Danno patrimoniale e danno non patrimoniale per l’occupazione di un’area condominiale. Danno in re ipsa
Cass. Civ, Ord., Sez II civile, 4 luglio 2018, n. 17460 – Pres. D’ascola – Rel. Cons. Scarpa
Cosa comune condominiale -Privazione dell’utilizzo di una cosa comune da parte di un condomino – Analisi dell’art. 2059 c.c., nozione di danno patrimoniale e danno non patrimoniale. Art. 92 c.p.c.
“Ove sia provata l’utilizzazione da parte di uno dei condomini della cosa comune in modo da impedirne l’uso, anche potenziale, agli altri partecipanti, possa dirsi risarcibile, in quanto in re ipsa, il danno patrimoniale per il lucro interrotto, come quello impedito nel suo potenziale esplicarsi[1]. Non è invece certamente configurabile come in re ipsa un danno non patrimoniale, inteso come disagio psico-fisico, conseguente alla mancata utilizzazione di un’area comune condominiale, potendosi ammettere il risarcimento del danno non patrimoniale solo in conseguenza della lesione di interessi della persona di rango costituzionale, oppure nei casi espressamente previsti dalla legge, ai sensi dell’art. 2059 c.c., sempre che si tratti di una lesione grave e di un pregiudizio non futile”[2]
CASO
Come tante vertenze condominiali, anche quella giunta all’attenzione della Corte di Cassazione, perviene per effetto di una banale questione tra condomini, che coinvolge l’occupazione di aree ritenute comuni, nella fattispecie la rampa di accesso ai box auto.
La condomina istante nei diversi gradi di giudizio e ricorrente in cassazione, oltre ad invocare una sorta di tutela “rivendicatoria” consistente nella “immediata rimozione di un’autovettura lasciata in sorta per l’intero giorno e da oltre un anno davanti alla rampa di accesso del garage condominiale”, reclama una tutela risarcitoria a fronte “del patito disagio, da liquidarsi in via equitativa”.
Generosamente il giudice del primo grado accoglie la domanda risarcitoria e liquida il danno non patrimoniale in €.300,00.
I convenuti condannati impugnano avanti al giudice di secondo grado per vedere la riforma della sentenza di condanna ed il Tribunale, in effetti, riforma, la sentenza del Giudice di Pace ed in applicazione del principio di diritto, in seguito all’orientamento consolidatosi con le sentenze di San Martino (SSUU 26972/2008) osserva: “come l’utilizzo illegittimo di uno spazio comune, pur costituendo illecito potenzialmente produttivo di danno, non potesse giustificare una liquidazione equitativa del danno stesso, essendo rimasta non provata la sussistenza di un concreto pregiudizio subito dalla comproprietaria”.
A questo punto la condomina in primo grado attrice, ricorre in Cassazione chiedendo il riconoscimento del danno patito ed una differente regolamentazione delle spese di causa; le altre parti propongono ricorsi incidentali.
SOLUZIONE
La Cassazione, rigetta il ricorso principale e quelli incidentali, non riconoscendo la liquidazione del danno non patrimoniale e confermando il regime della liquidazione delle spese legali del precedente grado di merito.
QUESTIONI
L’interesse della sentenza colpisce il giurista in quanto consente affermare come a distanza di circa dieci anni dall’argine al risarcimento “facile” del danno non patrimoniale, rappresentato dalle c.d sentenze di San Martino, citate in epigrafe, la successiva giurisprudenza della Suprema Corte abbia ancorato il risarcimento a precisi “paletti”.
Anche recentemente altra sentenza della suprema Corte[3], in altra fattispecie riguardante differenti istituti soleva affermare come: “oggetto dell’accertamento e della quantificazione del danno risarcibile – alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sent. n. 235 del 2014) e del recente intervento del legislatore (artt. 138 e 139 C.d.A., come modificati dalla legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 4 agosto 2017 n. 124) – è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica…”
Nella fattispecie in esame, come emerge chiaramente dai gradi di giudizio di merito e dalle prove documentali raccolte, non c’è stata la chiara dimostrazione della causazione di un danno psico-fisico per la parte attrice. Indubbiamente l’autovettura posteggiata per un tempo indefinito sulla rampa comune di accesso ai garages, ostruiva il passaggio, non consentendone un comodo utilizzo, ma ciò non è risultato sufficiente per poter qualificare il danno tra quelli non patrimoniali ed in re ipsa, da cui potesse derivare alla “parte offesa”, un disagio psico fisico.
D’altro canto “l’argine” delle Sezioni Unite del 2008 operava proprio all’interno del confuso perimetro, rappresentato dalle sentenze, in specie dei giudici di pace, che “generosamente” offrivano alla parte di turno, lauti risarcimenti equitativi di danni non patrimoniali, anche al di fuori delle categorie dell’articolo 2059 c.c.
Nella massima riportata in epigrafe la Corte di Cassazione conferma l’indirizzo maggioritario successivo alle sentenze di San Martino, specificando come abusi dell’articolo 1102 c.c., in materia di comunione condominio determinino una situazione di pregiudizio potenzialmente risarcibile, anche laddove il danno sia anche soltanto meramente potenziale.
Infatti, in altra differente fattispecie, come richiamata in nota 1, la Cassazione aveva riconosciuto fondati i motivi di ricorso avente ad oggetto: “le condizioni di risarcibilita’ del danno da privazione del godimento di bene comune…“le facolta’ di godimento e di disposizione del bene costituiscono contenuto del diritto di proprieta’, sicche’ tale situazione giuridica viene ad essere pregiudicata per effetto della compressione che quelle facolta’ subiscono per effetto di iniziative altrui, dolose o colpose, ingiuste perche’ prive di titolo. Ne consegue che, in caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno subito dal proprietario e’ in re ipsa, discendendo dal semplice fatto della perdita della disponibilita’ del bene da parte del proprietario medesimo e dall’impossibilita’ per costui di conseguire l’utilita’ normalmente ricavabile in relazione alla natura di regola fruttifera di esso”.
In ordine alla utilitas ricavabile dalla cosa ed al risarcimento, la giurisprudenza ha inteso affermare: “che e’ risarcibile come “cessante” non solo il lucro interrotto, ma anche quello impedito, ancorche’ derivabile da un uso del bene diverso da quello tipico”. Tale danno, da ritenersi in re ipsa, ben puo’ essere quantificato in base ai frutti civili che l’autore della violazione abbia tratto dall’uso esclusivo del bene, imprimendo ad esso una destinazione diversa da quella precedente.
La Corte afferma che l’utilizzazione reiterata da parte di un condomino di una cosa comune, privando gli altri dell’utilizzo, possa essere risarcibile, risultando essere in re ipsa; tuttavia all’illiceità della condotta non sempre risulta altrettanto configurabile il danno non patrimoniale in maniera automatica e consequenziale, inteso come un danno psico-fisico.
Esso infatti costituisce un’ampia e omnicomprensiva categoria di danni ed è risarcibile solo nei casi previsti dalla legge, i quali a loro volta si suddividono in due categorie:
- ove la risarcibilità è prevista in modo espresso;
- ove il danno e la sua risarcibilità richiede una interpretazione costituzionalmente orientata in quanto il fatto illecito avrebbe inciso in modo grave un “diritto della persona” direttamente tutelato dalla Costituzione.
Di tal che può senz’altro affermarsi che “giustizia è fatta”, impedendo la dilatazione di voi di danno e titoli risarcitori non previsti per legge.
[1] Cass, civ. 7.8.2012 n.14213; Cass. Civ. 12.5.2010 n.11486.
[2] Cass. SEZ. Unite 11.11.2008 n.26972.
[3] Cass. Civ., sez. III^, 17.1.2018 n.901
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