedotta ammissibilità della prova testimoniale dei contratti per i quali la forma scritta è richiesta unicamente ad probationem e non ad substantiam, deducendo che la carenza della prova scritta non poteva essere rilevata d’ufficio dal Giudice, non avendo controparte eccepito alcunché al riguardo.

I Giudici di legittimità, preso atto della sussistenza di difformità di pronunce nelle Sezioni Semplici sulla questione da esaminare e stante la particolare importanza della stessa, rimetteva la questione alle Sezioni Unite civili.

SOLUZIONE

L’inammissibilità della prova testimoniale di un contratto che deve essere provato per iscritto, ai sensi dell’art. 2725 co. 1°, c.c., attenendo alla tutela processuale di interessi privati, non può essere rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima dell’ammissione del mezzo istruttorio; in particolare, qualora, nonostante l’eccezione di inammissibilità, la prova sia stata ugualmente assunta, è onere della parte interessata opporre la nullità secondo le modalità dettate dall’art. 157, co. 2°, c.p.c., rimanendo altrimenti la stessa ritualmente acquisita, senza che detta nullità possa più essere fatta valere in sede di impugnazione”.

Tale principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, con la sentenza in commento, rappresenta l’approdo interpretativo delle disposizioni del codice civile sulle limitazioni della prova testimoniale nei contratti, il quale compendia le precedenti pronunce della giurisprudenza di legittimità sul tema, basandosi sulla differente ratio legis sottesa alla disciplina della prova testimoniale  per i contratti la cui forma scritta sia richiesta ad substantiam o ad probationem, con particolare riferimento alla disciplina della transazione ex art. 1967 c.c.

QUESTIONI

Le Sezioni Unite sono state chiamate a dirimere la questione se in una transazione o anche, più in generale, in un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta “ad probationem”, sia operativo il divieto della prova per testi e se l’eventuale inammissibilità possa essere rilevata d’ufficio o debba, invece, essere eccepita dalla parte interessata entro il termine di cui all’art. 157, co. 2°, c.p.c., nella prima istanza o difesa successiva alla sua articolazione; il quesito, in realtà, involgeva la più ampia questione riguardante l’esistenza o meno di un unitario regime processuale, relativo all’inammissibilità della prova testimoniale, derivante dal combinato disposto di cui agli artt. 2725 c.c. e 2729 c.c., applicabile indifferentemente sia ai contratti per i quali è richiesta la forma scritta “ad probationem”, sia a quelli per cui la forma è richiesta “ad substantiam”.

Nella lunga parte motivazionale della sentenza che si annota, le Sezioni Unite hanno riscostruito i due contrapposti orientamenti giurisprudenziali in ordine al profilo probatorio dei contratti in cui la forma scritta sia richiesta ad probationem e non ad substantiam.

Secondo l’orientamento maggioritario, per gli atti ed i contratti per i quali la forma scritta è richiesta ad substantiam, la prova testimoniale dell’esistenza del negozio è del tutto inammissibile, salvo che nell’ipotesi di perdita incolpevole del documento, e tale inammissibilità può essere dedotta in ogni stato e grado del giudizio ed essere rilevata, oltreché dalla parte, anche d’ufficio (Cass. civ., 08.01.2002, n. 144).

Mentre per quanto riguarda gli atti e i contratti per i quali la forma scritta è richiesta unicamente ad probationem, l’inammissibilità della prova testimoniale, non attenendo all’ordine pubblico, ma alla tutela di interessi privati, non può essere rilevata d’ufficio e la correlata nullità dev’essere tempestivamente eccepita dall’interessato entro il termine dell’art. 157, co. 2°, c.p.c., nella prima difesa utile, con la conseguenza che la prova ammessa oltre i limiti predetti deve ritenersi altrimenti ritualmente acquisita, in conformità alle regole generali in tema di nullità di carattere relativo riguardanti l’ammissione e l’espletamento della prova in violazione degli artt. 2721 e ss. c.c. (Cass. civ., 30.03.2010, n. 7765; Cass. civ., 19.09.2013, n. 21443).

Secondo tale orientamento, la parte che intenda opporsi alla richiesta di ammissione della prova testimoniale relativa ad un contratto da provare per iscritto, dovrà: sollevare l’eccezione all’atto dell’assunzione secondo le modalità di cui all’art. 157, co. 2°, c.p.c., riproporre la medesima eccezione nella precisazione delle conclusioni e riproporre la questione in appello.

L’omissione di uno di detti passaggi comporta che la relativa nullità deve intendersi sanata ed al successivo Giudice dell’impugnazione sarà preclusa ogni indagine.

Secondo un orientamento minoritario della giurisprudenza di legittimità, quando, per legge o per volontà delle parti, sia prevista per un certo contratto la forma scritta ad probationem, la prova testimoniale che abbia ad oggetto, implicitamente o esplicitamente, l’esistenza del medesimo è inammissibile, salvo che non sia volta a dimostrare la perdita incolpevole del documento, così come è inammissibile la connessa prova per presunzioni, senza che sia possibile alcuna sanatoria (Cass. civ., 14.08.2014, n. 17986).

Secondo tale indirizzo, l’art. 2725, co. 1 e 2, c.c.  deroga al divieto di ammissione nel solo caso di perdita incolpevole del documento, sia per i contratti per i quali la forma scritta sia richiesta ad probationem, sia per quelli per i quali sia prescritta ad substantiam.

Con l’importante pronuncia in commento, le Sezioni Unite hanno aderito al primo e maggioritario orientamento, ovvero quello che prevede un criterio distintivo tra i contratti per i quali la forma scritta è richiesta ad substantiam ovvero ad probationem.

La sentenza che si annota ha evidenziato che, nell’ambito della prova testimoniale dei contratti, il principio, secondo il quale le nullità riguardanti l’ammissione e l’espletamento della prova in violazione degli artt. 2721 ss. c.c. hanno carattere relativo, per cui, non essendo rilevabili d’ufficio, vengono sanate se non eccepite dalla parte interessata nella prima istanza o difesa utile (ovvero successiva al loro verificarsi), viene derogato solo laddove la forma scritta sia imposta dalla legge a pena di nullità, vale dire per l’esistenza stessa del contratto e non solo ai fini meramente probatori.

Rimarcando il concetto, le Sezioni Unite hanno affermato che i limiti di ammissione della prova testimoniale sull’esistenza di un contratto soggetto a forma scritta ad substantiam sono dettati da ragioni di ordine pubblico, mentre i limiti che la legge pone alla prova per testimoni su un contratto con forma scritta ad probationem, disposti dall’art. 2725, co. 1°, c.c., sono dettati dall’esclusivo interesse delle parti, allo stesso modo degli altri limiti di ammissibilità della prova testimoniale in materia contrattuale (artt. 2721, 2722 e 2723 c.c.).

A sostegno di quanto di quanto affermato, le Sezioni Unite hanno richiamato l’interpretazione pressoché unanime di giurisprudenza e dottrina, secondo cui le norme di cui agli artt. 2721 ss c.c., in tema di limiti oggettivi di ammissibilità della prova testimoniale, hanno carattere dispositivo e, dunque, sono derogabili anche in forza di accordi taciti o di fatti concludenti incompatibili.

Ad ulteriore sostegno del proprio orientamento, le S.U. hanno richiamato la ratio espressa nella Relazione al Codice Civile, a pag. 1114, secondo cui il legislatore ha voluto contemperare quelle “legittime diffidenze che ha sempre suscitate e suscita in materia contrattuale questo mezzo di prova, con la necessità di non offendere d’altro canto le esigenze della buona fede, in quei casi in cui, anche fuori delle ipotesi dell’art. 2724, usi, necessità tecniche, condizioni di ambiente, relazioni personali tra contraenti od altre circostanze anche meramente contingenti possano spiegare o giustificare perché le parti non abbiano provveduto a procurarsi un documento scritto”.

In definitiva il contrasto esistente in seno alle Sezioni Semplici è stato risolto sulla base del principio, secondo cui, mentre in materia di atti e contratti per i quali sia richiesta ad substantiam la forma scritta, ad eccezione dell’ipotesi di perdita incolpevole del documento, è inammissibile la prova testimoniale dell’esistenza del negozio e tale inammissibilità può essere dedotta in ogni stato e grado del giudizio ed essere rilevata anche d’ufficio; invece, per quanto riguarda gli atti ed i contratti per i quali la forma scritta sia richiesta soltanto ad probationem (come nel caso di una transazione) l’inammissibilità della prova testimoniale non attiene all’ordine pubblico ma alla tutela di interessi privati e, quindi, non può essere rilevata d’ufficio e deve, invece, essere eccepita dalla parte interessata entro il termine di cui all’art. 157, co. 2°, c.p.c. nella prima difesa o istanza successiva alla sua configurazione.

Stanti, pertanto, le sopra esposte argomentazioni, le Sezioni Unite hanno pronunciato il seguente principio di diritto: “l’inammissibilità della prova testimoniale di un contratto che deve essere provato per iscritto, ai sensi dell’art. 2725 co 1°, c.c., attenendo alla tutela processuale di interessi privati, non può essere rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima dell’ammissione del mezzo istruttorio; qualora, nonostante l’eccezione di inammissibilità, la prova sia stata ugualmente assunta, è onere della parte interessata opporne la nullità secondo le modalità dettate dall’art. 157, co. 2, c.p.c., rimanendo altrimenti la stessa ritualmente acquisita, senza che detta nullità possa più essere fatta valere in sede di impugnazione”.

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