È esclusa la ricorrenza dell’errore revocatorio ex art. 395, n. 4), c.p.c. quando il vizio sia frutto dell’attività valutativa del giudice
Cass., sez. V, 22 ottobre 2019, n. 26890, Pres. Virgilio – Est. Putaturo Donati Viscido di Nocera
[1] Revocazione – Errore di fatto – Nozione – Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 395).
L’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché non cada su un punto controverso e non attenga a un’errata valutazione delle risultanze processuali. (Nella specie, la S.C. ha escluso che costituisca vizio revocatorio l’errata lettura del contenuto di fonti convenzionali regolatrici del rapporto tributario, con le quali siano riconosciuti al contribuente benefici ed esenzioni, in quanto oggetto di controversia e implicanti la valutazione del giudice). (massima ufficiale)
CASO
[1] L’Agenzia delle dogane e dei monopoli notificava ad Aeroporti di Roma s.p.a. atto di contestazione e irrogazione di sanzione per essersi, quest’ultima, sottratta al regolare accertamento dell’imposta erariale di consumo sull’energia elettrica, in particolare per aver indebitamento fruito di una specifica esenzione prevista dal d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504.
La società contribuente proponeva ricorso alla CTP di Roma, ricorso che veniva accolto con decisione poi confermata dalla CTR del Lazio.
Avverso la sentenza della CTR del Lazio, l’Agenzia delle dogane proponeva ricorso per cassazione e la società contribuente presentava ricorso incidentale condizionato: mentre l’impugnazione principale veniva accolta – con decisione della causa nel merito -, il ricorso incidentale di Aeroporti di Roma s.p.a. veniva rigettato.
Nei confronti della sentenza della Corte di Cassazione, la società contribuente (soccombente) proponeva ricorso per revocazione ex art. 391-bis c.p.c. denunciando l’errore di fatto ex art. 395, n. 4), c.p.c. perpetrato dalla Corte nel rigettare il ricorso incidentale condizionato: in particolare, si deduceva la “svista percettiva” in cui sarebbero incorsi i giudici di legittimità nell’escludere la sussistenza di un fatto decisivo – qual era il riconoscimento del diritto a fruire del regime di esenzione -, la cui esistenza risultava incontrovertibilmente e immediatamente attestata da alcune fonti convenzionali allegate agli atti di causa.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso per revocazione proposto: nel caso di specie, infatti, l’errore denunciato risultava essere il frutto di un’attività valutativa svolta dai giudicanti e, inoltre, verteva su una questione che era stata oggetto di contestazione tra le parti. Tali caratteristiche, come verrà meglio illustrato di seguito, escludono la ravvisabilità dell’errore di fatto revocatorio ex art. 395, n. 4), c.p.c.
QUESTIONI
[1] La questione centrale affrontata nel provvedimento in epigrafe riguarda, allora, la configurabilità nel caso di specie dell’errore di fatto che legittimi la parte soccombente a esperire il rimedio della revocazione ordinaria ex art. 395, n. 4), c.p.c., in particolare avverso una pronuncia della Corte di Cassazione, secondo quanto consentito dal precedente art. 391-bis.
La parte argomentativa della sentenza in commento svolge, opportunamente, una ricognizione dei precedenti giurisprudenziali sul tema, allo scopo di chiarire quali siano le caratteristiche del vizio denunciabile a norma del citato art. 395, n. 4). A tal proposito, appare utile ricordare il dettato normativo che, sul punto, chiarisce che il vizio ricorre «se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare».
Il vizio in esame presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, una delle quali una emergente dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali: in altri termini, una mera svista materiale che deve apparire con evidenza, senza che siano necessarie argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (così, tra le tante, Cass., 10 ottobre 2018, n. 367; Cass., 19 maggio 2017, n. 12726; in dottrina, A. Attardi, La revocazione, Padova, 1959, 193 ss.). L’errore in esame, come visto, può derivare da un’errata lettura sia di documenti acquisiti al giudizio, sia che di atti processuali (Cass., 10 marzo 2017, n. 6250), e può riguardare l’esistenza (o inesistenza) sia di un fatto storico sia di un fatto processuale (si pensi, ad esempio, alla circostanza per cui sia effettivamente avvenuta o meno l’integrazione del contraddittorio in appello nei confronti di alcune parti del giudizio di primo grado).
In ogni caso, avvicinandoci alla specifica questione rilevante nel caso in commento, perché ricorra il vizio in esame deve trattarsi di un errore meramente percettivo, derivante cioè da una errata supposizione da parte del giudice, e non di un errore frutto di una valutazione o di un giudizio fondati su una esatta rappresentazione: ne deriva, ad esempio, che l’errore non può cadere sul contenuto delle tesi difensive delle parti (Cass., 21 luglio 2017, n. 18137) o sull’interpretazione data dal giudice della domanda (Cass., 8 agosto 2017, n. 19715) o di un contratto prodotto in giudizio (Cass., 24 febbraio 1998, n. 2002).
Altro punto fondamentale – peraltro fatto oggetto di espressa precisazione normativa -, è che il fatto erroneamente supposto come esistente o inesistente, a seguito della svista commessa dal giudice, non abbia costituito un punto controverso tra le parti: in altri termini, deve trattarsi di un fatto pacifico (Cass., 19 maggio 2017, n. 12726; Cass., 8 marzo 2016, n. 4521), nonché, si aggiunge, decisivo, ossia determinante ai fini della decisione (Cass., 19 novembre 2014, n. 24667).
In via di estrema sintesi, tale tipologia di errore presuppone un contrasto tra la realtà desumibile dalla sentenza – che deve essere frutto di supposizione e non di valutazione o giudizio – e quella risultante dagli atti e documenti processuali, che non deve essere stata oggetto di contestazione tra le parti (Cass., sez. un., 7 marzo 2016, n. 4413).
Nel caso di specie, entrambe le caratteristiche sin qui poste in evidenza appaiono mancare. Sotto il primo profilo, infatti, la Corte ha valutato le fonti convenzionali da cui Aeroporti di Roma s.p.a. pretendeva derivasse l’esenzione invocata, in particolare escludendone la valenza a fini esonerativi e richiamando, al riguardo, alcuni precedenti di legittimità: ciò che vale a escludere che, sulle dette fonti convenzionali, la Suprema Corte possa essere incorsa in una mera svista percettiva. In secondo luogo, la questione in esame non può neppure dirsi non controversa tra le parti, tanto che il diritto di Aeroporti di Roma s.p.a. di fruire dell’esenzione in discorso aveva costituito punto controverso del ricorso principale dell’Agenzia delle dogane, accolto dalla Corte.
Conseguentemente, bene ha operato la Cassazione nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso per revocazione proposto.
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