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Cass. civ., sez. III, 10 giugno 2020, n. 11116 – Pres. Vivaldi – Rel. De Stefano

Espropriazione immobiliare – Ribassi del prezzo base d’asta – Prezzo ingiusto – Non sussiste – Sospensione della vendita – Inammissibilità

[1] Poiché, impregiudicati i casi di chiusura anticipata del processo esecutivo, è legittima la reiterazione della fissazione della vendita anche con successivi ribassi del prezzo base e senza ricorso all’amministrazione giudiziaria, non integra un prezzo ingiusto di aggiudicazione, tanto meno idoneo a fondare la sospensione prevista dall’art. 586 cod. proc. civ., quello che sia anche sensibilmente inferiore al valore posto originariamente a base della vendita, ove questa abbia avuto luogo in corretta applicazione delle norme di rito, né si deducano gli specifici elementi perturbatori della correttezza della relativa procedura già elaborati dalla giurisprudenza (fatti nuovi successivi all’aggiudicazione; interferenze illecite di natura criminale che abbiano influenzato il procedimento, ivi compresa la stima stessa; determinazione del prezzo fissato nella stima quale frutto di dolo scoperto dopo l’aggiudicazione; fatti o elementi conosciuti da una sola delle parti prima dell’aggiudicazione, non conosciuti né conoscibili dalle altre parti prima di essa, purché costoro li facciano propri), elementi perturbatori tra cui non si possono annoverare l’andamento o le crisi, sia pure di particolare gravità, del mercato immobiliare.

Espropriazione immobiliare – Valutazione prognostica della fruttuosità della vendita – Soddisfazione non irrisoria dei creditori – Estinzione anticipata del processo esecutivo – Inammissibilità

[2] In tema di espropriazione immobiliare, la peculiare ipotesi di chiusura anticipata della procedura ai sensi dell’art. 164-bis disp. att. c.p.c. ricorre e va disposta ove, invano applicati o tentati ovvero motivatamente esclusi tutti gli istituti processuali tesi alla massima possibile fruttuosità della vendita del bene pignorato, risulti, in base a un giudizio prognostico basato su dati obiettivi anche come raccolti nell’andamento pregresso del processo, che il bene sia in concreto invendibile o che la somma ricavabile nei successivi sviluppi della procedura possa dare luogo a un soddisfacimento soltanto irrisorio dei crediti azionati e a maggior ragione se possa consentire soltanto la copertura dei successivi costi di esecuzione.

CASO

Nei confronti di due debitori veniva promossa l’espropriazione forzata di un villino sito in Roma; nella procedura esecutiva così radicata spiegavano intervento altri creditori degli esecutati.

A fronte di un prezzo a base di gara originario di € 780.000, l’immobile, dopo numerosi tentativi di vendita, veniva aggiudicato al prezzo di € 270.000.

Uno degli esecutati depositava, quindi, istanza di estinzione della procedura esecutiva, fondata sulla notevole sproporzione tra prezzo di stima e prezzo offerto e sulla conseguente impossibilità di un ragionevole soddisfacimento delle ragioni di almeno alcuni dei creditori; al rigetto dell’istanza facevano seguito l’aggiudicazione dell’immobile e l’emissione del decreto di trasferimento, avverso i quali venivano proposti separati ricorsi ex art. 617 c.p.c., nei quali era invocata l’applicazione della disposizione di cui all’art. 164-bis disp. att. c.p.c.

Riunite le opposizioni, le stesse erano respinte, sicché la sentenza del Tribunale di Roma veniva impugnata con ricorso per cassazione: le doglianze si incentravano, in particolare, sulla presunta svendita dell’immobile a un prezzo che, per effetto dei numerosi ribassi, era risultato di gran lunga inferiore a quello giusto e – in ogni caso – tale da non consentire neppure un ragionevole soddisfacimento delle ragioni dei creditori (a fronte di crediti complessivamente ammontanti, all’incirca, a € 550.000).

SOLUZIONE

[1] [2] La Corte di cassazione ha respinto il ricorso, reputando infondati tutti i motivi di censura articolati dal ricorrente.

I giudici di legittimità, infatti, non hanno condiviso l’assunto secondo cui, a fronte di un prezzo di aggiudicazione dell’immobile sensibilmente inferiore a quello di stima, la vendita doveva essere sospesa e la procedura esecutiva chiusa anticipatamente per effetto di quanto previsto dall’art. 164-bis disp. att. c.p.c.

QUESTIONI

[1] [2] Il giusto prezzo di vendita dell’immobile pignorato (dovendosi reputare tale quello che si forma all’esito della procedura esecutiva regolarmente svoltasi, indipendentemente dalle valutazioni e dalle aspettative del debitore esecutato) non è l’elemento decisivo ai fini della sospensione ovvero dell’estinzione anticipata del processo esecutivo; questa, in estrema sintesi, è la soluzione fornita dai giudici di legittimità, dopo avere inquadrato sistematicamente, da un lato, il potere di sospensione della vendita previsto dall’art. 586 c.p.c. e, dall’altro lato, la disposizione recata dall’art. 164-bis disp. att. c.p.c.

Come punto di partenza, è stato ribadito che l’indefettibilità della tutela giurisdizionale in sede esecutiva è principio cardine del nostro ordinamento, posto che l’esecuzione forzata costituisce ineludibile complemento della tutela di ogni diritto, assicurando l’effettività del sistema giuridico: in questo senso, assume rilievo, in via esclusiva, l’interesse del creditore alla soddisfazione del proprio diritto, mentre il debitore ha diritto soltanto alla regolarità del processo esecutivo e alla partecipazione allo stesso, senza che possano venire in considerazione altri interessi del medesimo debitore che possono eventualmente confliggere con quelli – da reputarsi comunque preminenti – del creditore.

In altre parole, come affermato nella sentenza che si annota, esula dai fini del processo esecutivo l’obiettivo di limitare i danni che chi vi è assoggettato può subire, “perché il carattere imperativo dell’esigenza di ripristinare il diritto violato dall’inadempimento del debitore esige sempre e comunque, a pena di ineffettività dell’intero ordinamento, che l’esecuzione abbia luogo; questa è oggettivamente un pregiudizio per chi vi è assoggettato, ma dipeso dall’inerzia di questi e comunque necessario per la funzionalità del sistema e quindi secundum ius: e, se l’applicazione pratica delle singole norme può consentire di tenere – entro certi limiti, con cautela ed in via eccezionale – conto di peculiari situazioni che facciano capo al debitore, non compete al giudice dell’esecuzione farsene carico”.

Nell’ottica di rendere massimamente efficiente il processo esecutivo, il legislatore ha introdotto numerose misure volte ad assicurare al giudice gli strumenti necessari per conseguire l’utile trasformazione in denaro dei beni assoggettati all’espropriazione forzata e, così, garantire al creditore il soddisfacimento delle pretese fondate sul titolo esecutivo; nel contempo, la finalità sottesa a tali previsioni rappresenta il criterio teleologico al quale deve conformarsi l’esercizio dei poteri attribuiti al giudice nella conduzione del processo esecutivo.

Alla luce di tali premesse, è stata ravvisata l’insussistenza, nel caso specifico, sia dei presupposti per disporre la sospensione della vendita, sia delle condizioni per addivenire alla chiusura anticipata del processo esecutivo.

Per quanto concerne il primo profilo, in assenza delle situazioni tassativamente individuate dalla giurisprudenza al fine di legittimare il ricorso alla potestà attribuita al giudice dell’esecuzione dall’art. 586 c.p.c. (fatti nuovi successivi all’aggiudicazione; interferenze illecite di natura criminale che abbiano influenzato il procedimento; prezzo fissato nella stima posta a base della vendita frutto di dolo scoperto dopo l’aggiudicazione; fatti prospettati dall’unica parte che li conosceva anteriormente all’aggiudicazione e che le altre parti facciano propri), il prezzo giusto si identifica solo ed esclusivamente con quello che risulta all’esito di un corretto svolgimento delle operazioni di vendita, ovvero dal corretto funzionamento dei meccanismi processuali istituzionalmente deputati a determinarlo, indipendentemente dal fatto che venga soggettivamente reputato tale da alcuno dei partecipanti al processo. In altre parole, l’individuazione del giusto prezzo è rimessa allo svolgimento (ovviamente corretto) della gara sollecitata tra gli offerenti, mentre l’interazione con il mercato dei beni oggetto della vendita giudiziaria (ossia la tendenziale equiparazione di quest’ultima a quella volontaria) rappresenta la garanzia di ottenimento del migliore risultato possibile. In tale contesto, nulla osta alla reiterazione – sia pure non all’infinito – dei tentativi di vendita (caratterizzati da progressivi ribassi del prezzo a base d’asta e indipendentemente dal preventivo ricorso all’amministrazione giudiziaria), mentre il sensibile abbassamento del valore posto a base della vendita e del prezzo di aggiudicazione non ne determina, per ciò solo, l’ingiustizia e non legittima, quindi, l’adozione di un provvedimento di sospensione ai sensi dell’art. 586 c.p.c.

Per quanto riguarda, invece, il secondo profilo, la chiusura anticipata della procedura esecutiva costituisce strumento di tutela dell’interesse non già del debitore a non vedere svenduto il proprio immobile, ma dell’amministrazione della giustizia a evitare l’inutile dispendio di risorse processuali ed è, dunque, attivabile laddove i costi processuali risultino più elevati del concreto valore di realizzo dei beni pignorati, non potendosi ridurre il fine del processo esecutivo alla generazione di altri costi, che hanno il solo effetto di aumentare il carico della posizione debitoria preesistente.

Mentre nell’espropriazione mobiliare opera il meccanismo di cui all’art. 532 c.p.c. (che contempla la chiusura anticipata automatica del processo esecutivo, in difetto di peculiari iniziative o condotte del creditore legalmente tipizzate), nell’espropriazione immobiliare il giudice deve fattivamente sperimentare tutte le potenzialità offerte dalla disciplina positiva per conseguire il risultato fisiologico della procedura, prima di adottare il provvedimento di estinzione previsto dall’art. 164-bis disp. att. c.p.c., mentre la valutazione di infruttuosità potrà avere luogo quando, in relazione all’entità del prezzo base dell’ultimo tentativo di vendita, l’eventuale aggiudicazione possa reputarsi implausibile (per essersi l’immobile rivelato, in concreto, invendibile) e tale da coprire esclusivamente gli ulteriori costi futuri della procedura o da generare una somma netta da destinare alla soddisfazione dei crediti del tutto irrisoria.

Dal punto di vista procedurale, la valutazione di infruttuosità non deve avere luogo prima di ogni nuova fissazione dei tentativi di vendita (soprattutto ove il numero ne sia stato prestabilito con l’ordinanza di vendita o altro provvedimento), ma deve risultare da ordinanza (suscettibile di essere impugnata con lo strumento dell’opposizione agli atti esecutivi) sorretta da un’espressa motivazione in caso di esplicita istanza di alcuno dei soggetti del processo, oppure quando si verifichino o si considerino fatti nuovi, soprattutto in relazione alle previsioni dell’ordinanza di vendita ex art. 569 c.p.c.

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